Update articolo settembre 2020
Con la scelta della FED di avviare una politica monetaria impostato sul raggiungimento di un tasso medio di inflazione al 2% è possibile che, oltre alla debolezza del Dollaro, la variazione dei prezzi al consumo nei prossimi anni possa tendere ad essere superiore al 2% senza per questo che la FED intervenga in modo aggressivo alzando i tassi di interesse. Un terreno teoricamente fertile anche per l’oro e le materie prime in generale.
Ma possono le commodities essere considerate uno strumento di investimento adatto a far crescere il nostro capitale nel corso degli anni? Cerchiamo di rispondere con dei dati numerici certi ad un quesito che coinvolge molti investitori.
La premessa è intanto legata al parametro di riferimento che viene adottato per la misura dei prezzi delle materie prime. Morningstar offre una panoramica sulla selva di indici che popolano il mercato delle commodity. Comprare un indice Bloomberg Commodity Index (ex DJUBS) piuttosto che un indice CRB può fare molta differenza. Ad esempio nel periodo agosto 2019-agosto 2020 un ETF di Invesco con sottostante l’indice Bloomberg ha perso il 10% contro il -15% del Lyxor CRB Index.
La tabella che proponiamo di seguito vuole però confrontare rendimenti e volatilità del più performante tra i due (Bloomberg Commodity Index) con l’andamento della borsa americana (Msci USA) ed un classico prodotto monetario (T-Bill a 3 mesi).

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Un primo elemento che non sfuggirà all’attenzione del lettore è legato al ritorno annuo dei tre asset finanziari. L’indice azionario MSCI USA stacca tutti con un ritorno nominale di quasi il 7%, ma la vera sorpresa è legata al fatto che un prodotto free risk per eccellenza come il Bot americano ha reso 30 punti base in più rispetto alle commodity.
Considerando che questi sono rendimenti nominali e che l’inflazione media americana in questo arco temporale è stata del 2,5%, fate due conti e capirete che rimane veramente poco a disposizione dell’investitore che ha scelto di investire in commodity (o in strumenti monetari).
Ricordiamo sempre che una materia prima non paga cedole e/o dividendi e quindi l’investitore fa una scommessa piuttosto forte sulla semplice variazione di prezzo senza essere in nessun modo ripagato per il rischio che va a correre.
Quello che però è ancora più clamoroso è legato alla volatilità. Le commodity hanno mostrato dal 1996 una volatilità identica o superiore a quella dell’azionario con un ritorno inferiore a quello del monetario, che affare!
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Proprio sul concetto di rischio vale la pena di riprendere studio proposto dal sito Cliff’s Perspective qualche anno fa (2014). Ecco le due tabelle chiave dello studio.


La seconda tabella mostra, per blocchi di 5 anni a partire dal 1970, chi tra azioni, bond e commodity ha vinto in termini di performance.
Nella prima tabella a sinistra troviamo la volatilità.
Il tutto viene riepilogato nel grafico seguente.
L’indice GSCI delle commodity è un assiduo frequentatore della prima colonna (quindi performances più basse) e solo in due casi è risultato il miglior investimento (1970-1974 e 2000-2004).
Si potrebbe obiettare che anche un investimento in bond non ha fornito grandi soddisfazioni, ma guardate la seconda tabella, quella della volatilità. Mentre i bond sono sempre al primo posto per minor volatilità, le commodity in 7 blocchi di periodo su 9 sono risultate l’asset class più volatile. In parole povere, rendimenti poco soddisfacenti a fronte di volatilità (quindi rischio) elevata.
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La storia non sembra essere quindi molto benevola con le materie prime che sono da considerare più uno strumento di trading che di investimento. La forte volatilità permette certamente a degli abili trader di fare affari di breve periodo, ma per un investitore che ha un orizzonte di medio lungo periodo inserire materie prime in portafoglio non ha molto senso poiché aumenta la volatilità senza fornire, nemmeno in termini reali, extrarendimenti degni di nota rispetto ai prodotti monetari ed obbligazionari.
Update 2020:
Abbiamo deciso di aggiornare l’analisi precedente utilizzando l’ottimo sito PortfolioVisualizer il quale è in grado di fornirci un contributo statistico dal 2007 ad oggi dell’andamento di commodity, borsa americana e obbligazioni USA.
Impietosi i numeri per le commodity.
Un rendimento annuo negativo, la volatilità più alta, il peggior massimo drawdown, una correlazione con il mercato azionario comunque positiva.
Strategicamente non si può fare altro che confermare l’assoluta irrilevanza delle materie prime nella costruzione di un portafoglio di investimento.
Tatticamente chi cerca invece la volatilità proprio per fare speculazione qui trova pane per i propri denti. Con le premesse fatte all’inizio dell’articolo potrebbe esserci in effetti qualche anno di crescita davanti ai prezzi delle materie prime.
Un’unica postilla. Qui si parla di speculazione e non di investimento.
Buonasera, dopo aver letto la conclusione dell’articolo, come mai nel vostro portafoglio avete inserito le commodity ed escluso l’oro?
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Una piccola quota come hedge contro le evantuali fiammate (per ora remote) dell’inflazione. Se incastrato assieme ad altri strumenti può costituire un teorico scudo contro un rialzo dei prezzi al consumo. Preso singolarmente è un asset estremamente speculativo.
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