Con la scelta della FED di avviare una politica monetaria tarata sul raggiungimento di un tasso medio di inflazione al 2% è possibile che la variazione dei prezzi al consumo nei prossimi anni possa tendere ad essere superiore a questo livello. Un terreno teoricamente fertile anche per l’oro e le materie prime in generale.
Ma possono le commodity essere considerate uno strumento di investimento adatto a far crescere il nostro capitale nel corso degli anni? Cerchiamo di rispondere con dei dati numerici certi ad un quesito che coinvolge molti investitori soprattutto dopo mesi di rialzo impetuoso.
La premessa è intanto legata al parametro di riferimento che viene adottato per la misura dei prezzi delle materie prime. Morningstar offre una panoramica sulla selva di indici che popolano il mercato delle commodity. Comprare un indice Bloomberg Commodity Index (ex DJUBS) piuttosto che un indice CRB può fare molta differenza.
Ad esempio nel periodo luglio 2020 – luglio 2021 un ETF di Invesco con sottostante l’indice Bloomberg ha guadagnato il 40% contro il +50% del Lyxor CRB Index.
La tabella che segue confronta rendimenti e volatilità di tre asset class. Commodity (rappresentate da iShares S&P GSCI Commodity-Indexed Trust), azioni americane e titoli di stato a breve scadenza sono messi a confronto dal 2007 fino a luglio 2021 (fonte PortfolioVisualizer.com)
Un primo elemento che non sfuggirà all’attenzione del lettore è legato al ritorno annuo dei tre asset finanziari.
L’indice azionario USA stacca tutti con un ritorno nominale annuo di oltre il 10%. La vera sorpresa è legata al fatto che un prodotto free risk per eccellenza come il Bot americano ha reso oltre 8 punti percentuali in più rispetto alle commodity.
Considerando che questi sono rendimenti nominali e che l’inflazione media americana in questo arco temporale è stata del 2%, fate due conti e capirete che disastro sono stati questi anni per un investitore che ha scelto di investire in commodity.
Una materia prima non paga cedole e/o dividendi e quindi l’investitore fa una scommessa piuttosto forte sulla semplice variazione di prezzo senza essere in nessun modo ripagato per il rischio che va a correre.
Quando si odono le sirene dell’investire in materie prime (come accade sempre più spesso negli ultimi tempi) ricordate questi numeri. Certo potrebbe essere la scommessa del secolo, ma…
Quello che è ancora più clamoroso è legato alla volatilità. Le commodity hanno mostrato dal 2007 ad oggi una volatilità del 23% contro il 16% dell’azionario. Un vero affare anche dal lato del rischio!
Sul concetto di rischio vale la pena di riprendere studio proposto dal sito Cliff’s Perspective qualche anno fa (2014). Ecco le due tabelle chiave dell’analisi.
fonte: AQR Research
fonte: AQR Research
La seconda tabella mostra, per blocchi di 5 anni a partire dal 1970, chi tra azioni, bond e commodity ha vinto in termini di performance. Nella prima tabella a sinistra troviamo la volatilità.
Il tutto viene riepilogato nel grafico seguente.
L’indice GSCI delle commodity è un assiduo frequentatore della prima colonna (quindi performances più basse) e solo in due casi è risultato il miglior investimento (1970-1974 e 2000-2004).
Si potrebbe obiettare che anche un investimento in bond non ha fornito grandi soddisfazioni, ma guardate la seconda tabella, quella della volatilità.
Mentre i bond sono sempre al primo posto per minor volatilità, le commodity in 7 blocchi di periodo su 9 sono risultate l’asset class più volatile.
In parole povere, rendimenti poco soddisfacenti a fronte di volatilità (quindi rischio) elevata.
La storia non sembra essere quindi molto benevola con le materie prime che sono da considerare più uno strumento di trading che di investimento. Questo concetto è poi rafforzato dall’inefficienza degli strumenti utilizzati per replicare l’asset class commodity.
La forte volatilità permette certamente a degli abili trader di fare affari di breve periodo, ma per un investitore che ha un orizzonte di medio lungo periodo inserire materie prime in portafoglio non ha molto senso poiché aumenta la volatilità senza fornire, nemmeno in termini reali, extrarendimenti degni di nota rispetto ai prodotti monetari ed obbligazionari.
Un rendimento annuo negativo, la volatilità più alta, il peggior drawdown, una correlazione con il mercato azionario comunque positiva. Siete ancora così attratti dalle commodity?
Strategicamente questo significa assoluta irrilevanza delle materie prime nella costruzione di un portafoglio di investimento.
Tatticamente chi cerca la volatilità proprio per fare speculazione qui trova pane per i propri denti. Ma è appunto speculazione e non un investimento.
Buonasera, dopo aver letto la conclusione dell’articolo, come mai nel vostro portafoglio avete inserito le commodity ed escluso l’oro?