Aggiornamento articolo agosto 2021
Spesso si legge di borse care, tassi di interesse ai minimi, rischi di bolle speculative, Banche Centrali che perderanno di credibilità, crisi del debito, insomma di scenari catastrofici per l’investitore. La soluzione che spesso viene proposta in questi casi è quella di mettersi liquidi e stare a guardare cosa succederà dopo lo tsunami.
In questo caso si ravvisano due problemi non di poco conto.
Il primo è prevedere con esattezza il momento del pesante storno di mercato. Il secondo è trovare delle motivazioni per sostenere l’idea che “Cash is King”. Nell’immaginario collettivo esiste l’idea che mettersi liquidi prima di una tempesta finanziaria è la scelta ottimale per ottenere il rendimento migliore nelle fasi turbolente ed avere così liquidità disponibile da investire per entrare a prezzi più bassi in un momento successivo.
Questa seconda idea sarebbe interessante se non fosse che notoriamente gli investitori sono piuttosto riluttanti a rientrare sui mercati azionari dopo cali pesanti come le recenti esperienze del 2000 e del 2007 ci hanno insegnato.
Per quello che riguarda la prima affermazione, ovvero che il Cash è la scelta ottimale durante le fase di ribasso dei mercati, beh ci dispiace ma i numeri storici degli indici americani non ci offrono la stessa prospettiva.
Ho fatto un’analisi nel periodo 1928-2020 selezionando le sole annate in cui tenere i soldi investiti in T-Bill a 3 mesi americani avrebbe portato ad un rendimento superiore a quello di azioni (S&P500) e bond (Treasury 10 anni).
Tutti gli indici sono ovviamente total return.
Fonte dati: Damodaran
Le annate in cui “Cash is King” sono state 13 su 93 rilevazioni annue. Solo nel 14% del tempo essere liquidi è risultata una scelta vincente rispetto all’investimento in bond e azioni.
Rispetto al meno peggio dei due (sempre l’obbligazionario eccezion fatta per il 1994), il cash ha fatto mediamente meglio del 3,5%. Tra i 13 casi analizzati i due comparti bond ed equity hanno chiuso entrambi con un ritorno negativo solo in 4 casi (4,3% del tempo totale) ovvero nel 1931, 1941,1969 e 2018.
Tranne il 1931, il 1941 e il 2018 in tutti e gli altri 10 casi i tassi monetari erano pari o superiori al 4%.
Qui sono convinto che qualcuno noterà subito come proprio 3 dei 4 casi con bond ed equity entrambi negativi a fine anno assomigliano molto allo scenario attuale, ovvero tassi monetari bassissimi (soprattutto il 1941 con lo 0,08%).
Ma quale beneficio avrebbe ottenuto l’investitore rimanendo in cash anche nei 12 mesi successivi all’annata “pericolosa”? La tabella successiva ci offre una risposta.
Fonte dati: Damodaran
In 3 casi su 12 il cash ha sovraperformato (1930, 1973 e 1977) mentre solo in un anno (1930) bond ed equity hanno chiuso entrambi in calo per il secondo anno consecutivo.
Nei due casi del 1931 e del 1941 citati in precedenza, nell’anno successivo la differenza tra il rendimento migliore tra equity e bond e rendimento monetario è stato rispettivamente del +7,7% e del +18,8%. Ancora una volta la diversificazione avrebbe pagato permettendo all’investitore di approfittare della ripartenza dei mercati.
Ma spingiamoci ancora oltre, ovvero cerchiamo di capire cosa sarebbe successo a distanza di 5 anni dall’evento in cui il cash ha sovraperformato equity e bond.
Fonte dati: Damodaran
Solo in 1 caso su 12 rimanere investiti in liquidità avrebbe prodotto una performance annua superiore a bond ed equity dopo 5 anni (1978 vs 1973), due asset che comunque chiusero quella finestra temporale con rendimenti annui superiori al 4,3% annuo.
Mediamente il ritorno medio annuo a 5 anni dall’evento in cui il cash ha sovraperformato le altre due asset class è risultato del 9,4% sull’equity, del 7% sui bond e del 6,2% sul cash.
Ragionando sui due casi più assimilabili allo scenario attuale in termini di tassi monetari, 1931 e 1941, il ritorno medio annuo dell’azionario 5 anni post “Cash is King” fu rispettivamente del 21,3% e del 17,1%, quello dei bond del 5,6% e del 2,9%, quello del cash 0,50% e 0,40%. Manca all’appello il terzo caso storico, quello del 2018. Alla fine del 2023 verrà emessa la sentenza.
Concludendo, non solo bisogna essere dei maghi e prevedere con precisione il momento della correzione sui mercati, ma anche essere dei veggenti nel scegliere il momento giusto in cui arbitraggiare il cash con le azioni o i bond.
Troppi se e troppo esoterismo.
Ancora una volta essere equilibrati e diversificati si rivelerà la miglior scelta per il vostro piano di investimento.
La storia finora ci ha insegnato questo.
E intanto sono passati 3 anni..
Concordo sul fatto che per un investitore sia molto difficile utilizzare il cash per acquistare nei momenti in cui i prezzi degli asset sono bassi. Sono un professionista del settore e constato quello che sostenete nella vita di ogni giorno.
Penso però che se è comprensibile che un investitore privato subisca le trappole comportamentali e psicologiche, la cosa dovrebbe accadere meno per un gestore.
La storia insegna che, purtroppo, spesso i gestori commettono gli stessi errori dei privati e tocca al consulente mettersi in moto per colmare il gap.
La spiegazione risulta essere convincente..eppure non mi tolgo dalla mente quel famoso grafico sugli stati mentali del risparmiatore medio che, come dite, è piuttosto refrattario ad entrare sui ribassi, non dico ai minimi perchè è pressochè impossibile centrarli, ma poi aspetta, aspetta e aspetta ancora, per poi finire a rientrare sui mercati quando l’ascesa si sta esaurendo del tutto. Lo so che in base ai discorsi fatti sarete sicuramente favorevoli, ma psicologicamente, non credo sia facilissimo entrare adesso, anche con un approccio equilibrato e bilanciato, avendo resistito alla tentazione fino ad ora e avendo rinunciato per questo a mettere da parte tanti gains. Complimenti per l’ottimo lavoro, le analisi, sono contento della ‘scoperta’ fatta.