In un articolo recentemente pubblicato sul sito online del Sole24Ore vengono fatte alcune considerazioni circa il contesto attuale dei tassi negativi nel mondo, spiegando perché Stati Uniti e Gran Bretagna non sono finiti dentro la spirale del tasso negativo a differenze di altre aree economiche concorrenti. Le considerazioni di fondo dell’articolo possono essere condivisibili, ma ancora una volta si racconta al lettore una storia che dal punto di vista educativo non regge.
Come indicato dal sito Zerohedge siamo arrivati a quota 13.7 miliardi di dollari con le emissioni a rendimento negativo dei paesi del G10, il 35% di tutto il debito di questi paesi. Il Giappone conta per il 58% di questo importo. Ribaltando la questione e guardando ai tassi negativi si scopre che gli Stati Uniti detengono il 60% delle emissioni a rendimento positivo del G10 che diventano 89% nelle scadenze inferiori all’anno. Secondo questa tesi chi vuole avere rendimenti positivi dovrebbe investire solo in America, ma…c’è un ma.
Ma torniamo all’articolo del Sole. Quando un risparmiatore compra un’obbligazione ovviamente si aspetta di veder ritornare per intero il capitale a scadenza. Al rimborso (o nel durante della vita del bond) verrà aggiunta una cedola in grado di ripagarlo da rischio inflazione ed ovviamente rinuncia alla disponibilità del denaro. Questo è il rendimento nominale. A volte però, pur essendo positivo, il rendimento nominale diventa negativo in termini reali ed è proprio il caso dell’America.
Se prendiamo un Treasury a 2 anni americano oggi abbiamo infatti un rendimento annuo dello 0,90%. Osservando il dato di inflazione attuale siamo a 1,1% annuo di variazione dei prezzi al consumo. Questa è però storia e se osserviamo le attese di inflazione a 2 anni siamo attualmente a 1,50% negli States. Il mercato si aspetta perciò una variazione media annua dei prezzi al consumo del 1,50% nel prossimo biennio.
Quindi avrò nominalmente un tasso di interesse positivo, ma in termini reali avrò un tasso negativo. A fronte di una cedola infatti dello 0,90% annuo con un tasso di inflazione superiore mi ritroverò con un capitale finale (nominale + interessi) che avrà perso potere d’acquisto. Ecco perché per gli investitori i tassi americani non sono da considerare positivi, almeno per ora.
Anche osservando i tassi italiani è vero che fino alle scadenze 2 anni abbiamo rendimenti negativi. Allo stato attuale però la deflazione italiana morde, con un -0,5% di variazione negativa dei prezzi al consumo che, per un semplice effetto matematico, vi farebbe guadagnare dei soldi (circa lo 0,4%) pur avendo sottoscritto un impegno a rendimento negativo. In questo caso il ragionamento appena fatto sarebbe giusto se rimanessimo in deflazione per i prossimi due anni; al momento il mercato non sconta questo scenario “prevedendo” inflazione media in Italia pei i prossimi due anni allo 0,7%.
Quello che conta è però il concetto di fondo.
E’ corretto dire che con i rendimenti negativi otterrò a scadenza meno denaro di quanto versato.
E’ completamente sbagliato fare questa affermazione con riferimento ad un investimento finanziario.
E’ il potere d’acquisto finale quello che conta e quindi il rendimento reale.
Per assurdo investire ad un tasso di interesse del 10% annuo con inflazione al 12% è un pessimo investimento se paragonato ad un investimento a rendimento del – 0,5% di rendimento con inflazione annua pari a -1%. In quest’ultimo caso guadagnerò potere d’acquisto a scadenza, nel primo no!
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È proprio questo che non riesco a spiegare a chi mi è vicino. Vedono il tasso nominale ma non guardano all’inflazione! Mancanza di educazione finanziaria!