Proseguiamo nella nostra analisi delle asset allocation più “gettonate” negli Stati Uniti. Questa settimana ci occupiamo del cosiddetto “No Brainer Portfolio”, un’asset allocation molto semplice citata da William Bernstein nel suo libro più famoso The Intelligent Asset Allocator: How to Build Your Portfolio to Maximize Returns and Minimize Risk.
Quella che vedete qui sotto è la composizione semplificata di questo modello (ovviamente tarata sull’investitore americano). Portafoglio molto semplice e facilmente replicabile. Ancora una volta la fonte è Portfoliocharts.com.
25% Azioni America Large Cap (S&P500)
25% Azioni Internazionali (ex-Us)
25% Azioni America Small Cap
25% Governativi Usa breve termine
Come si è comportato questo portafoglio dal 1972 ad oggi? Al netto dell’inflazione e al lordo di eventuali commissioni e tasse, il grafico riportato qui sotto mostra il risultato storico di No Brainer Portfolio. Un rendimento medio annuo del 6,3% con una volatilità del 13,2%.
Questo portafoglio ha perso denaro nel 26% del tempo e che ha passato il 23% del suo tempo a ruotare attorno al rendimento medio.
Altre indicazioni statistiche le troviamo qui sotto.
Il peggiore drawdown ha avuto una durata di 9 anni mentre in termini di intensità il portafoglio è arrivato a perdere fino al 42% dal picco massimo precedente.
La migliore decade ha fatto registrare un rendimento di +10,4% annuo, la peggiore un -8,3% annuo.
Interessante infine l’ultimo grafico che mostra i rendimenti annui composti (Cagr) su 15 anni rolling (ovvero se avessi investito ogni anno dal 1972 al 2001 per 15 anni).
Mai in negativo su un arco temporale di investimento di 15 anni. Chi ha chiuso l’investimento in questo 2016 (e che ha investito nel 2001) si sarebbe portato a casa un rendimento annuo di poco superiore al 4% al netto dell’inflazione. Non male considerando i due tremendi bear market del 2000/2002 e 2007/2008 che hanno appesantito quel 75% di azionario in portafoglio.
Evidente come il No Brainer Portfolio è caratterizzato da estrema volatilità nei rendimenti, un elemento che nelle fasi negative genera situazioni decisamente poco appaganti come quelle viste negli ultimi anni per effetto della finestra di investimento a 15 anni che raggruppa ancora al suo interno i due bear market. Anche in queso caso comunque il risultato finale è ampiamente positivo nonostante il consistente peso dell’azionario.
Personalmente trovo questo portafoglio interessante per chi ha propensione al rischio elevata, un pò meno per chi deve amministrare soldi in prossimità della pensione. Aggiornerei le sue caratteristiche con la presenza dei mercati emergenti a discapito di qualche punto di America, aumentando al contempo l’azionario europeo per ridurre il rischio cambio ed essere più legato all’inflazione della zona Euro.
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