Tra le critiche più frequenti che vengono mosse agli ETF più importanti e capitalizzati c’è quella di essere dei replicanti di indici di mercato concentrati su pochi titoli e/o settori. Ma è veramente un difetto? E soprattutto esiste un’alternativa?
Cosa sono gli ETF cap weighted e equal weighted
Il metodo più tradizionale e conosciuto dagli investitori che utilizzano ETF è quello cosiddetto a capitalizzazione di mercato. In questo caso i singoli titoli sono presenti con pesi diversi all’interno dello strumento a seconda del valore di borsa.
Esiste però un’alternativa, poco utilizzata e per questo con una scarsa offerta commerciale, che storicamente ha dimostrato di essere un concorrente temibile quanto a risultato finale.
Sto parlando dell’investimento più semplice del mondo. Il cosiddetto “equal weighted”. Qui la regola è una sola. Stesso peso per tutte le azioni che compongono l’indice.
Le differenze tra le due strategie
L’articolo di oggi ha lo scopo di illustrare pregi e difetti di due strategie perennemente messe in contrapposizione, soprattutto quando l’indice a capitalizzazione tradizionale diventa eccessivamente concentrato su pochi titoli e settori.
Un indice è la sintesi numerica di una somma di azioni, obbligazioni o altre asset che lo compongono e che nel tempo vedono variare i loro prezzi di mercato. Tra gli indici più celebri, ad esempio, ci sono lo S&P500, il Nasdaq 100, il FtseMib, l’Msci World.
Ogni indice è rappresentato da un numero più o meno numeroso di titoli. Se prendiamo un indice azionario, quanto le singole azioni pesano all’interno dell’indice stesso dipende dalla metodologia utilizzata per rappresentarlo. Se prevale il metodo del peso per capitalizzazione di mercato, ciascun titolo sarà presente nell’indice in proporzione al valore di mercato totale delle azioni in circolazione.
Ad esempio, prendendo l’indice S&P500 scopriamo che Apple e Microsoft sono i due titoli più “pesanti”. Questi non sono valori definitivi essendo variabili di giorno in giorno in base alle valutazioni di mercato delle azioni. Gli indici periodicamente sono oggetto di ribilanciamento e alcune azioni, sulla base dei regolamenti definiti dai provider, possono essere escluse a favore di nuovi ingressi.
Ogni investitore oggi, all’atto dell’acquisto di un ETF sullo S&P500, sa in partenza che quel giorno investirà oltre il 6% dei propri soldi in Apple, il 5,5% in Microsoft e così via per tutte le altre azioni che compongono l’S&P500.
In questo modo “accetterà” di investire solo lo 0,01%, in Alaska Air tanto per citare una delle ultime compagnie presenti nell’indice S&P500 seguendo il criterio della capitalizzazione di mercato.

Fonte: Xtrackers – ETF Cap Weighted S&P500
Quando si parla di investire seguendo fedelmente “il mercato” si intende esattamente questo. Investire negli indici principali seguendo il principio della loro capitalizzazione di borsa. Non a caso il nome alternativo dato all’approccio cap weighted è market value weighted.
Metodo non perfetto con qualche contro indicazione come vedremo tra poco.
Proprio nel mese di aprile l’ETF Invesco S&P500 Equal Weight (RSP) ha festeggiato 20 anni di vita essendo nato nel 2003. Anniversario arrivato pochi mesi dopo i 30 anni festeggiati dall’indice Market Cap Weighted per eccellenza, lo SPY di SPDR, l’ETF più longevo di una storia che abbiamo ripercorso in questo ETF, l’affascinante storia dell’invenzione finanziaria del ventunesimo secolo.
Due strumenti con lo stesso indice sottostante (S&P500) ma con due filosofie di investimento completamente diverse.
Le prime 10 società che compongono lo SPY, quindi l’ETF con pesi a capitalizzazione di mercato, coprono il 27% dell’indice S&P500.
Le prime 10 società che compongono invece l’ETF di Invesco, essendo tutte pesate allo 0,2%, coprono invece appena il 2% del totale. Le ponderazioni possono poi cambiare tra ETF ed ETF. Ad esempio Xtrackers presenta qualche differenza rispetto ad Invesco come si può vedere dalla tabella,. ma la filosofia di fondo è sempre la stessa.

Fonte: Xtrackers – ETF Equal Weighted S&P500
Pregi e difetti delle due strategie
Il rischio concentrazione su pochi titoli è certamente escluso nella metodologia di replica di un indice a pesi uguali.
Negli ultimi 10 anni lo SPY (a capitalizzazione di mercato) ha battuto RSP di Invesco (tutti i titoli con gli stessi pesi lo ricordo) di quasi 30 punti percentuali.
Allargando però il tiro, a distanza di 20 anni gli equilibri si ribaltano con RSP che ha realizzato una performance del 621% contro il 579% dello SPY.
Quindi investire in parti uguali è meglio di investire rispettando la capitalizzazione determinata dal mercato? Nì.
Come abbiamo visto, due scansioni temporali offrono risultati diversi.
Analisi di più lungo periodo ci dicono che la versione equipesata fa meglio di quella a capitalizzazione sul mercato americano, ma il perché è presto scoperto.
Il maggior peso delle piccole e medie capitalizzazioni. Uno studio su una scansione temporale più ampia e sempre sull’azionario americano lo dimostra in maniera limpida.
Le performance rappresentano però solo un lato parziale della medaglia.
Investire a pesi uguali espone a volatilità maggiore. Infatti l’ETF di Invesco risulta altamente correlato all’indice S&P Mid Cap Index, un benchmark tipico delle società a media capitalizzazione.
Il provider di indice Msci, dal 1994 alimenta un indice Equal Weighted il cui andamento è facilmente recuperabile online. La scheda dell’indice offre anche un interessante confronto con il ben più conosciuto Msci World a capitalizzazione. Quell’indice che troviamo in tutti i principali ETF quotati in Italia e che investono sull’azionario globale del mondo sviluppato.
In quasi 30 anni, il rendimento annuo composto della versione equamente pesata (7,50% annuo composto) non è tanto dissimile da quella del tradizionale indice Msci World (7,64% annuo composto).
Ancora una volta cambia la scansione temporale e cambiano i risultati rimettendo tutto in discussione. Un filo comune però esiste a 10, 20 e 30 anni.
Una volatilità superiore dell’indice Equal Weighted. Questo dato ci permette di calcolare il tipico indicatore utilizzato per misurare un rendimento aggiustato per il rischio, lo Sharpe Ratio. Più favorevole al tradizionale indice a capitalizzazione seppur di poco.
Tornando invece al mercato americano e uscendo da quello globale, notiamo ancora una tendenza più favorevole dell’indice Msci US Equal Weighted rispetto a quello Cap Weghted. Dal 1994 il primo porta a casa il 10,1% annuo composto, rispetto al 9,4% del secondo.
Ancora una volta però il rendimento dell’investimento diviso esattamente in parti uguali, aggiustato per il rischio, diventa più basso.
Risultati confermati da uno studio del 2021 di S&P Index. Dal 1970 al 2020 la supremazia della versione Equal Weight è stata indiscussa dal lato della performance, ma aggiustando per il rischio il rendimento il risultato è stato lo stesso.
Tutti numeri che ci stanno dicendo che se la volatilità dei prezzi non ci spaventa (quindi se abbiamo una ragionevole certezza che questi soldi non verranno ritirati entro parecchi anni) investire su tutte le azioni di un indice con la stessa quota potrebbe offrire un premio di rendimento.
Le diversità non si fermano però solo alla volatilità, ma anche ai fattori che guidano le performance.
Quali sono i fattori che guidano le performance delle due strategie
Il momentum è dominante nel ben più diffuso e celebre investimento a capitalizzazione. Cosa significa questo?
Il fattore “momentum” si basa sull’assunto che le azioni il cui prezzo è recentemente aumentato potrebbero continuare ad aumentare a seguito del continuo afflusso di denaro da parte degli investitori invogliati ad entrare dalla tendenza dominante nella crescita dei prezzi.
Il peso di certi titoli e settori che stanno andando particolarmente bene aumenta e lo fa senza subire ribilanciamenti a favore di quei titoli e settori che, sempre in termini relativi, stanno andando peggio.
Il detto trend is your friend calza a pennello con la strategia cap weighted. Fino a quando la tendenza non si interrompe scoprendo i limiti della eccessiva concentrazione che gradualmente si dissolverà facendo crescere il peso all’interno dell’indice di titoli e settori rimasti più indietro.
Se il prezzo di Apple continua a salire più di quello che fa il mercato nel suo complesso, il suo peso nell’indice aumenterà e anche l’investitore sarà più esposto al titolo. Tutto bene se la crescita del prezzo è legata, ad esempio, a utili in progresso e superiori alle attese; meno bene quando il mercato entra in modalità euforia o addirittura bolla speculativa come nel 2000.
La strategia a pesi costanti non può contare sul “momentum” di mercato costringendo il gestore a mantenere tutte le azioni in portafoglio con le stesse proporzioni. Questo orienta il portafoglio verso un peso superiore dei titoli value a discapito del momentum.
La concentrazione settoriale diventa quindi casuale e legata alla presenza di un certo numero di azioni in un indice.
La minore influenza del momentum può essere considerata un limite in fasi di mercato caratterizzata da lunghe tendenze rialziste come quella 2009-2020. Tra i contro di questa strategia “democratica” c’è una movimentazione più frenetica per ribilanciare continuamente l’indice. Quindi costi maggiori per l’ETF.
Una delle motivazioni che supportano l’idea che l’investimento in indici Equal Weighted fa meglio nel lungo periodo di un Cap Weighted è il modo in cui si formano i rendimenti di un indice.
Nell’articolo “Non è vero che le azioni sono sempre vincenti nel lungo periodo” ho citato una ricerca molto interessante nella quale veniva evidenziato che erano state pochissime le azioni che, in 90 anni di borsa americana, erano state responsabili di un tasso annuo di crescita dell’indice generale del 10% annuo.
La grafica chiarisce ancora meglio il concetto.
La metà del valore dell’azionario americano nel suo complesso (25.332 compagnie) è stata generata dalle società che stanno dentro il quadrato blu.
L’altra metà da quelle che stanno nel quadrato verde.
L’area grigia sono le società che nell’aggregato non hanno apportato nessun contributo.
La causa è da ricercare nella distribuzione non normale dei rendimenti delle azioni; rendimenti che non sono simmetricamente disposti a destra e sinistra attorno alla tipica forma a campana, ma assumono comportamenti di distorsione (skewness usando il gergo tecnico) positiva.
Quindi poche azioni producono rendimenti eccezionalmente alti che possono compensare e superare quelli mediocri o negativi. Con una differenza di non poco conto. La perdita sotto al -100% non può andare. Il guadagno sopra al 100% può andare e non è così infrequente.
Qual è la strategia migliore?
Quindi è meglio investire nel mercato a pesi costanti rispetto al tradizionale metodo della capitalizzazione di mercato?
Dipende da cosa desidera un investitore e da qual è la personale tolleranza per il rischio.
A questo si aggiunge la carenza di prodotti diversificati a livello globale a pesi equamente distribuiti vista la sostanziale assenza di ETF di questo tipo quotati sulla borsa italiana.
La replica a pesi costanti della borsa americana S&P500 è possibile con l’ETF storico e a replica fisica di Xtrackers S&P500 Equal Weighted da oltre 2,5 miliardi di euro di capitalizzazione (esiste anche una versione eur hedged), ma da poco anche con lo “storico” Invesco di cui abbiamo parlato sopra.
Allargando il campo d’azione alla borsa tedesca, iShares offre la stessa tipologia di ETF. Ossiam e VanEck offrono ETF con la medesima caratteristica concentrati sul mercato europeo. Sempre VanEck è l’unica che in questo momento offre un ETF globale con una serie di “difetti” di costruzione dell’indice sottostante da tenere in dovuta considerazione.
VanEck Sustainable World Equal Weight si limita infatti ad avere in portafoglio solo 250 azioni equamente pesate (0,4% ciascuna) di diverse aree geografiche del solo mondo sviluppato. A questo fattore di minore diversificazione si somma un criterio di filtro ESG applicato da una società terza che rende di fatto “attiva” (come una buona parte di ETF che usano rating ESG) la gestione dell’investimento.
Facendo un bilancio tra pro e contro della strategia a pesi costanti possiamo dire che:
Pro della strategia Equal Weighted
Minore concentrazione del rischio, minori bias settoriali, ribilanciamento continuo e costante, approccio più orientato al value e alle medie capitalizzazioni. Se la volatilità non disturba può rivelarsi un’opzione più redditizia nel lunghissimo periodo.
Contro della strategia Equal Weighted
Alta rotazione di titoli, quindi maggiori costi. Difficoltà di trovare strumenti gestiti passivamente al di fuori del tradizionale S&P500. Maggiore volatilità e maggior perdite in fase di ribasso. Fattore momentum meno presente con elevata probabilità di sottoperformare in presenza di lunghi trend rialzisti del mercato. Perderemo per strada i benefici dei super campioni a causa del continuo ribilanciamento.
In conclusione, si può certamente dire che non esiste un vincente o un perdente da questa sfida particolare.
Da una parte la gestione a pesi uguali, nella sua storia, ha dimostrato di essere vincente in termine di rendimento ma perdente in termini di rendimento aggiustato per il rischio.
Dall’altra l’offerta degli ETF è variegata solo per quello che riguarda la borsa americana creando le premesse per un rischio di concentrazione geografico eccessivo che potrebbe annullare il beneficio della strategia a causa di una minor crescita nel lungo periodo dell’azionario USA rispetto a quello del resto del mondo.
Un adeguato mix di strategia e prodotti potrebbe rivelarsi una scelta praticabile per quegli investitori che dispongono di capitali importanti e capacità di diversificare i prodotti molto ampia. In caso contrario sempre meglio partire dal tradizionale investimento a pesi di “mercato”.
Stante la ricerca di Bessembinder, mi risulta difficile capire come mai nel lungo periodo l’EqualW dovrebbe sovraperformare il CapW.
Se infatti con i continui ribilanciamenti per ripristinare il “peso equipesato”, andiamo a tagliare le “gambe” ogni volta ai pochi titoli vincenti che sono appunto i generatori di performance, come è possibile che l’indice EqualW sovraperformi?
In teoria nel CapW questi titoli vengono lasciati correre e questa differenza si dovrebbe riscontrare nella performance complessiva. (ovviamente si parla nel lungo termine, lasciando perdere momenti/condizioni particolari)
C’è qualcosa che non torna… Cosa ne pensa?
Dopo aver studiato a fondo la cosa sono arrivato alla conclusione che se dopo 50 anni le due strategia hanno lo stesso rendimento aggiustato per il rischio tutti hanno ragione.
Il punto è che sono due strategie diverse, guidate da fattori diversi. Large Cap vs Small Cap. Momentum vs Value. Probabilmente il premio per il rischio di Small e Value ha garantito nel lungo periodo quel vantaggio aggiuntivo di rendimento pagando dazio sul fronte della volatilità. Ma contano molto i momenti di mercato e sinceramente temo che andremmo molto dal lato del tirare il dato e sperare di azzeccare quello giusto.
La tua stessa osservazione sullo studio di Bessembinder Giorgio è quella che mi spinge a preferire la versione CW anche se non ho dati concreti che potrebbero sconfessare l’EW. Il problema è anche un altro. Al momento non esistono (almeno non mi risulta) in versione EW degli ETF globali. Esistono solo su S&P500 e questo rappresenta un fattore indiscutibilmente penalizzante per attivare una strategia che a quel punto sarebbe solamente ibrida (S&P500 EW e il resto CW). Non mi convince