By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 22 Maggio, 2023|

Il titolo dell’articolo di oggi vuole celebrare (e non denigrare) i gestori dei fondi di investimento, paradossalmente diventati talmente  bravi da riuscire a fare la differenza in molti casi solo grazie a casuali colpi di fortuna.

Chi mi segue da tempo non ha mai letto in un articolo parole di discredito nei confronti del talento dei gestori di fondi attivi; avendo lavorato nell’ambiente a lungo li considero degli eccellenti professionisti. Non tutti ovviamente, ma quelli che nel corso del tempo hanno dimostrato di saper rimanere sul mercato hanno delle innegabili qualità e competenze finanziarie.

E allora perché scrivo con la stessa frequenza che i fondi a gestione attiva nella stragrande maggioranza dei casi non battono il mercato di riferimento? Perché le evidenze dimostrano questo e i giudizi, le opinioni, l’autoreferenzialità o i paroloni altisonanti, sinceramente non mi hanno mai interessato granché. Mi baso sui fatti, anche se questa cosa a tanti non piace perché spesso spegne i sogni del guadagno facile.

Il paradosso di gestori sempre più bravi ma meno performanti

Sembra essere un paradosso e in effetti lo è. Più bravi stanno diventando i gestori e più difficile sta diventando per loro battere il mercato.

Come Larry Swedroe e Andrew Berkin hanno scritto nel libro “The Incredible Shrinking Alpha”, negli investimenti come nel gioco degli scacchi o nel poker, non è il livello di competenza e bravura assoluto quello che conta, ma quello relativo.

Più i gestori diventano bravi e più quelli scarsi, messi alle corde dalla vertiginosa crescita dei fondi passivi e dalla competizione dei talenti, vengono espulsi dal mercato.

Giusto così, ma paradossalmente questa situazione aumenta (e non diminuisce come ostinatamente borbottano gli avversari della strategia passiva) l’efficienza dei mercati. Più bravi sono i gestori e più le inefficienze si riducono rendendo sempre più sottile il margine di alpha che possono estrarre dal mercato.

Quando il talento è diffuso, e qui sta il paradosso, emergere è sempre più complicato e la fortuna diventa determinante nel risultato finale.

Dal recente “U.S. Persistence Scorecard Year-End 2022” di S&P Dow Jones arriva un grafico molto semplice da comprendere che ci può dare una conferma.

Si prendono i migliori gestori di fondi dall’anno 1 all’anno 5 e si guarda quanti di loro, dall’anno 6 all’anno 10, si posizionano ancora nella metà più performante.
– Con risultati perfettamente casuali il 50% dei gestori vincenti nel primo lustro saranno vincenti anche nel secondo.
– Con risultati determinati dal talento e non dalla fortuna più del 50% dei gestori che erano al top nei primi cinque anni saranno vincenti anche nei secondi cinque.
– Con risultati determinati più dalla fortuna che dal talento meno del 50% dei gestori che erano al top nei primi cinque anni saranno vincenti anche nei secondi cinque.

A quanto pare vince, anche quest’anno, la busta numero 3.

Non divaghiamo troppo, ma è giusto ricordare una piccola ma non irrilevante nota a margine di questa ricerca.

Il 28% dei fondi che si posizionava nel quartile peggiore nel periodo 2012-2017 sono stati liquidati o fusi in altri fondi nei cinque anni successivi.
Per andare nel concreto si sono fatte velocemente sparire le prove.

In uno studio del 2022 dal titolo “Passive Investing, Mutual Fund Skill, and Market Efficiency”, i ricercatori hanno cercato di capire l’influenza che l’ascesa dei fondi passivi ha avuto sulle capacità dei gestori, ma anche sui livelli di rischio e la dispersione dei rendimenti ottenuti dai gestori attivi.

La conclusione è stata questa:  “higher levels of passive investment improve stock market efficiency, consistent with a more skilled mutual fund industry. Current level of passive investment may be lower than optimal from a market efficiency perspective.”

I fondi passivi non stanno facendo diventare inefficiente il mercato

Quindi il mercato è diventato più efficiente proprio grazie alle migliori capacità dei gestori. Ma ancora oggi il mondo del passivo è ben lontano dall’influenzare negativamente la formazione di prezzi efficienti sul mercato. E aggiungo io. Anche ammettendo che i fondi passivi fagociteranno in futuro i gestori attivi, rimarrà sempre qualche sopravvissuto che privo di concorrenza e ricco di competenze saprà estrarre alpha (quindi rendimento aggiuntivo) da un mercato dove i prezzi potrebbero, secondo la teoria dei complottisti, essere più inefficienti.

Chi critica le strategie passive omette, non so quanto volontariamente, di ricordare che il possesso di singole azioni da parte degli investitori è diminuito drasticamente nel corso del tempo, riducendo il rumore di fondo che a sua volta, assieme ai gestori poco preparati, rende più inefficienti i prezzi dei titoli quotati sul mercato.

E quindi torniamo al punto di partenza. Ritrovando a giocare sul campo solo i più bravi, il risultato (il mitico alpha) è difficile da ottenere, perché i margini si fanno sempre più stretti in ambienti super competitivi.

E infatti sempre in meno ce la fanno come abbiamo visto poco fa. E quelli che ce la fanno hanno avuto molto probabilmente una grande mano dalla dea bendata.

Il costo rimane la variabile determinante nelle sottoperformance dei fondi, ma non è il solo

I costi rappresentano la più celebre palla al piede per un gestore. Come le ricerche di Morningstar e SPIVA dimostrano regolarmente i costi rendono le percentuali di fondi capaci di battere il mercato decisamente basse.

L’ultimo rapporto SPIVA di fine 2022 ha messo in evidenza che l’anno scorso il 48,9% dei fondi azionari americani ha battuto lo S&P500. Un numero, che rispetto ai disastri degli anni passati è esaltante, ma che diventa però 25% a distanza di 3 anni e 8,5% a distanza di 10 anni. Quindi tradotto in parole povere meno di 9 fondi su 100 in 10 anni ha battuto il mercato di riferimento.

Un 2022 nerissimo invece per i gestori dei fondi azionari europei che solo nel 13,3% dei casi hanno battuto il mercato di riferimento.

A costi e concorrenza dei passivi si aggiunge anche un altro fattore che tecnicamente si chiama skew positiva. Poche azioni producono rendimenti eccezionalmente alti in grado di compensare e superare quelli mediocri o negativi.

Anche qui tradotto in parole povere. Ogni azione può perdere al massimo il 100%. Ma ogni azione può guadagnare ben più del 100%. Ecco spiegato perché numericamente le azioni che crescono di valore nel lungo periodo sono meno di quelle che non crescono. E nonostante questo i mercati azionari, nel loro complesso, progrediscono costantemente.

I mercati salgono grazie a poche azioni

Il professor Bessembinder, in sua ricerca del passato, aveva compreso che solo il 4% delle azioni erano responsabili del rendimento complessivo delle borse americane dal 1926 al 2016. Ne abbiamo parlato nell’articolo Non è vero che le azioni sono sempre vincenti nel lungo periodo .

L’indice (e quindi un ETF) queste azioni le comprende tutte. Un fondo a gestione attiva no, abbassando le probabilità di avere nella sua scuderia quelle poche storie di successo che sicuramente anche in futuro ci consegneranno i mercati.

Ma il problema per un investitore non è solo che il fondo difficilmente riuscirà a battere il suo benchmark nel medio lungo periodo.

Un nuovo studio sempre di Bessembinder, Cooper e Zhang dal titolo “Mutual Fund Performance at Long Horizons” quantifica in oltre 1 trilione di dollari il capitale lasciato per strada dagli investitori in fondi a gestione attiva rispetto ad un semplicissimo buy and hold della borsa americana nei 30 anni precedenti il 2020.

La sorpresa arriva osservando il rendimento medio dei fondi (7,7% all’anno) e degli investitori negli stessi fondi (6.9% annuo).

Emerge quindi un secondo problema che si somma alla sottoperformance dei fondi a gestione attiva rispetto al mercato. Gli ETF sono una soluzione per l’investitore, ma come sempre vogliamo metterci del nostro e così l’interventismo fa spesso più danni che utili.

La mancanza di disciplina degli investitori che non rispettano l’orizzonte temporale dichiarato nel piano finanziario, entrando e uscendo in momenti spesso sbagliati, non fa altro che aumentare ancora di più il gap di rendimento rispetto ai ritorni offerti da un semplice ETF che replica un altrettanto banale indice globale.

E la sfiducia di molti investitori verso la pratica dell’investire il denaro risparmiato crea le premesse per un immobilismo (o in alcuni casi nella ricerca di scorciatoie per diventare ricchi in fretta) che provocherà danni irreparabili nella vita e nel benessere finanziario futuro. Perché, come dico spesso, indietro non si ritorna e riparare i danni è sempre più difficile.

Buon investimento.

4 Commenti

  1. Nico 27 Maggio 2023 at 21:46 - Reply

    Lorenzo la ringrazio per avermi risposto: avrei 2 etf azionari, un world e un europeo, con interessante plus, eventualmente da affrancare. Non mi è molto chiaro quando parla di orizzonte temporale: più è lungo e più dovrebbe essere favorevole all’affrancamebto o è vero il contrario? Anche dovesse esserci recessione e crollo azionario, con prezzo che andasse sotto il nuovo pmc, non avendo esigenza di vendere, che comporterebbe? Non lo so, sembrerebbero concetti facili, ma forse lo sono troppo per esser realmente convenienti al risparmiatore?

    • Lorenzo Biagi 27 Maggio 2023 at 23:18 - Reply

      Se il guadagno è importante e non hai intenzione di ricomprare gli ETF direi che non ci sono dubbi è conveniente. Se invece te li vuoi ricomprare va sempre valutato il costo opportunità di pagare le imposte subito (quindi non investire quella cifra) e più è lungo il tempo più questo effetto si può sentire naturalmente se parliamo di migliaia di euro di imposte. Poi ci sono le commissioni di vendita e successivo riacquisto. Comunque sempre meglio farsi consigliare da un consulente e tenere presente che il prezzo di carico nuovo sarà quello del 31.12.2022

  2. Nico 23 Maggio 2023 at 23:27 - Reply

    Buonasera, mi scuso in anticipo per la domanda e per essere OT con questo argomento, ma cercando indietro mi sembra che non abbiate trattato l’argomento: vorrei chiedervi gentilmente se riteneste vantaggioso in ogni caso l’affrancamento degli etf, anche se ci fosse l’intenzione di detenerli per il prossimi venti anni e ovviamente avendo la liquidità necessaria a pagare l’imposta. O girando la domanda, quando o perché non converrebbe? Grazie e buon lavoro

    • Lorenzo Biagi 24 Maggio 2023 at 18:24 - Reply

      In ogni caso no, va valutato caso per caso. Ovviamente no per le polizze, non per i fondi obbligazionari, da verificare per i bilanciati, per gli azionari ovviamente in utile e anche qui dipende. Tempo e percentuali di rendimento attesi fanno la differenza. Ovviamente se l’asset andasse in perdita non converrebbe perché si pagherebbero tasse a fronte di nessun utile. Insomma situazione che va analizzata caso per caso e solo per certi ETF. Ti consiglio questo video https://youtu.be/u9Jh3L3s14w del Prof. Coletti che spiega le varie casistiche con Excel

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