Sono in giro per il Giappone in questi giorni e, nonostante sia “tecnicamente” in ferie, ho sentito l’esigenza di scrivere una newsletter: soprattutto dopo aver letto un articolo, prima di partire, che dettagliava come in 10 anni di mercato, l’indice azionario italiano fosse tornato al punto di partenza (l’articolo in questione lo trovate qui).
L’esigenza è nata dopo che ho avuto delle tragiche conferme anche qui in Giappone delle tematiche dell’articolo citato sopra: girando per Tokyo e Kyoto, ho rivisto certi nomi di aziende che conoscevo a menadito da fine anni ’90.
Le conoscevo perchè ho lavorato sul finire degli anni 90 e fino al 2008 prima per una banca giapponese (Daiwa Securities) e poi per un’americana (Merrill Lynch), come responsabile del mercato azionario asiatico e giapponese per la clientela italiana.
In questo articolo scriverò quindi di come:
- paradossalmente, il Giappone e l’Italia siano molto simili in quanto a performance del mercato azionario, nonostante siano paesi per certi versi agli antipodi;
- pur essendo agli antipodi culturalmente, storicamente e socialmente, hanno praticamente le stesse problematiche quando si tratta di investire nelle aziende quotate in Giappone ed in Italia;
- l’esperienza di 20 ed oltre anni sui mercati finanziari, alle volte serva per evitare di investire in mercati e titoli trappola, come sono quelli giapponese ed italiano appunto.

20 anni “persi” di investimento nel mercato azionario Giapponese (Nikkei225 – linea blu: +0.4%) e quello italiano (MIB – linea rossa: -35%)…non ci sono parole
Con i mercati americani che hanno segnato nuovi massimi proprio di recente (lo S&P500 ha rotto la barriera di 3000 punti settimana scorsa), non posso fare a meno di illustrare, con una serie di esempi, come invece a livello di investimento azionario Giappone e Italia siano stati molto simili e terribilmente negativi negli ultimi 10 e 20 anni: questo perchè hanno problematiche simili nelle aziende che decidono di quotarsi in borsa.
Le aziende si quotano in borsa, vendono le loro azioni e noi dobbiamo decidere se investirci sopra o meno: di fatto, ne diventiamo soci.
Perchè, fondamentalmente, di questo si tratta: quando si compra un’azione, un ETF o un Fondo di investimento azionario, si diventa soci di quella o di quelle aziende e, diventandone soci, si cerca di crescere insieme a loro, di modo che il nostro investimento (azione, ETF o fondo che sia) cresca anche lui insieme all’azienda.
Perchè, quindi, un titolo/ETF/Fondo azionario sale ed aumenta il suo valore?
Perchè l’azienda (nel caso del singolo titolo) o le aziende che lo compongono (nel caso dell’ETF o Fondo) sono in grado di produrre:
- fatturato,
- margini operativi,
- utili,
- flussi di cassa e
- dividendi
- tutti in crescita anno su anno, a seguito della loro capacità di stare sui mercati, competere adeguatamente e offrire servizi e prodotti migliori della concorrenza.
Ovviamente le aziende non possono crescere e far crescere fatturato/utili/dividendi sempre in linea retta: ci saranno alti e bassi, ma se il management è di qualità, i prodotti e servizi altrettanto e, SOPRATTUTTO, stanno attente agli azionisti di minoranza (cioè noi) pagando dividendi e facendo riacquisto di azioni proprie, allora nel medio lungo termine il titolo salirà (Scriverò una newsletter a tal riguardo sullo strumento principe per esporsi al mercato americano, ovvero l’ETF sullo S&P500 appunto).
Ma non è così in Giappone: e nemmeno in Italia. Guardiamo qui sotto qualche esempio “illuminante”.

10 anni di investimento nelle banche principali dei due paesi: Mizuho Financial -10% ed Intesa San Paolo -10%….è un caso?

15 anni di due colossi del mercato Giapponese ed Italiano: Mitsubishi Heavy Industries 0%, Finmeccanica/Leonardo addirittura -20%…è un altro caso?

La nostra famosa Tenaris: dopo 15 anni -10%, con la sua omologa Nippon Steel addirittura -40%…altro caso?

Il mondo delle assicurazioni: grafici praticamente simili da oltre 15 anni, T&D holdings -50%, le tanto amate Generali -20%…ma tanto pagano un bel dividendo???

Ok, qui spariamo sulla croce rossa: la nostra blue chip per definizione dei tempi andati, Telecom Italia, -90% in 20 anni, NTT -45%….

Un confronto spurio, ma indicativo: due superstar dei portafogli dei giapponesi e degli italiani…dopo 20 anni, Sony -58%, ENEL solo +5%
La morale quindi quale è:
- Giappone ed Italia, da un punto di vista industriale ed economico, sono da anni in declino strutturale: non ci sono stati investimenti nè dal lato privato nè da quello pubblico su infrastrutture (in Giappone sì, ma assolutamente a vanvera), nè su istruzione ed università, nè interventi sulla pressione fiscale alle imprese (storicamente alta in entrambi i paesi)
- La politica ha giocato un ruolo fondamentale, non intervenendo nel fare le riforme strutturali per liberalizzare maggiormente i servizi nei rispettivi paesi – ad esempio, occupando militarmente posti di potere come nelle municipalizzate cittadine;
- Sia il Giappone che l’Italia hanno un alto tasso di risparmio da parte delle famiglie che, però, invece di essere investito per farlo crescere (leggi azionario americano o investendo nei fondi pensione integrativi), viene convogliato nei JGB giapponesi a rendimenti negativi e nei nostri amati BTP (a zero rendimento) – ovvero non c’è una cultura dell’importanza di investire i propri risparmi nel mondo azionario;
- Entrambi i paesi hanno una demografia terribile, con molti più anziani, già ora ed in prospettiva, rispetto ai giovani che drenano risorse allo stato ed ai privati per la spesa pensionistica: e nessuno dei due paesi ha una politica di gestione positiva dell’immigrazione, per cambiare i trend demografici – purtroppo, in paesi come il Giappone e l’Italia servirebbe una seria politica di accoglienza dell’immigrazione, mentre i giapponesi non amano mischiarsi con gli stranieri ed in Italia….lasciamo stare.
- Il risultato è che questi due paesi sono ai primi posti al mondo in termini di ammontare di debito pubblico accumulato negli anni, rispetto alla ricchezza che viene prodotta ogni anno (PIL): Giappone al 230%, l’Italia al 135% con il risultato che la spesa per interessi drena risorse ai due paesi che dovrebbero essere investite per far crescere il paese.

Giappone ed Italia: primo e secondo al mondo ma per un record non esattamente invidiabile.
E quindi?
- A molti sembra strano quando dico che non vedranno Italia nei portafogli gestiti dal sottoscritto: dovrei aggiungere, effettivamente, Italia E Giappone. O per lo meno in misura marginale e su storie ben specifiche che pure ci sono: come pur descritto dall’articolo citato, ci sono titoli come Amplifon, Campari, Moncler, Technogym ed altri che invece sanno remunerare bene gli azionisti, ma sono una sparuta minoranza e sono tutti, guarda caso, esportatori e non esposti all’Italia più di tanto;
- In ogni caso, pochissima o nulla esposizione all’Italia ed al Giappone perchè sono due paesi che non crescono e, anzi, si avvitano in politiche economiche o inesistenti o che creano ulteriore debito;
- Ed i mercati azionari e le relative performance tremende di questi due paesi sono, poi, lo SPECCHIO di quanto sopra;
- Non si può, quindi, pretendere che i mercati azionari crescano se le aziende che li compongono sono zavorrate da paesi che non investono o non le aiutano a crescere;
- E, per finire, 20 anni di esperienza sui mercati finanziari a qualcosa possono servire: non sono prese di posizione bizzarre quelle di non avere Italia e/o Giappone in portafoglio, perchè i numeri erano chiari già oltre 10 anni fa;
- e l’esperienza serve ad evitare di fare errori classici nella gestione dei propri risparmi, espondendosi troppo al proprio mercato domestico, come sarebbe stato essere investiti in Giappone e/o Italia negli ultimi 10/20 anni.