By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 28 Maggio, 2015|

In precedenti post abbiamo cercato cercato di dare una spiegazione al perché le analisi che spesso trovate nel blog sono incentrate su borsa e bond americani. La semplicità di reperire fonti storiche affidabili e soprattutto uniformi (stessi indici) è alla base del ragionamento. Quando però si trovano in rete delle ricerche ex USA che possono allargare lo sguardo ad altri paesi sono ben contento di condividerle. Approfitto a questo proposito di un bel post di Monevator  il quale a sua volta riprende un recente studio di Barclays.

L’analisi mira ad identificare i ritorni dell’asset class azionario ed obbligazionaria inglese dal 1899 al 2014. Il primo grafico mostra il ritorno cumulato in termini nominali reinvestendo cedole e dividendi; attenzione perché questi due elementi sono da tenere in dovuta considerazione. Se infatti l’inflazione di fatto abbassa il rendimento di qualsiasi investimento definendo così un ritorno reale “spendibile” sul mercato al netto della variazione dei prezzi al consumo, il reinvestimento del cosiddetto income (cedole+dividendi) è un elemento cruciale e spesso sottovalutato dagli investitori.

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Acquistare prodotti a cedola ha senso per chi vuole avere flussi di cassa spendibili in modo regolare, ma se si opta per un piano di investimento di lungo periodo acquistare prodotti a distribuzione non è affatto una scelta di buon senso. Questo ce lo dimostra il grafico seguente che mostra lo stesso andamento di bond e azioni senza però tenere in considerazione cedole e dividendi reinvestiti (in pratica si considerano spesi ed oltretutto non si sfrutta l’effetto capitalizzazione del reinvestimento di queste importanti fonti di reddito). Se non si reinveste l’income che arriva da bond e azioni il vostro ritorno sarà di molto ridimensionato (guardate la scala di destra del grafico per comprenderlo meglio).

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Ma passiamo ai numeri e vediamo cosa ha espresso la Gran Bretagna dal punto di vista finanziario negli ultimi 115 anni.

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La tabella ci mostra i ritorni annui reali delle principali asset class anche se i riscontri storici più ampi li abbiamo sulle tre principali, azioni, bond governativi e cash.

L’aspetto singolare in questo caso è legato alla vicinanza tra il ritorno dei bond e quelle delle azioni su un orizzonte temporale a 10 e 20 anni; la crisi del 2007-2008 di fatto aveva portato il ritorno annuo azionario nel periodo 1999-2009 sotto la linea dello zero (-1,2%) e la causa è da ricercare tutta qui. Se a questo sommiamo una politica monetaria molto espansiva combinata ad un QE aggressivo i bond tutto sommato ne escono vincitori con numeri sopra alla media storica. Se infatti guardiamo alla media di lungo periodo non sono le azioni ad avere deluso (a 115 anni la media è pari al 5% annuo), ma le obbligazioni ad aver sorpreso con ritorni 3/5 volte superiori la media di lungo periodo.

Se perciò dovessimo lucidamente fare delle considerazioni di lungo periodo per un ragazzo che comincia ad investire ora non ci dovrebbero essere tanti dubbi sul fatto che prima si comincia meglio è. Utilizzando il giusto equilibrio ma dando sempre alla componente azionaria un peso maggiore che, tramite il classico Piano di Accumulo di strumenti a basso costo possibilmente a reinvestimento automatico di dividendi e cedole e possibilmente con un ribilanciamento dell’asset allocation annua, porterà nel lungo periodo ai numeri che anche la Gran Bretagna ci ha dimostrato essere ottenibili in un ciclo di vita lavorativa.

Se la liquidità ritorna veramente poco al di sopra dell’inflazione in termini di rendimento ed è The King solo per le esigenze di spesa o di imprevisto di breve periodo, i bond possono avere la duplice funzione di ammortizzatore nelle fasi difficili dei mercati azionari o di strumento di investimento maggioritario per chi ha un orizzonte temporale massimo di 10 anni. Se invece andiamo oltre non possiamo non prendere in considerazione le azioni, pagando qualcosa in termini di volatilità per ottenere un rendimento teoricamente maggiore.

Questa è teoria lo ripetiamo e la Gran Bretagna ci ha dimostrato come maggior rischio negli ultimi 10 e 20 anni non ha ripagato. Nulla è certo in finanza ed è per questo che diversificare serve per ridurre il rischio ma anche sfruttare le opportunità. Se alle azioni inglesi avessimo abbinato per esempio quelle americane il risultato sarebbe risultato certamente più elevato.

Le stesse aspettative che si possono nutrire oggi su un mercato azionario hanno dei margini di errore notevoli. Pensate che il metodo più efficace (ovvero il CAPE di Shiller) riesce a spiegare solo il 40% dei futuri rendimenti il resto è affidato all’aleatorietà. Non fatevi quindi spaventare da tassi bassi e azioni care, cominciate ad investire fin da subito seguendo le regole di buon senso già esplicate nel blog e non ho dubbi che non rimarrete delusi fra qualche decina di anni.

Fonte: Monevator

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