Uno dei punti fermi dell’investitore di buon senso è quello che nel lungo periodo i mercati azionari crescono sempre. Naturalmente su un’affermazione vera e finora incontestabile che proviene dai dati storici, tanti personaggi che bazzicano nel mondo della finanza ma che potrebbero tranquillamente vendere manici di scopa in Cina visto il non elevato livello di competenza ed esperienza nel campo, ricamano storie che ingannano colui che gli paga lo stipendio, ovvero il cliente.
Non tutti lo fanno in malafede, ma parecchi di questi personaggi ambigui sfruttano certi miti per sottrarre dai portafogli dei clienti fior fiore di commissioni tanto come si sa, nel lungo periodo tutto passa. Carpe diem direbbe qualcuno.
Ma a cosa mi riferisco nello specifico? Beh ogni tanto ho la tendenza ad osservare i dati storici dei principali indici finanziari (che lo ricordo sempre non rappresentano ciò in cui investe il cliente visto che bisogna sottrarre alle performance costi, capital gain e imposta di bollo) e farci su qualche ragionamento.
Nei giorni scorsi leggendo qua e là alcuni siti finanziari specializzati l’occhio mi è caduto sulle rosee prospettive che dovrebbero caratterizzare nei prossimi anni le azioni giapponesi. Allora ho pensato a 20 anni fa quando ho cominciato a lavorare in questo mondo. Eravamo prossimi allo scoppio di una delle bolle speculative più grosse della storia ma gli investitori sembravano impazziti. Compravano tutto ciò che si chiamava .com, il Giappone sembrava il nuovo Eden proprio per la sua industria hi tech, l’Europa sembrava la culla di start up innovative che in Italia si chiamavano Seat, Tiscali, Freedomland (mamma mia!) e via così.
Sappiamo tutti com’è andata. Chi non ha scelto il solito noioso, ma efficacie strumento della diversificazione è rimasto con un pugno di mosche in mano. Chi invece ha avuto la lungimiranza di investire in fondi ben diversificati si è reso conto di quale valore ha questa semplicissima strategia di risk management. Già ma effettivamente quanto hanno diversificato questi lungimiranti?
Già perchè qui sta un tema non di poco conto. Il motivo per il quale batto continuamente il tasto degli investimenti globali (poi scegliete voi se a cambio aperto o coperto) è perchè a volte la geografia presa singolaramente (come i settori) a volte porta bene (vedi America) altre volte no.
Ecco quindi i grafici di tre indici che ho scelto per dimostrare cosa è successo. Parliamo dell’indice della borsa giapponese, di quello europeo e di quello inglese. Ho lasciato perdere quello italiano perchè andavamo ahimè troppo fuori scala. Sotto a questi tre trovate l’indice Msci World. Tutti quanti sono in versione price, ovvero senza dividendi reinvestiti.
La linea blu che ho tracciato in orizzontale a partire dal 2000 ci dice praticamente tutto. Dopo 20 anni le borse giapponese, inglese ed europea non hanno guadagnato nulla in termini di prezzo, anzi sono addirittura sotto. L’indice Msci World (l’ultimo in arancio) svetta imperioso con un rialzo di quasi il 50% da allora.
Quindi Archeowealth ci hai raccontanto un sacco di balle finora. Le borse non crescono sempre nel lungo periodo! E poi in 20 anni appena il 50%? Fa meno del 3% all’anno.
Calma ragazzi. Intanto vi ho sempre detto che la scelta migliore sono le borse prese nel loro insieme, ovvero quelle globali. Se un’area del mondo va male, solitamente un’altra va meglio. Se il mondo progredisce, le borse fanno altrettanto.
E poi a questo grafico manca un fattore fondamentale, i dividendi. E voilà, ecco che i numeri rossi improvvisamente dipendono verdi.
La magia del dividendo reinvestito ha fatto il miracolo portando anche il derelitto (ma ricchissimo di dividendi) indice inglese sopra lo zero in termini di rendimento complessivo. Il famoso indice mondiale tradotto in Euro ha permesso agli investitori di raddoppiare il capitale con un eccellente 4,3% di rendimento annuo composto lordo. Ricordo che siamo passati in mezzo a tre recessioni e due correzioni da oltre il 50%.
Anche con questa magia possiamo però notare una cosa. Ci sono mercati come quello giapponese che hanno raccolto a malapena lo 0,8% all’anno lordo in questi 20 anni. Quello europeo sfiora il 3%, quello inglese poco più del 1%.
In pratica i dividendi hanno permesso a questi investimenti di galleggiare sopra la linea dello zero, non certo di far diventare ricco chi ha puntato esclusivamente su di loro. Senza i dividendi il guadagno semplicemente non ci sarebbe stato.
Stagnazione secolare? Non lo so. Due decenni persi? Questo sicuro. Occasioni per il futuro viste le deludenti performance? Chi lo sa. Potrebbe essere l’America vittima dello stesso andamento grafico fra 20 anni? Può darsi.
Ogni speculazione geografica o settoriale ha sempre degli elementi di imprecisione notevoli quando si punta su di essa per programmare il proprio futuro finanziario. Il famoso lungo periodo non garantisce nulla lo sappiamo. Se però stiamo dalla parte delle maggiori probabilità di successo non avremo rimpianti. Figuriamoci poi se ci mettiamo nel mezzo a speculare su certe specifiche scommesse piuttosto che facendo trading costosi e nel 95% dei casi (almeno questo dicono le statistiche) perdenti.
Investite in modo globale e diversificato, in maniera semplice e poco costosa. I risultati con pazienza arriveranno. Buon investimento.
Si pensi al NASDAQ 17 anni per recuperare il livello del 2000…altro che la tecnologia sale sempre
Avendo “investito” per tanti anni proprio in Giappone, come equity sales per i gestori dei fondi italiani con focus Giappone alla Merrill Lynch, posso dire solo una cosa: il Giappone si è solo meritato una performance così scarsa in 20 anni per l’idiosincrasia delle.aziende quotate giapponesi a focalizzarsi sul ritorno di valore agli azionisti…. l’unico loro focus era mantenere al.potere e proteggere il management, anche in presenza di gestioni aziendali terrificanti. Con il beneplacito dei regulators e, peggio ancora, degli azionisti di minoranza che chiamavano la polizia, durante le assemblee degli azionisti, per fare espellere gli azionisti stranieri (americani in particolare) che chiedevano un voto contro il management. Il Giappone è come l’Italia da.molti punti di vista: si “gioca” in borsa, non si investe. E non c’è la cultura dello shareholder value come in USA, dove per lo meno il management sa che viene rimosso se l’azienda non viene gestita nell’interesse degli azionisti (e dei fondi pensione che investono nell’azionario Usa da sempre, a differenza di quelli giapponesi e Italiani ad esempio.)