By |Categorie: Educazione finanziaria|Pubblicato il: 7 Agosto, 2023|

Spesso parliamo di ETF come gli strumenti più efficienti e a costi bassi per replicare quello che fa il mercato. Sono infatti strumenti che seguono una gestione “passiva”, perché replicano fedelmente un determinato mercato, a differenza dei fondi di investimento che seguono una gestione attiva cercando di fare meglio del mercato.

Ma di che “mercato” stiamo parlando? È fondamentale capire, davvero, di che mercato si stia parlando perché la performance di quel mercato diventerà il punto di riferimento e di paragone per la performance dell’ETF e del Fondo.

Iniziamo con il dire che il mercato è fondamentalmente un indice di borsa: esempi di benchmark sono lo S&P500 per gli USA, l’Eurostoxx 50 per l’Europa e il nostrano FTSEMIB per l’Italia.

Il punto in comune quindi sia degli ETF che dei fondi comuni di investimento è l’indice di mercato (benchmark) sul quale sia gli ETF che i fondi fanno riferimento.

Ma cosa sono questi indici e come si costruiscono?

Cosa sono e le finalità dei benchmark

I benchmark rappresentano portafogli di titoli considerati rappresentativi di un certo comparto del mercato mobiliare, ovvero di mercati azionari, obbligazionari e altre classi di investimento. La tipologia di comparto può essere assai varia, ad esempio un benchmark può rappresentare l’andamento del mercato azionario mondiale o solo del mercato azionario italiano oppure solo del mercato obbligazionario dei Paesi dell’Area Euro.

Il benchmark viene utilizzato per diverse finalità:

  • fornisce agli investitori, ma anche ai gestori professionali, un’indicazione generale sull’andamento di determinati comparti del mercato azionario o obbligazionario che rappresentano; un investitore, ad esempio, osservando l’andamento di un determinato benchmark negli ultimi 10 anni può farsi un’idea del rendimento offerto dal mercato azionario (se il benchmark rappresenta un paniere di azioni) o della volatilità del periodo preso in considerazione.
  • è utile per misurare il grado di correlazione dei mercati osservando le variazioni nel tempo di indici di borsa di mercati differenti, ricavando informazioni sulla possibilità di diversificazione del portafoglio.
  • Le informazioni che si possono desumere analizzando i rendimenti storici del benchmark sono importanti per definire l’asset allocation di un portafoglio e quindi la scelta dei pesi da assegnare ai diversi possibili mercati.
  • Inoltre, il confronto ex post della performance del gestore con quella del benchmark è fondamentale per valutare l’operato del gestore, sia per quanto riguarda il rendimento ottenuto sia per quanto riguarda il rischio assunto.

La costruzione di un benchmark per i portafogli azionari e obbligazionari

Per la costruzione di un benchmark bisogna rispettare determinati requisiti di rappresentatività, di replicabilità, di trasparenza e di oggettività:

  • Il requisito di rappresentatività richiede che i titoli all’interno del paniere comprendano tutte le opportunità di investimento possibili sul mercato. Pertanto, un benchmark è tanto più rappresentativo quanto più ampio e significativo è il campione di titoli prescelto.
  • Per replicabilità di un benchmark si intende la capacità dei titoli all’interno del benchmark di essere concretamente utilizzabili e movimentabili da parte dei gestori. Questo requisito è importante per i gestori che vogliono perseguire una strategia di investimento passiva, in quanto il loro obbiettivo sarà quello di comprare esattamente un portafoglio di titoli identico a quello del benchmark. Questo significa che, nel paniere del benchmark, non ci dovranno essere titoli poco liquidi e quindi più difficili da negoziare perché questo comporterebbe costi di transazione elevati che penalizzerebbero la performance del gestore passivo;
  • I requisiti di oggettività e di trasparenza si riferiscono alla necessità che il benchmark sia costruito secondo regole non arbitrarie e comprensibili per le parti in gioco (gestore, l’intermediario finanziario e il cliente finale).

Le scelte fondamentali per la costruzione di un benchmark sono tre e riguardano:

  1. Quali titoli devono essere inclusi nel paniere (la composizione del benchmark);
  2. Quale peso assegnare a ciascun titolo all’interno del paniere (la ponderazione dei titoli nel benchmark);
  3. Se e come considerare nel calcolo del rendimento i flussi di cassa intermedi (cedole o dividendi).

La composizione del benchmark

Bisogna innanzitutto distinguere fra indici generali e indici parziali. Gli indici generali sono quelli che includono la totalità dei titoli negoziati in un certo comparto, mentre gli indici parziali ne includono soltanto una parte. Gli indici parziali sono costruiti selezionando i titoli di un determinato settore, oppure considerando i titoli guida di un determinato comparto, sulla base dei criteri di capitalizzazione e di liquidità degli scambi. Questi indici vengono chiamati “blue chips”.

Per la composizione degli indici del mercato obbligazionario ci sono determinati criteri da tenere in considerazione:

  • La tipologia dell’emittente, perché il rendimento di un titolo obbligazionario non dipende solo dal livello dei tassi di interesse ma anche dal rischio di credito dello specifico emittente. Per capire l’andamento del mercato obbligazionario guardando il benchmark di riferimento è opportuno che nell’indice siano stati selezionati titoli che abbiano rischio di credito omogeneo. Di solito, infatti, si prendono in considerazione nei benchmark titoli di Stato. Un indice di soli bond government di solito consente di selezionare una componente di mercato più liquida rispetto al mercato delle obbligazioni societarie (le cosiddette obbligazioni corporate). Per i titoli corporate esistono specifici indici che vanno a cogliere l’andamento di titoli diversi da titoli di Stato, i quali hanno maggior rischio di credito e si distinguono, in base al rating, in titoli investment grade e titoli speculative grade.
  • Le caratteristiche tecniche dei titoli, perché è necessario selezionare titoli che abbiano caratteristiche tecniche sufficientemente omogenee, per questo ci si concentra prevalentemente su titoli a reddito fisso che non abbiano particolari opzioni a favore dell’emittente oppure del sottoscrittore.
  • La vita residua dei titoli: si è soliti considerare titoli che abbiano vita residua almeno di un anno, perché i titoli prossimi alla scadenza vengono negoziati a prezzi che esprimono più l’andamento dei tassi d’interesse a breve termine invece che i tassi del mercato obbligazionario. Quindi di solito si eliminano i titoli all’interno dell’indice quando la loro vita residua arriva alla soglia dei 12 mesi.
  • La liquidità dei titoli: i titoli più liquidi sono scambiati attivamente con continuità e questo consente di valutarli giornalmente sulla base dei prezzi di mercato, aumentando l’oggettività dell’indice. Inoltre, i titoli meno liquidi sono caratterizzati da differenziali denaro-lettera più elevati, ciò comporta che se un gestore volesse replicare il benchmark acquistando gli stessi titoli nel paniere si troverebbe a pagare tali differenziali con la conseguenza di un peggioramento della performance rispetto al benchmark.

 La ponderazione dei titoli nel benchmark

Per quanto riguarda invece il peso che ciascun titolo ha nel benchmark ci sono quattro possibili modalità di ponderazione:

  • Price weighted: è un metodo in cui i pesi dei titoli all’interno dell’indice vengono ponderati per il loro prezzo. Dunque, il peso di ciascun titolo è dato dal rapporto fra il prezzo del titolo stesso e la somma dei prezzi. La variazione percentuale complessiva dell’indice di borsa calcolato con questo metodo è pari alla media ponderata delle variazioni dei singoli titoli. Questo metodo però presenta dei limiti, un benchmark price weighted è di fatto un paniere di titoli composto da un titolo per ogni società, in cui non si tiene conto dell’importanza della società ma si guarda solamente la società il cui prezzo unitario è maggiore.
  • Equally weighted: questa modalità invece assegna a ciascun titolo lo stesso peso all’interno del paniere, non tenendo in considerazione il peso e la rilevanza delle società.
  • Value weighted: questo metodo calcola i pesi dei titoli all’interno del paniere in base alla loro capitalizzazione. Questa potrebbe essere la soluzione ai limiti dei metodi precedenti perché è più sensato rispetto al primo metodo che tiene conto solamente del prezzo o rispetto al secondo che assegna pesi uguali per tutti i titoli.
  • Float weighted: La quarta modalità è determinata utilizzando il flottante dei singoli titoli come fattore di ponderazione. A differenza del value weighted, il peso di ciascun titolo è fissato in funzione dell’ammontare di azioni che sono liberamente negoziabili sul mercato (nel calcolo del flottante non si tiene conto di singoli azionisti che hanno partecipazioni superiori al 5%, a meno che non si tratti di fondi comuni di investimento o fondi pensione).

Uno dei motivi per i quali si costruisce indici basati sul flottante e non in base alla capitalizzazione consiste nell’evitare che i titoli di grandissime società, ma con flottante ridotto, abbiano un peso sproporzionato rispetto ad altre società di piccole dimensioni ma con flottante più elevato. Questo metodo di ponderazione è inoltre preferibile per chi persegue una gestione passiva di replica del benchmark, perché può facilitare il gestore nell’acquisizione dei titoli. Se infatti una società ha un’elevata capitalizzazione ma basso flottante, il gestore sarà costretto ad acquistare molti titoli della società se si utilizza un indice di ponderazione value weighted. Questo creerebbe un ingiustificato eccesso di domanda di titoli di quella società, mentre altri titoli disponibili sul mercato sarebbero relativamente pochi. Con la ponderazione basata sul flottante questo non accadrebbe. Bisogna definire in modo chiaro le regole per identificare quale parte di azioni della società viene considerata flottante e quale no, perché questo può incidere significativamente sul peso del singolo titolo all’interno del benchmark.

Il cambio di peso di un titolo all’interno del benchmark è importante per i gestori, sia per quelli passivi che per quelli attivi, perché comporta un aumento o diminuzione del peso dei titoli in questione anche all’interno del loro portafoglio determinando ordini di acquisto e di vendita che avranno un impatto significativo sul prezzo dei titoli stessi.

Per il mercato obbligazionario, la scelta è semplice perché si ricorre sempre alla modalità value weighted, quindi il peso è proporzionato all’ammontare in circolazione di ogni titolo obbligazionario presente nel paniere, calcolato a valori di mercato.

Le modalità di trattamento dei flussi di cassa nel benchmark

Il terzo elemento per la scelta di costruzione di un benchmark riguarda la modalità di trattamento dei flussi intermedi dei titoli presenti nel paniere del benchmark. Si distinguono gli indici di prezzo e gli indici di performance.

Nel mercato azionario, gli indici di prezzo si basano solo sul prezzo dell’azione senza considerare i dividendi nel calcolo della performance. Quando un titolo stacca il dividendo e il prezzo diminuisce per effetto dello stacco, la variazione viene registrata come se si fosse verificato un normale ribasso di prezzo. Gli indici di performance invece considerano anche i dividendi nel calcolo della performance. Utilizzando un indice di prezzo si rischia di sottostimare il rendimento prodotto dal mercato azionario perché il rendimento che ottiene un investitore comprende anche i dividendi che invece non sono considerati nel calcolo dell’indice. Questo significa che per il gestore sarà più semplice conseguire una performance superiore rispetto al benchmark. L’indice di performance, invece, presuppone che i dividendi siano reinvestiti immediatamente; questa è un’ipotesi un po’ irrealistica perché ci possono essere ritardi nel reinvestimento e inoltre è troppo costoso reinvestire i dividendi acquistando piccole quantità di tutti i titoli presenti nel benchmark.

Nel mercato azionario gli indici più utilizzati sono indici di prezzi mentre nel mercato obbligazionario gli indici a cui si ricorre più frequentemente sono gli indici di performance. Per le obbligazioni l’importanza delle cedole è solitamente superiore rispetto ai dividendi per le azioni; pertanto, un indice di rendimento che trascurasse le cedole sarebbe di fatto inutilizzabile.

Esempio: l’indice azionario americano s&p 500

Lo S&P500 è un indice parziale blue chips, rappresenta 500 titoli di società quotate a New York (NYSE  e Nasdaq), rappresentative dell’80% circa della capitalizzazione di mercato.

Borsa Italiana ci dice che “Tutti i titoli in questione sono relativi ad aziende statunitensi con una capitalizzazione di mercato superiore a 6,1 miliardi di dollari, un flottante del 50% almeno, un volume di scambi mensili, negli ultimi 6 mesi, non inferiore a 250.000 azioni ed un valore medio annuale del titolo, superiore a 1,0 dollaro. Le società in questione devono inoltre presentare un utile di bilancio nei 4 precedenti trimestri, inteso come somma totale.”

Lo S&P viene calcolato utilizzando il metodo Float weighted, perciò, la ponderazione delle azioni all’interno dell’indice si basa sul valore di mercato del flottante, cioè quella parte di azioni effettivamente negoziabile.

Per quanto riguarda invece la modalità di trattamento dei flussi di cassa, lo S&P 500 è un indice di prezzo. Non tiene quindi in considerazione i guadagni derivanti dai dividendi, ma considera solamente i movimenti dei prezzi delle società che lo compongono.

Considerazioni finali

È importante capire le modalità di costruzione degli indici perché, per noi consulenti, è la base sulla quale costruiamo i portafogli diversificando il patrimonio su diversi mercati ed indici (ma devono essere quelli giusti!).

Per gli investitori gli indici servono per poter fare le comparazioni con i gestori dei fondi che dicono di saper battere il loro benchmark.

Diversi studi hanno dimostrato che la maggior parte dei fondi non riescono a battere il loro indice di riferimento nel lungo periodo; i fondi che ne escono vincenti sono pochi e si conoscono sempre dopo.

Quindi: capiamo bene in che mercato stiamo investendo guardando il suo indice di riferimento e, poi, scegliamo lo strumento più adatto, ETF o Fondo (quasi nessuno) che sia!

Grazie ancora per aver letto fin qui e buon investimento!

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