La serie TV Succession, che in Italia si trova purtroppo solo su Sky, è una di quelle serie che, per quanto mi riguarda, è giusto sotto al podio delle migliori serie TV di sempre.
Sceneggiatura e dialoghi da Oscar, performance degli attori anche loro da Oscar (pur essendo una serie TV) e l’impeto e la potenza che Brian Cox mette nella parola “Fuc…k” sono tutti fattori che faranno restare questa serie negli annali delle migliori serie TV.
Più sotto vedrete la mia personale (finora) classifica, ma Succession ha rischiato di finire tra le prime 3.
Perché non ci sia finita è dovuto al fatto che certe serie le ho viste per prime ed hanno avuto un impatto maggiore sulla mia “cultura” di serie TV, oltre che per l’innamoramento di un certo modo di scrivere le sceneggiature e di scelta di attori e ruoli.
Fatto sta che Succession è un’altra di quelle serie TV per le quali continuo a pagare gli abbonamenti annuali alle streaming TV: Sky, per chi non lo sapesse, si può vedere anche in streaming con l’app SKY GO.
Cosa mi fa dire, quindi, che Succession sia una serie TV da non perdere?
Iniziamo con una mini-recensione didascalica.
Succession è una serie TV di genere drammatico e satirico che racconta le vicende della famiglia Roy, proprietaria di un impero mediatico e di intrattenimento. La serie si concentra sulle dinamiche di potere, di lealtà e di tradimento tra il patriarca Logan Roy (Brian Cox) e i suoi quattro figli: Kendall (Jeremy Strong), Roman (Kieran Culkin), Shiv (Sarah Snook) e Connor (Alan Ruck).
Quando Logan decide di ritirarsi dalla guida della Waystar-Royco, scatena una lotta per la successione che mette a dura prova i legami familiari e le ambizioni personali dei protagonisti.
La serie offre un ritratto spietato e ironico del mondo dei media e dell’alta finanza, mostrando le debolezze, le ipocrisie e le contraddizioni dei personaggi.
Ognuno di loro ha una personalità ben definita e sfaccettata, che li rende allo stesso tempo odiosi e affascinanti.
Kendall è il figlio apparentemente più preparato e razionale, ma anche quello più fragile e dipendente.
Roman è il figlio scapestrato e sarcastico, che nasconde la sua insicurezza dietro battute taglienti e comportamenti infantili.
Shiv è la figlia ribelle e intelligente, che cerca di affermarsi in un mondo dominato dagli uomini.
Connor è il figlio maggiore e illegittimo, che vive in una fattoria nel New Mexico e ha aspirazioni politiche deliranti.
La serie esplora soprattutto il tema della “successione” di una impresa (da cui il nome della serie TV), ovvero la difficoltà di tramandare di generazione in generazione un’azienda da parte del fondatore ai figli e le conseguenze psicologiche sulla famiglia.
Logan Roy è un personaggio autoritario, manipolatore e spregiudicato, che ha costruito il suo impero con sacrifici e compromessi. Egli non riesce a fidarsi dei suoi figli, che considera deboli e incompetenti, e li sottopone a continue prove e umiliazioni.
I figli, a loro volta, sono divisi tra il desiderio di emanciparsi dal padre e quello di ottenere il suo riconoscimento e la sua approvazione. La serie mostra come la ricchezza e il potere possano corrompere i valori etici e umani dei personaggi, rendendoli egoisti, cinici e disonesti.
Succession è, neanche troppo “liberamente”, ispirata a Rupert Murdoch, il magnate televisivo australiano che possiede varie testate giornalistiche in giro per il mondo (il tabloid “The Sun” in UK e Fox news in USA) e che ha un carattere fumantino molto simile a quello del protagonista della serie, Brian Cox.
Ma direi che è anche indirettamente ispirata al nostrano Berlusconi, alla sua famiglia e al modo in cui ha gestito il suo di patrimonio televisivo ed editoriale. Ovviamente non così estremo come Succession, però adesso con la dipartita del “nostro” non mi stupirebbe vedere qualche straccio che vola per l’eredità all’interno della famiglia Berlusconi, appunto un po’ come viene descritto in Succession.
Ma, in generale, Succession mette a nudo una serie di verità per noi investitori, ovvero:
- Le aziende familiari, a parte qualche eccezione, non si dovrebbero mai quotare in borsa.
- Perché sono state fondate e pensate per far “lavorare” i membri della famiglia e con il bene della famiglia, in primis, in testa.
- Non con il bene degli azionisti che, poi, dovrebbero diventare i “proprietari” dell’azienda familiare quotata.
- Le aziende familiari quotate di successo sono di successo perché fanno un passo indietro ed assumono manager esterni per gestire l’impresa di famiglia: pensiamo a Marchionne e all’ex FIAT (lo stesso dicasi per la Ford – che poi l’investimento nel settore automobilistico sia un buon investimento in generale, direi di no…ma sto divagando).
- Le aziende familiari non quotate non sopravvivono per il 60% alla seconda generazione (i figli del fondatore) e per il 96% alla terza generazione – dati ISTAT Italia.
- Questo perché non sta scritto da nessuna parte che i figli del fondatore/fondatrice siano in grado, come i loro genitori, di gestire un’azienda. Men che meno un’azienda quotata.
- I genitori fondatori hanno spesso il ruolo del “castratore” (scusate la metafora ardita) nei confronti dei figli: raramente, infatti, i figli hanno le stesse caratteristiche imprenditoriali dei loro genitori.
- I genitori stessi se ne rendono conto e non fanno granché per farli crescere e per renderli indipendenti, anzi li mettono in ruoli minori in azienda per dargli un “lavoro”: per poi non risolvere i problemi di passaggio generazionale e, alla loro dipartita, tutto va in mano ai figli che non hanno le caratteristiche e le capacità per gestire aziende così complesse ed importanti.
- E, come se non bastasse, oltre il 60% delle aziende USA sono a carattere familiare e oltre il 75% in Italia (ovviamente sono tutte piccole e medie imprese): quindi il problema del passaggio generazionale non è solo un’idea per una sceneggiatura da serie TV ma anche un problema che molte aziende dovranno affrontare nei prossimi 10 anni.
- E, soprattutto, non vi fidate mai del cugino Greg!
Questa, in estrema sintesi, la morale delle aziende familiari che non si basano su manager esterni lasciando che la famiglia sia semplice azionista e faccio da supervisore. Rendendo l’investimento in una azienda quotata familiare un investimento spesso e volentieri da evitare.
Questa è altresì la morale che esce fuori in maniera cristallina da una serie TV eccezionale come Succession.
Ed ecco il mio “Pantheon” personale delle migliori serie TV che abbia mai visto finora: ne ho viste molte altre (menzione d’onore a “Squid games”, “The Queen’s Gambit” e “Snowpiercer”), ma queste, insieme a Succession che è subito sotto Ozark, sono le mie assolute preferite:
- Breaking Bad – Netflix: non so se ci sia da dire molto altro su questo cult, da vedere e basta.
- il suo prequel “Better call Saul” – Netflix: forse anche migliore di Breaking Bad per la sceneggiatura psicologica di Saul Goodman e delle sue “interazioni” con il mondo dei cartelli della droga messicani (ero indeciso se metterlo come numero 1). Saul Goodman, ovvero Bob Odenkirk, poco conosciuto come attore, non è un caso che sia stato nominato più volte per un Emmy.
- Ozark – Netflix: questa serie inizia proprio con la storia di un financial advisor USA e non potevo non guardarmela tutta d’un fiato. Una delle scene iniziali è proprio l’”intervista” di Jason Bateman (aka Marty Byrde) a una coppia che sta cercando un consulente finanziario per investire dei soldi. Geniale la scena: dovrebbe essere un momento fondamentale e importante, per il consulente finanziario, per capire e distillare gli obiettivi dei clienti. E la sua attenzione dovrebbe essere massima. Invece, Marty Byrde guarda costantemente lo schermo del suo PC, ignorando praticamente i clienti. E da lì parte tutta una storia che, quasi, non ti fa respirare. Una rincorsa continua alla sopravvivenza, nel momento in cui entri nel “giro” dei cartelli della droga messicani. (Menzione d’onore per un attore che impersona un referente del cartello della droga, Esai Morales, che si ritrova anche nell’ultimo Mission Impossible di Tom Cruise: in Ozark fa paura solamente la sua presenza in scena, grandissimo attore).
- Peaky blinders –Netflix: un affresco pazzesco della vita dei gitani inglesi dei primi del ‘900 nella loro ascesa a potere, prima a Birmingham e poi nel regno unito. Scenografia, costumi e dialoghi da fare rabbrividire, va visto solo anche per le luci tetre della Birmingham di inizio XX secolo
- The Queen – Netflix: la storia della regina Elisabetta, da poco scomparsa, come affresco bellissimo, del Regno Unito degli ultimi 70 anni. Si passano in rassegna tutti gli eventi e la politica più importanti della storia del paese, da Winston Churchill, a Margaret Thatcher a Tony Blair. Con scenografie mirabolanti di Buckingham Palace e non è un caso che sia una delle serie TV più costose di sempre. Fa passare molto bene il concetto dell’importanza della monarchia e della “corona” sopra la vita di chiunque ne sia il rappresentante o indossi la corona stessa: e come mariti, figli e membri della famiglia debbano essere sempre al servizio della corona, tarpandosi più e più volte le ali e non potendo esprimere opinioni dissenzienti. La parte in cui Carlo viene mandato a fare training militare in Galles, per diventare il Principe del Galles, nonostante il suo amore per il teatro, quasi mi ha fatto commuovere.
- The Sopranos – Sky: una delle serie TV di fine anni ’90, forse la più famosa di quell’epoca con 8 stagioni all’attivo e che ha dato il via a tutte le serie TV che conosciamo oggi. Molto “grezza” come stile direttivo, scenografico e di sceneggiatura, ma molto efficace per l’idea geniale iniziale della storia. Ovvero, la crisi di identità di un boss della mafia italo-americana, Tony Soprano appunto, che si trova obbligato a dover andare a fare psicoterapia per la pressione psicologica di essere un “bravo” boss nel New Jersey negli anni ’90. Geniale e molto divertente per noi italiani: soprattutto vedere le tradizioni di queste famiglie italo-americane che sono ancora legate alle tradizioni religiose e culturali dell’Italia del Sud.
- Narcos – Netflix: le tre stagioni tutte, ma la prima che racconta la storia di Pablo Escobar è talmente coinvolgente che, quasi, si inizia a simpatizzare con uno dei più feroci trafficanti di droga degli anni 80. C’è molta ferocia, ma mai gratuita e rimani attaccato alla sedia in ogni episodio per il susseguirsi veloce di eventi, fughe, pedinamenti, sequestri, uccisioni e momenti di grande lirismo nella sceneggiatura (l’episodio della “cattedrale” nella stagione 1 probabilmente il migliore)
- Stranger Things – Netflix: per chi ha vissuto la giovinezza, dall’adolescenza alla maggiore età negli anni 80 come il sottoscritto, è un tuffo nel passato di musica, colori, abbigliamento, mode di quegli anni sullo sfondo di una storia fantastica e surreale ma anche potenzialmente, terribilmente possibile. Può non piacere il genere fantastico, ma è talmente ben mischiato con la vita dei teenagers degli anni 80 che, quasi, passa in secondo piano.
- Shtisel – Netflix: purtroppo questa serie ERA su Netflix ma il contratto di distribuzione della casa di produzione israeliana con Netflix è scaduto a marzo di quest’anno. Non so se mai ritornerà, ma se lo trovate non perdetelo. È la storia di una famiglia ebrea ultraortodossa di Gerusalemme. A parte conoscere meglio nel dettaglio questa religione e i suoi integralismi, è la storia di Akiva, il figlio giovane del patriarca Shulem Shtisel, e dei suoi tormenti artistici in una comunità ultrareligiosa che non tollera deviazioni dallo studio e venerazione della Torah. Molto poetica e romantica come storia, ambientata appunto in una delle comunità meno romantiche e poetiche che si possano immaginare. Bellissime le scene degli incontri nei bar degli hotel per aspiranti sposi, organizzati dai sensali anziani della comunità, pratica ancora molto usata dagli ebrei ortodossi.
Spero di aver fatto cosa gradita nel selezionare i miei preferiti. Sono benvenuti i commenti e suggerimenti per altre serie che avrei potuto menzionare o che dovrei guardare.
Come sempre, non bisogna solo risparmiare e investire ma anche passare del tempo di qualità nella visione di programmi e serie TV per “vivere bene”.
Buone visioni!