Interessante articolo del Financial Times del 4 marzo dal titolo “Fees matter than asset allocation” in cui si mette in evidenza come, nel lungo periodo, il contenimento dei costi di investimento rappresenta un fattore più determinante dell’asset allocation per generare performance.
Non è la prima volta che discutiamo di questa questione sul blog ed ormai da anni in America il focus si è spostato su questa criticità spingendo molte case di gestione ad abbandonare i classici prodotti a benchmark perché soffocati dalla concorrenza di index funds e ETF.
Il Financial Times nel suo articolo non fa altro che riprendere un estratto dell’interessantissimo libro Global Asset Allocation: A Survey of the World’s Top Asset Allocation Strategies (English Edition) di Meb Faber (acquistabile in formato ebook su Amazon e che vi consiglio vivamente seppur in inglese) in cui l’advisor americano ha messo a confronto la classica strategia 60% azioni 40% bond, con le principali strategie di “grido” di personaggi come Buffett, El-Erian, Arnett e lo stesso Faber.
A queste strategie ha aggiunto la cosiddetta conservative, la peggiore in termini di performance ma anche la più prudente in quanto ripartita in 4 parti uguali tra azioni, bond, T-Bill Usa e oro. L’analisi è stata condotta con dati raccolti tra il 1972 e il 2013 depurati dall’inflazione (quindi reali).
Come si vede dal primo grafico il vincitore di questa sfida è risultato il modello El-Erian più aggressivo (il 51% è investito in azioni, il 17% in bond ed il resto spalmato tra inflation linked, commodities e REIT). Il ritorno reale annuo di questo portafoglio è stato del 5,96% anche se vanta uno dei drawdown più significativi pari al 46,5%.
Dalla parte opposta il permanent portfolio che ha realizzato nel periodo il 4,12% reale annuo a fronte di un massimo drawdown del 23,6%. Il classico 60/40 basato solo sugli indici americani ha ottenuto un ritorno annuo del 5,13% con massimo drawdown del 39,4%, mentre allargando gli indici americani ad indici globali il ritorno è stato del 5,54% annuo riducendo in modo modesto il massimo calo.
Il grafico interessante arriva però adesso.
Faber ha sottratto alla best strategy di El-Erian dapprima una commissione del 1,25% e poi del 2,25% considerando quest’ultimo un costo compatibile con le commissioni dei fondi utilizzati a livello retail e la fee di consulenza per accedere alla strategia. Il confronto viene fatto con il fondo Conservative che si suppone implementato, per la sua semplicità, senza costi di consulenza e utilizzando ETF.
Il ridimensionamento con un costo del 1,25% è notevole, ma con il 2,25% anche la strategia di El-Erain affonda decisamente al di sotto della Conservative. La conferma di come nel lungo periodo i costi possono rendere debole anche le strategie più vincenti.