Il Nasdaq Composite ha di recente superato i mitici massimi storici del 2000. Valutazioni folli fecero deflagrare una delle più importanti bolle speculative dell’ultimo secolo (quella della new economy) bolla completamente riassorbita 16 anni dopo. Da quel 10 marzo del 2000 il per un indice come il Nasdaq Composite è stato pressochè nullo.
Il Nasdaq però non è nato a marzo 2000 e non è certamente rappresentativo di tutta la borsa americana.
Considerare un’azione come un’obbligazione a lunga scadenza almeno in termini di orizzonte temporale è fondamentale. Se guardiamo al ritorno del Nasdaq Composite a distanza di 10 anni scopriamo che siamo al 9,4% composto annuo, a 20 anni scendiamo al 7,9% (qui c’è lo zampino della bolla internet appunto), a 30 anni torniamo guarda caso al 9,4% annuo.
Ovviamente questo non significa che le performance del passato si ripetono, ma nel lungo periodo tendono ad essere positive e ad appiattirsi verso livelli similari.
Un secondo punto su cui battiamo sempre è la rappresentatività di un indice. Un listino tecnologico pur importante come il Nasdaq, guarda solo ad un pezzo del mosaico azionario americano. Ripetendo lo stesso esercizio, ma stavolta con lo S&P500 scopriamo che nello stesso arco temporale il rendimento annuo sarebbe stato del 2,7%. Tradotto in soldoni vuole dire che investiti 100.000 in quel marzo maledetto del 2000 ve ne ritrovereste oggi (senza considerare l’effetto cambio in questo caso) 156.671. Investendo solamente nel Nasdaq il risultato sarebbe stato di 104.660 e senza togliere l’effetto negativo dell’inflazione.
fonte: http://www.buyupside.com
Ecco perchè si parla tanto di diversificazione, viene tolto quell’alone di scommessa che a volte gira in modo buono ed altre volte in modo disastroso. Peccato che scopriamo solo dopo l’arcano.
Il rendimento reale appunto. Elemento di cui quasi mai parlano i consulenti, di cui quasi mai parlano gli analisti nelle loro analisi, ma che va seriamente tenuto in considerazione da parte di un investitore visto che da esso dipende il risultato finale dei vostri sforzi.
Sempre lo S&P500 e sempre da marzo 2000. Guardate cosa è successo prima dell’inflazione e dopo aver depurato il rendimento dall’effetto perdita poteri d’acquisto (le differenze tra i rendimenti annui delle due tabelle sono legati al fatto che nella prima tabella la rilevazione è giornaliera, in quella seguente mensile).
Considerando l’effetto inflazione l’investimento in S&P500 passa da un rendimento annuo composto del 2,5% annuo allo 0,4%. Una certa limatura a cui dovete aggiungere ancora l’effetto negativo della tassazione e delle commissioni di gestione dei prodotti scelti per replicare l’indice.
Accidenti ma allora non avremmo guadagnato nulla in 16 anni? Attenzione perché finora non abbiamo tenuto in considerazione un altro tassello importante di questo gioco. Diversificazione, inflazione, ma anche dividendi e soprattutto dividendi reinvestiti.
Le due tabelle mostrano infatti cosa sarebbe successo al nostro ipotetico rendimento annuo se avessimo reinvestito i dividendi. Addirittura un 4,4% annuo da marzo 2000, che si riduce al 2,3% al netto dell’inflazione. Beh tutto sommato non così male.
Orizzonte temporale, rendimento reale e reinvestimento dei redditi percepiti durante il tempo dell’investimento, pochi concetti essenziali sui quali dovrete essere pignoli se vorrete ottenere la giusta remunerazione dal vostro capitale.