By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 5 Agosto, 2020|

Qualche settimana fa Bloomberg ha pubblicato un interessante articolo nel quale veniva dibattuto il tema inflazione ed il rischio di perdite inattese che questa potrebbe generare nei portafogli degli investitori. Ovviamente l’articolo fa riferimento ad un qualcosa di assolutamente impensabile ad oggi, ma è un dato di fatto che tutti i comportamenti di banche centrali e Governi vanno in questa direzione.

In questo articolo sul nostro blog abbiamo citato un recente studio che mostra come la tendenza dei tassi di interesse reali al declino parte da lontano e quindi non stiamo vivendo una fase eccezionale. Però la FED ha messo sul mercato 3 trilioni di $ di liquidità, i tassi sono a zero ed il deficit federale americano nel 2020 sfiorerà i 3,7 trilioni di Dollari (il triplo di quelli stanziati nel 2009). Non noccioline e possibile benzina sul fuoco (ora spento) dell’inflazione futura.

Il Covid – 19 ha distrutto le catene tradizionali di fornitura mettendo in discussione l’architettura del commercio globale basata sull’import a basso costo dai paesi emergenti. Tanto cash, prodotti e servizi non più importabili come prima, perché l’inflazione non dovrebbe ripartire? Mistero.

 

Un portafoglio bilanciato 60% azioni 40% obbligazioni dal 1926 ha prodotto un rendimento reale al netto dell’inflazione del 5,8% all’anno. Analizzando ogni decade da allora nell’89% del tempo i rendimenti reali sono risultati positivi.

Già, ma questa è la storia ed il WSJ ha appena mostrato in un suo articolo come casi di tassi reali negativi quali quelli attuali sono già stati visti in America prima della seconda guerra mondiale e negli anni 70. Il seguito non fu mai esaltante con rendimenti reali per un classico investimento 60/40 che mediamente si mosse attorno al 2% per diverso tempo nei due casi citati.

Ma cosa potrebbe succedere se l’inflazione rialzasse la testa?

Il precedente più celebre è quello degli anni ’70 quando la stagflazione prese piede con bassa crescita economica ed alta inflazione. All’inizio degli anni ’70 l’inflazione era già salita sopra il 6%, tre volte il tasso medio storico partendo dal 1871, arrampicandosi fino al 15% nel 1980.  Nell’articolo di Bloomberg ci si chiede appunto come si comportò allora un portafoglio investito al 60/40.

Bene tutto sommato con un ritorno nominale del 7,8% dal 1970 al 1982. Sbalorditivo vero? Freniamo gli entusiasmi perché in termini reali il rendimento si tradusse in +0,1%. Al lordo dei costi possiamo però dire che questa asset allocation tenne il passo dell’inflazione.

Nello specifico l’azionario rappresentò la scelta migliore visto che generò un rendimento reale dello 0,3% annuo confermando la sua qualità di hedging contro la perdita di potere d’acquisto.  La componente perdente fu naturalmente rappresentata dai bond che persero nel periodo lo 0,8% al netto dell’inflazione. Tutto normale possiamo dire.

Naturalmente potrebbero esserci altri strumenti in grado di contrastare l’ascesa dell’inflazione come inflation linked, commodities (compreso l’oro), i REIT. Vero, ma soprattutto per un investitore europeo l’effetto cambio all’interno di un investimento globale potrebbe essere deleterio annullando i benefici di un apprezzamento dell’asset class sottostante. Quello che stiamo vedendo nelle ultime settimane ne è la conferma.

E’ infatti molto probabile che un differenziale di inflazione in crescita tra Stati Uniti ed Europa porti con sé un declino del Dollaro. 

La soluzione rimane allora una sola non avendo risposte certe. Diversificare e mantenere un peso preponderante in azioni se i nostri obiettivi, orizzonte temporale e propensione al rischio lo consentono. Forse le azioni sono l’asset più reattiva e capace di contrastare gli effetti nefasti dell’inflazione. Se mai questa arriverà nel corso della prossima decade…

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