By |Categorie: Educazione finanziaria, Investimento|Pubblicato il: 26 Aprile, 2021|

Uno dei temi meno appassionanti, ma più importanti, quando decidiamo di pianificare un investimento è quello legato alla stima della futura inflazione. L’inflazione è un fattore che sfugge naturalmente al nostro controllo. Per certi versi può diventare anche devastante per il valore dei nostri investimenti, soprattutto se per pigrizia tendiamo ad ignorarlo.

Cos’è l’inflazione e perchè è importante conoscerla

L’inflazione altro non è che la variazione media dei prezzi registrata in un anno da un paniere di beni e servizi rivisto periodicamente dagli istituti nazionali di statistica (ISTAT in Italia o EUROSTAT in Europa). Numerino molto presente nei TG1 degli anni ’80 perché in doppia cifra, soprattutto perché da esso dipendeva giorno per giorno la capacità degli italiani di mantenere intatto il proprio tenore di vita.

Quando i BOT rendevano ogni anno il 10% e l’inflazione era del 10%, il rendimento di un investimento era zero in termini reali. Più o meno lo stesso rendimento offerto oggi dai titoli di stato, ma il fenomeno dell’illusione monetaria rendeva tutti felici.

Caduta poi nel dimenticatoio negli ultimi anni per insufficienza di attrattività mediatica (chi si appassiona di un numero allo 0,5%??), in realtà l’inflazione rimane un fattore determinante per il successo di ogni investimento. Detrattore di performance quando positiva, contributore quando negativa ovvero quando c’è deflazione.

Pensate ad esempio a quello che succede in Giappone da parecchi anni.

I tassi di interesse su una obbligazione statale giapponese oggi sono a zero, ma i prezzi al consumo scendono (quindi c’è deflazione) dello 0,7%. Tradotto in rendimenti reali, gli investitori giapponesi che comprano i titoli di stato domestici a rendimento zero in realtà ottengono un rendimento reale positivo dello 0,7%. Pur non ricevendo cedole il capitale guadagna potere d’acquisto perché ogni anno i prezzi scendono di un po’. Veleno per un debitore, godimento per un creditore.

Come inserire l’inflazione nel nostro piano di investimento

Ma torniamo al nostro piano di investimento. Quando facciamo delle previsioni sulla cifra che idealmente vorremmo trovare nel nostro conto corrente fra 20 anni pensiamo al rendimento atteso annuo che servirà per incrementare il valore del nostro capitale investito.

Siamo consapevoli che dovremo tenere conto di fattori negativi come i costi dei prodotti finanziari e delle tasse. Giusto perciò alzare la guardia su questo fronte, ma non vedo mai la stessa attenzione per il mangiatore di soldi silenzioso (o forse sarebbe meglio dire silenziosa trattandosi di un sostantivo femminile)..

Dobbiamo infatti fissare nella nostra testa di investitori di buon senso che un pezzettino di quel rendimento che stiamo progettando sarà eroso inesorabilmente  anno dopo anno dall’inflazione. Quindi se servirà un 5% netto di rendimento sul capitale per arrivare all’obiettivo finale, in realtà questo valore dovrà risultare del 7% se l’inflazione dei prossimi 20 anni mediamente sarà del 2%.

Come calcolare l’inflazione attesa dal mercato per i prossimi anni

Ma  come possiamo sapere se questo valore sarà 1% piuttosto che 3%? Non lo sappiamo con certezza ma esiste la possibilità, anche per i meno esperti di finanza, di poter attingere gratuitamente dalle informazioni che offre il mercato finanziario per ricavare una stima affidabile. Basta acquistare un quotidiano finanziario o navigare in rete ed andare alla sezione rendimenti dei BTP, se ovviamente stiamo cercando l’inflazione attesa in Italia.

Come nelle tante gettonate trasmissioni televisive di cucina di seguito vi lascio la ricetta giusta per portare a termine questo compito fondamentale.

Prendiamo il rendimento attuale del BTP inflation linked con scadenza nell’intorno dei 10 anni (il benchmark in questo momento è il BTP 1,25% settembre 2032 con rendimento lordo -0,3%). Questo numero è il rendimento reale di un investimento in BTP italiani su un orizzonte temporale di 10 anni.

Prendiamo poi il rendimento del BTP a tasso nominale (il tradizionale tasso fisso) con scadenza sempre nello stesso anno. Può andare bene ad esempio il BTP 1,65% marzo 2032 con rendimento lordo 0,70%. Questo numero è il rendimento nominale di un investimento in BTP italiani su un orizzonte temporale di 10 anni.

Basta così. Avete tutti gli ingredienti necessari per servire la portata, ovvero calcolare cosa i mercati mondiali si attendono come tasso di inflazione mediamente in Italia per i prossimi 10 anni.

Prendete il nominale 0,7%, a questo sottraete il rendimento reale (-0,3%, attenzione ho detto sottraete quindi il meno diventa +) e voilà, l’inflazione attesa in Italia per la prossima decade è 1%. Tralascio qualche tecnicismo di calcolo che potrebbe rendere più raffinato il dato ma questo è quello che serve ad un investitore medio. Per fare la prova contraria basta prendere il tasso nominale di un BTP (0,7%) togliere l’1% di inflazione attesa ed ecco che esce il rendimento reale (-0,3%) di un BTP indicizzato all’inflazione.

Inflazione attesa = Rendimento nominale – Rendimento reale

Lo stesso esercizio potremmo ripeterlo per altri paesi come la Germania o come gli Stati Uniti.

Ad esempio il rendimento reale di un titolo indicizzato all’inflazione americano (TIPS) attualmente è del -0,8%, quello nominale del 1,6%, ecco che 1,6% – (-0,8%) ritorna un’inflazione attesa media del 2,4% in America nella prossima decade. Negli Stati Uniti ogni trimestre viene poi pubblicato un report della Federal Reserve di Philadelphia dove vengono stilate delle previsioni alternative ma di fatto molto simili nel risultato finale (2,1% l’inflazione media attesa espressa nell’ultimo rapporto).

Naturalmente si tratta di previsioni e non potendo contare sulla sfera di cristallo non sempre vengono rispettate dai dati reali. Ad esempio nel 2011 lo stesso confronto fatto tra rendimenti dei BTP nominali e indicizzati “prevedeva” un’inflazione media a 10 anni del 1,8%. In realtà l’inflazione media italiana dell’ultima decade è stata più bassa (1%) con una certa dispersione (3,4% il massimo e -0,6% il minimo). Negli ultimi 10 anni quindi 100 mila euro fermi su un conto corrente si sono trasformati in modo approssimativo in 90 mila euro in termini di potere d’acquisto reale.

Lo stesso risultato lo abbiamo visto sul più liquido ed efficiente mercato americano. Nel 2011 i mercati si aspettavano un inflazione media in 10 anni del 2,3% quando in realtà la variazione annuale dei prezzi al consumo è stata del 1,7% con massimo a 3,9% e minimo a -0,2%.

Inflazione quindi più bassa delle attese quella vista negli ultimi 10 anni  a causa di forze deflazionistiche strutturali come demografia, tecnologia, globalizzazione, ma anche e soprattutto per una caduta verticale nella cosidetta “velocità della moneta” (M2). La velocità della moneta rappresenta il numero di volte in cui passa di mano 1 unità valutaria nel corso di un anno. Pensate che nel 1999 eravamo a livelli di 2.2, nel 2007 di 2, oggi a 1.15. Un crollo di oltre il 40% rispetto a poco meno di 15 anni fa. La moneta non gira ed i prezzi faticano a “riscaldarsi”.

Proseguirà in futuro questa tendenza, o l’inflazione rialzerà la testa? Ovviamente nessuno lo sa ma possiamo basarci su quei numeri che fornisce il mercato confidando nel fatto che una buona fetta di questa previsione sarà azzeccata.

Con il semplice esercizio che ho proposto poco fa (aggiornandolo ogni tanto per tenere conto degli aggiornamenti del mercato) potremo sapere in anticipo di quanto sarà opportuno aumentare il nostro risparmio ogni anno per evitare di incorrere in una profonda delusione fra 10, 20 o 30 anni .

Sognare 1 milione di euro e poi ritrovarsi con la metà, oltre alla delusione e lo sconforto, non ci lascerebbe il tempo per le opportune correzioni di rotta.

 

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