By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 31 Agosto, 2022|

Investire con una asset allocation globale è la miglior ricetta per far crescere nel lungo periodo i nostri soldi.

Diversi studi accademici lo hanno dimostrato nel corso degli ultimi anni e probabilmente per un investitore non professionale scegliere di allocare il capitale tra azioni e obbligazioni globali è l’opzione con maggiore resa e minimo sforzo.

Presi come siamo a estrarre combinazioni numeriche di rendimenti, volatilità, massima perdita, ecc…dimentichiamo di ricordare a noi stessi perché è sensato investire in questa modo i nostri sudati risparmi.

Investire globalmente non significa investire nelle economie più importanti

E’ banale, ma investire nel mercato azionario globale significa investire nella crescita globale dell’economia.

Attenzione però.

Investire nel mercato azionario e/o obbligazionario globale non significa investire con le stesse proporzioni espresse dal prodotto interno lordo di ogni paese.

Un secondo punto di attenzione è che investire nell’azionario globale non significa investire in maniera statica su certi paesi. Ogni anno gli indici vengono ribilanciati, ovvero adeguati per tenere conto delle rispettive capitalizzazioni di mercato.

Stati Uniti e Cina pesano per circa il 40% dell’economia mondiale sulla base dei numeri forniti dall’OCSE.

Fonte: OECD – Percentuale di PIL globale basata su cambi correnti

Stati Uniti e Cina insieme pesano per circa il 60% di un indice azionario globale. Ma c’è un particolare non irrilevante di cui dobbiamo tenere conto.

Se a livello economico l’America si prende quasi il 25% della torta mondiale e la Cina il 15%, su un indice di borsa globale gli States si prendono il 55% e la Cina appena il 5%.

Fonte: Credit Suisse – Peso per paese azionario 1899 vs 2021

Numeri destinati a cambiare nei prossimi anni. E come ci hanno insegnato gli ultimi 120 anni di storia nulla è immutabile in economia come in borsa.

I pesi azionari geografici di oggi non saranno gli stessi fra mezzo secolo

All’inizio del ventesimo secolo la Gran Bretagna rappresentava un quarto della capitalizzazione di borsa globale, seguita da Stati Uniti, Germania e Francia.  Il Giappone, la Cina e la Svizzera erano assenti.

Oggi vediamo uno strapotere americano con tutti gli altri a fare da contorno con pesi inferiori al 10%.

Il Nyse (New York Stock Exchange) nasce nel 1792 quando le borse olandese e britannica avevano già 200 e 100 anni di storia.  In poco più di 200 anni la borsa americana è passata da zero a 55%.

Non possiamo conoscere il futuro ma questa eccezionale crescita rende opportuna una diversificazione geografica, magari accettando rendimenti storici inferiori da parte del resto del mondo.

L’importante è  essere investiti nelle zone del mondo che vedranno una crescita di economia e utili più decisa in futuro, senza doversi spaccare la testa in previsioni che nessuno in questo momento è in grado di garantire come risultato finale.

Qui trovate una bella infografica dove vengono dettagliati i pesi percentuali delle varie nazioni all’interno dell’indice azionario globale per eccellenza, l’indice Msci All Country World.

Appurato che essere investiti a livello globale non significa necessariamente investire nelle economia più “pesanti” in termini di Pil e che i pesi percentuali per ogni nazione sono dinamici, è arrivato il momento di distinguere cosa si intende per azionario sviluppato e emergente.

Azionario globale, sviluppato e emergente

Quando troviamo ETF che nelle loro descrizioni contengono le parole World o Developed World, stiamo investendo nei paesi sviluppati, cioè paesi con caratteristiche ben definite di reddito pro capite, livello di industrializzazione, standard di vita, infrastrutture, ecc….

Quando invece troviamo ETF che contengono la sigla ACWI (ovvero All Country World Index) stiamo investendo nelle azioni di tutto il mondo, appartenenti al mondo sviluppato e a quello emergente.

Il provider di indice MSCI adegua periodicamente i criteri per definire quali paesi rientrano nella categoria sviluppati e quali nella categoria emergenti.

Con la premessa che altri provider di indici potrebbero avere delle marginali differenze di classificazione, con una tabella di riferimento come quella riportata sotto sappiamo esattamente dove andremo ad investire i nostri soldi a seconda dell’indice che abbiamo scelto come benchmark del nostro ETF.

Fonte: Msci

Fatta questa lunga ma doverosa premessa veniamo adesso a quella che è forse la parte del discorso che più interessa l’investitore. I rendimenti storici.

Meglio USA o resto del mondo?

Vista la netta spaccatura che c’è tra peso degli Stati Uniti negli indici globali e resto del mondo, appare sensata una divisione anche di analisi dei rendimenti storici.

Il rapporto annuale Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook offre la migliore prospettiva storica per un confronto storico tra rendimenti reali della borsa americana e quelli del resto del mondo. Con un unico limite, che il rapporto calcola i numeri ipotizzando di essere un cittadino americano. Quindi i rendimenti nominali di un mercato sono al netto dell’inflazione americana, espressi in dollari Usa e con un premio per il rischio calcolato sui titoli di stato dello zio Sam.

La profondità storica dell’analisi (dal 1900 al 2021) è però talmente ampia che possiamo considerare minimi gli impatti di questo ostacolo.

I rendimenti reali annui di lungo periodo della borsa americana raccontano di valori medi storici sopra l’inflazione del 6,7% per l’azionario, del 2% per l’obbligazionario e di 0,7% per la liquidità. I premi per il rischio, ovvero quanto l’asset class più rischiosa ha ripagato l’investitore rispetto all’asset priva di rischio,  sono una naturale differenza tra rendimenti dell’azionario e quelli di obbligazionario e monetario.

Fonte: Credit Suisse Global Investment Returns 2022

La storia ci dice che il resto del mondo è in grado di competere solo sui rendimenti monetari, mentre lato obbligazionario e soprattutto azionario il ritorno è stato decisamente più basso.

Fonte: Credit Suisse Global Investment Returns 2022

Dall’inizio del ventunesimo secolo questa tendenza dell’America a fare meglio del resto del mondo è stata sempre più ampia creando anche quell’esagerato peso degli indici statunitensi all’interno degli indici. Un dominio che va già avanti da inizio anni ’90, ma che non necessariamente proseguirà con la stessa tendenza.

Fonte: J.P.Morgan

La storia ci fa vedere tutto quello che è successo dallo specchietto retrovisore. Ma non è un’affidabile indicatore per il prossimo futuro. E se il nostro piano di decumulo del capitale coincidesse con una finestra storica nella quale l’America farà molto peggio del resto del mondo come accaduto negli anni ’80? E se fra mezzo secolo gli indici azionari tornassero ad essere frammentati a livello geografico come ad inizio secolo? E se gli equilibri geopolitici dovessero cambiare drasticamente in breve tempo?

Questi sono solo alcuni buoni motivi per diversificare l’investimento a livello globale.

 

3 Commenti

  1. SaltoMentale 8 Agosto 2022 at 12:17 - Reply

    Articolo come sempre ben scritto e pieno di buonsenso, grazie.

    Mi aspettavo però una panoramica della storia passata dell”azionario globale o addirittura dei mercati finanziari in generale.
    Se da un lato, infatti, è vero che “la borsa è sempre andata in su nel lungo periodo (10-15 anni)”, basiamo tale affermazione solo sull’ultimo secolo e mezzo circa, periodo dominato economicamente dagli USA, dal loro modello economico, dalla graduale globalizzazione dei mercati e da un frenetico progresso tecnologico. Potremmo giungere a conclusioni diverse analizzando un periodo di secoli?

    A riguardo avevo trovato interessante il libro: “Storia della finanza internazionale” di Larry Neal. Sarebbe interessante sentire la vostra opinione sul tema in qualche articolo futuro! Avreste altre risorse da consigliare sul tema?
    Grazie!

    • Lorenzo Biagi 8 Agosto 2022 at 13:57 - Reply

      Grazie a te per il commento!
      La tua osservazione non è sbagliata ed è uno di quegli elementi che mi porta sempre a dire che il futuro non necessariamente ricalcherà le orme del passato.
      Perché investire nel resto del mondo quando l’America ha dimostrato per buona parte del tempo? Perché l’America negli anni’20 era un paese emergente. UK e Olanda stavano per cedere lo scettro di 100 e passa anni di dominio finanziario.
      Non sono un indovino e non so chi sarà il dominatore del prossimo secolo.
      Un orizzonte temporale per chiunque troppo lungo e che impone ragionamenti più pragmatici.
      Vero che i dati più solidi che abbiamo partono da inizio novecento in avanti. E io cerco sempre di basarmi sui dati verificati a livello accademico. Magari non sono il massimo ma sono filtrati da molti difetti.
      Il Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook è sempre un’ottima lettura per chi è interessato al tema. E non analizza solo dati americani.
      Piketty ne “Il Capitale” ha tentato di dare una misura più approfondita andando molto indietro nel tempo dei numeri di premio per il rischio; ma come tutti gli esami di laboratorio condotti a “fatti compiuti” e privi dell’importante fattore della reazione umana di fronte alle novità, non mi sento confidente nell’utilizzare certi numeri per fare delle pianificazioni finanziarie solide.
      La globalizzazione sta lentamente ritirandosi come già accaduto tante volte nella storia (le Repubbliche Marinare insegnano).
      Le bolle speculative tendono a ripetersi ciclicamente pur cambiando gli attori. Alla fine del 19esimo secolo l’industria più fiorente in UK era quella della bici e scoppiò una bolla pazzesca. La tecnologia (ferrovia e auto) spazzò via tutto e questo ciclicamente si ripeterà ancora, ma non sappiamo quale settore sarà protagonista.
      L’inflazione è un fenomeno tutto del ventesimo secolo (e ora ventunesimo).
      La finanziarizzazione dell’economia è un fenomeno recente (chi mai avrebbe immaginato di poter comprare un pezzo di futures sul cacao con 100 euro 50 anni fa?).
      La statistica è cambiata. Ogni numero di 100 anni fa di qualsiasi dato economico o di borsa non ha le stesse caratteristiche di quello di oggi.
      L’imprevedibilità dei mercati finanziari affascina e intimorisce chi investe. Possiamo solo guardare indietro e prendere atto dei dati, soprattutto capire che da quando il genere umano esiste il rischio è sempre ripagato (a tal proposito ti consiglio il libro di Bernstein – Più forti degli Dei). Di quanto e in che modo ce lo spiegheranno i nostri eredi -).
      Come vedi potremmo stare qui ore a ragionare sulle tue giuste considerazioni. Che dici organizziamo un podcast assieme sull’argomento?

      • SaltoMentale 8 Agosto 2022 at 14:40

        Grazie Lorenzo per la bellissima risposta ed i consigli di lettura, li terrò in grande considerazione!
        Per un eventuale podcast: sarebbe un onore :D

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