By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 30 Ottobre, 2023|

La scelta più pigra che può fare un investitore è quella di investire in prodotti passivi a basso costo che replicano le due asset class più generaliste che esistono.

Il mercato azionario mondiale e il mercato obbligazionario globale a cambio coperto o in alternativa l’obbligazionario domestico in euro.

Ma quali sono stati i “veri” rendimenti al netto di costi, inflazione e tasse di questi due tipi di investimenti pigri negli ultimi anni?

Utilizzando i dati di Curvo.eu, ho deciso di mettere nero su bianco questi numeri partendo dal 2005 e fermando l’analisi alla fine del 2022. Terminato il 2023 provvederò ad aggiornare i dati per tirare le somme con un anno aggiuntivo nelle statistiche.

Perché il 2005 è l’anno di partenza?

Ho scelto il 2005 perché è l’anno nel quale si sono affacciati sul mercato europeo i primi ETF. Quindi l’esito finale del backtest è effettivamente quello che avrebbe portato a casa un investitore che con grande lungimiranza avesse investito i suoi risparmi sui prodotti passivi per eccellenza.

Il raggiungimento degli obiettivi si fa con moneta sonante al potere d’acquisto di quel momento, non con dati lordi che magari ci fanno sognare per tanto tempo prima di farci sprofondare nella triste realtà, quando quel denaro dovrà uscire prima dal dossier titoli, poi dal conto corrente per finanziare un sogno giovanile.

Un risultato finale che è calcolato in questo test già al netto dei costi, visto che il NAV degli ETF è già nettizzato giorno dopo giorno dalle seppur ridotte commissioni prelevate dallo strumento. Al netto della tassazione sui guadagni (26% per le azioni, 12,5% per i titoli di Stato). Al netto dell’inflazione italiana.

Gli ingredienti dell’esperimento

Per compiere questo esperimento di “laboratorio” che ha lo scopo di comprendere quanto si sarebbe messo in tasca un investitore che avesse deciso di mantenere l’investimento per 10 anni, ho utilizzato tre ETF.

Il primo è un ETF di iShares che replica l’indice mondiale (emergenti compresi).

Il secondo è un ETF sempre di iShares che replica un paniere di obbligazioni governative europee.

Il terzo è un ETF monetario di Lyxor utile per calcolare il premio per il rischio messo in cassaforte da parte dell’asset class azionaria e obbligazionaria.

Il test comincia nel 2005 e rileva alla fine del 2015 quali sono stati i rendimenti annui composti di ogni ETF aggiungendo anche il controvalore che un ipotetico investimento di 100 mila euro avrebbe assunto alla fine della decade.

Questo esercizio è stato ripetuto rolling nel 2006-2016, 2007-2017 e così via fino al 2012-2022.

La colonna premio per il rischio esprime il differenziale di rendimento tra ogni asset class e l’investimento monetario, quantificato anche in valore assoluto.

Fonte dati: Curvo.eu e rielaborazioni dell’autore

Il risultato del test per i mercati azionari

Cosa emerge dunque da questi numeri?

Emerge che nonostante la Grande Crisi Finanziaria del 2008 il premio per il rischio per gli investitori che sono rimasti investiti per una decade dal 2005,2006 e 2007 non è stato così distante dal premio al rischio azionario-liquidità offerto in America dal 1928-2022 (6,3% annuo).

Chi è andato ben oltre la media è il premio al rischio delle decadi successive cominciate nel 2008 e tuttora in corso.

Un premio favorito dalle politiche ultraespansive delle banche centrali che hanno agevolato una espansione dei multipli di borsa e che inevitabilmente, nel più classico percorso di ritorno verso la media, dovranno rientrare a livelli più contenuti. Un fenomeno che ha favorito anche una bolla sul mercato obbligazionario già in fase di normalizzazione come se ne stanno amaramente accorgendo molti investitori oggi.

Attenzione però. Non necessariamente un premio troppo generoso deve essere ripianato con performance negative. È sufficiente, come sta accadendo in questi mesi, che i rendimenti monetari comincino ad avvicinarsi verso quelli storici dei mercati azionari. Mercati azionari che a loro volta rientreranno su un percorso di crescita più equilibrato e sostenibile.

Obbligazioni

Fonte dati: Curvo.eu e rielaborazioni dell’autore

Passando al mercato obbligazionario comprendiamo molto bene (con il senno di poi) chi era entrato in bolla speculativa negli ultimi anni.

Non certamente l’azionario, ma invece quel mercato obbligazionario capace di offrire premi per il rischio tasso (inteso come spread di rendimento rispetto alla liquidità dove la durata è ripagata) anche tre volte superiore ai dati storici.

Anche in questo caso prendendo come riferimento i dati americani, nell’ultimo secolo il premio di durata medio per le obbligazioni sì è esplicitato in circa 1,3% per anno. Qui stiamo osservando i dati europei ma possiamo ritenere affidabile e utilizzabile anche a casa nostra il dato americanodi premio per il rischio soprattutto nell’era BCE.

Se volete calare questi numeri nel mondo dei fondi di investimento vi basterà sottrarre al rendimento annuo di ogni asset class circa il 2% di rendimento per l’azionario e circa l’1% per l’obbligazionario. In realtà i costi dei fondi di 10-15 anni fa erano decisamente più elevati, ma voglio essere generoso anche perché gli stessi ETF all’inizio della loro straordinaria avventura costavano di più.

Appurato il quadro d’insieme non resta che rispondere alla domanda iniziale.

Quanto avrei portato veramente a casa da un investimento?

Qual è stato il rendimento effettivo per un investitore che avesse sposato fin da subito il prodotto ETF come strumento di investimento?

Al netto della tassazione sui guadagni distinta per azioni e titoli di Stato e al netto dell’inflazione media italiana della decade, il rendimento reale per un investitore non ha mai superato il 3% per l’obbligazionario con l’ultimo decennio che presenta il primo segno negativo.

Al netto dell’inflazione il 2012-2022 ha visto infatti l’investitore perdere lo 0,8% in termini reali.

L’azionario nel periodo 2012-2022 ha accresciuto il potere d’acquisto di un investitore del 6,4% ogni anno, eccellente risultato che supera nettamente i modesti 2-3% dei periodi 2005-2015 e 2006-2016.

L’investimento monetario al netto dell’inflazione (e quando positivo) delle tasse, è risultato sempre perdente confermando che sotto il profilo di un investimento “cash is trash”.

Fonte dati: Curvo.eu – Rivaluta.it – Rielaborazioni dell’autore

Il risultato finale

Questo articolo non poteva però terminare con un bilancio complessivo (e non solo decennale)  dei tre investimenti sempre al netto di costi, tasse e inflazione nel periodo 2005-2022.

I 100 mila euro investiti nel 2005 nel mercato monetario realmente hanno fatto perdere valore al capitale per una percentuale annua del 1,3%.

L’investimento in obbligazioni ha invece saputo  mantenere il potere d’acquisto con un marginalissimo guadagno quantificabile nello 0,15% all’anno. L’imposta di bollo sarebbe stata quasi del tutto pagata.

Per quello che riguarda l’investimento in azionario mondiale si conferma la capacità di battere l’inflazione nel lungo periodo con un rendimento annuo reale netto del 4%.

Numeri che ovviamente non hanno nessun valore prospettico, ma che possono contestualizzare quei fiumi di dati sulle performance del passato di ogni asset class dai quali siamo costantemente bombardati.

L’obbligazionario, anche negli anni d’oro, non ha mai offerto più di un 3% reale netto agli investitori. L’azionario mediamente ha offerto più del doppio. Il monetario non ha offerto nulla, anzi ha bruciato valore.

La pianificazione finanziaria per stimare veramente quanti soldi ci serviranno per spesare un certo obiettivo passa anche da qui.

Al netto di tutti i possibili fattori di attrito che incontreremo lungo la nostra strada dobbiamo essere consapevoli di quanto rischio, capitale e tempo avremo bisogno per raggiungere il traguardo. Un traguardo reale che ci permetterà di avere un potere di spesa pari o superiore a quello disponibile al momento della partenza.

Buon investimento.

6 Commenti

  1. Samuele 3 Novembre 2023 at 08:38 - Reply

    Complimenti per l’articolo ed in generale la qualità di questo blog che è sicuramente uno dei migliori su tematiche di finanza personale.

    • Lorenzo Biagi 3 Novembre 2023 at 08:39 - Reply

      Grazie Samuele, i tuoi complimenti ci fanno molto piacere e avanti tutta allora!

  2. Attilio 30 Ottobre 2023 at 17:13 - Reply

    Grazie e grande Lorenzo per questa concreta analisi di rendimento che tiene conto di tutti gli “attriti” che si incontrano lungo il percorso ( costi, tasse, inflazione). La conclusione è sempre la stessa come diceva John Bogle : “Invest you must”.

    Sono sempre più convinto che in un ottica di life strategy non si possa prescindere dalle azioni , sia in fase di accumulo che di decumulo non a caso anche la famosa regola del 4% ipotizza una allocazioni di azioni di almeno il 50% proprio per compensare gli effetti erosivi dell’inflazione.

    • Lorenzo Biagi 31 Ottobre 2023 at 08:57 - Reply

      Grazie Attilio. Concordo indipendentemente dal livello dei rendimenti obbligazioni (oggi sicuramente più interessanti) la componente azionaria è un fattore che oltre a fornire un valore aggiungo protegge dall’inflazione. Ovviamente se ci sono i tempi adeguati per sopportare le oscillazioni inevitabili dei suoi rendimenti. Ma come abbiamo visto questo approccio serve anche per il mercato obbligazionario che, soprattutto nella fase del “ritiro” dal mondo del lavoro, sia prima che dopo, va approcciato in un modo un pò più articolato di come viene solitamente dipinto dalla maggior parte degli operatori.

  3. Federico 30 Ottobre 2023 at 14:47 - Reply

    Molto interessante e stimolante, come anche molte altre analisi precedenti.
    In questo caso però, dopo aver visto i risultati, non ho potuto non pensare che buona parte di quegli investitori che nelle decadi 10, 11 e 12 avevano deciso di accantonare parte dei propri risparmi per goderne in futuro è morta di Covid.

    Trovo molto più umano godersi il presente e non rimandare la felicità a fantomatici acquisti futuri che richiedano una pianificazione finanziaria magistrale. Proprio perché futuri incorporano per natura il rischio di non realizzarsi e di veder sfumare la tanto attesa felicità.
    Meglio vivere i piaceri del presente, con saggezza e consapevolezza delle proprie disponibilità, che mirare a tutti i costi alla strategia che mi farà diventare il “più ricco del cimitero”.

    Senza alcuna polemica per il nocciolo dell’articolo che trovo comunque interessante e frutto di impegno, soprattutto in termini di analisi comparata delle diverse asset class.

    • Lorenzo Biagi 30 Ottobre 2023 at 14:53 - Reply

      Ovviamente del futuro non c’è certezza, ma nemmeno delle conseguenze di un presente godereccio abbiamo certezza. Ccopriremo solo fra n anni a quali rinunce andremo incontro quando il nostro capitale umano si avvierà a valere sempre meno e ogni deviazione dal percorso ideale rischierà di essere pagata a caro prezzo.
      Diciamo che si può tentare di combinare un presente da non rimpiangere con un futuro da non odiare. Ma questa è solo la mia opinione ovviamente.
      Sono comunque contento che l’articolo sia piaciuto e che abbia stimolata una riflessione.

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