L’Italia è fanalino di coda nell’educazione finanziaria come emerge da uno studio del Global Financial Lyieracy Excellence Center al recente Salone del Risparmio .
Alcuni punti sono veramente incredibili. Intanto abbiamo un livello di alfabetizzazione finanziaria pari al 37% sul totale della popolazione, numeri da paesi emergenti. Un classico segnale (l’ennesimo) del tempo perso da istituzioni pubbliche e private a trastullarsi in questi anni su altre cose. Ancora più incredibile il fatto che sono i giovani e gli anziani ad avere le minori conoscenze. Capisco la terza età, non capisco affatto la prima, quella digitalizzata, quella secondo Draghi con il tasso di alfabetizzazione più alto di sempre. Evidentemente non è così in materia finanziaria.
E qui entriamo nel primo vero punto critico. Quanto è voluto questo analfabetismo finanziario? E’ veramente tutto frutto del caso o delle crisi economica e di valori?
Tempi e modi per progredire le conoscenze degli italiani (soprattutto quelli giovani) ci sono stati, ma se non si è sfruttata questa eccezionale finestra temporale di grande crisi per formare le menti (pensate per caso che qualcuno si interessi di economia quando tutto va bene?) forse un po’ di conflitto ci sarà, e mi fermo qui.
E’ altrettanto evidente che se un ragazzo non ha soldi da spendere o risparmi da accumulare per mancanza di lavoro il suo interesse per l’educazione finanziaria è a livelli simili a quelli dell’astronomia o dell’agricoltura biodinamica,tanto per fare qualche esempio.
Non è certamente un’alleanza tra pubblico, privato e autorità di controllo che può fornire una soluzione (soluzione auspicata da Banca d’Italia). Nemmeno la soluzione può essere esclusivamente a a livello statale come suggerisce Consob.
Il problema è un altro e si chiama mancanza di trasparenza, responsabilizzazione del singolo, far diventare figo interessarsi dei propri risparmi e di come farli crescere progressivamente nel tempo. Come mai un ragazzo si interessa dello smartphone di ultima generazione andando a vedere su tutti i blog/You Tube del caso pregi e difetti dell’oggetto pur di assicurarsi il meglio al costo più basso, e se ne frega del proprio futuro previdenziale o del processo di investimento che sta portando avanti?
Perché prima di tutto non ha soldi da investire e poi anche perché se li avesse non sarà certo spiegando la finanza in modo nozionale ed accademico che un ventenne si innamorerà della materia. Non sono delle barbose lezioni universitarie che hanno permesso al sottoscritto di interessarsi con entusiasmo al mondo degli investimenti e della finanza in genere.
Guardatevi intorno. I genitori fanno fare ai propri figli ogni genere di corso, dall’inglese alla danza, dal Wu-Shu al teatro, ma come mai non ci sono corsi di economia personale? Perché non è sexy, perché non è modaiolo, perché tanto non ti eleva sugli altri. Si spera di far diventare il proprio figlio un nuovo Messi o un nuovo attore di Hollywood; le probabilità sono le stesse di vincere al Super Enalotto eppure non ci si rassegna e si tenta sempre e comunque. Non è forse più conveniente investire sull’educazione, anche finanziaria, per insegnare ai nostri figli ad esempio che non è impossibile diventare milionari in una vita mettendo da parte cifre neanche esageratamente alte?
Credo che nessuno nel privato è riuscito per ora a trovare la chiave di volta per spingere la gente a sentire il bisogno di educazione finanziaria, ma di certo chi deve stare fuori da questa educazione è il settore pubblico. Se fossimo in un paese con visione di lungo periodo (ne cito uno a caso, la Norvegia) potrei anche fare un apertura di credito allo Stato pensando a percorsi formativi ad hoc tenuti da insegnanti altamente specializzati all’interno delle scuole. Se però il risultato preso come parametro di riferimento deve essere l’insegnamento desolante dell’inglese o della tecnologia adottato all’interno delle scuole primarie italiane mediamente in questi ultimi anni, beh allora lasciamo stare meglio fare da sé.