L’ETF è uno strumento finanziario a basso costo. Questo concetto non è contestabile da nessuno anche se va sviluppato in un modo più approfondito per non farsi cogliere impreparati quando arriverà il momento di tirare le somme.
Come abbiamo visto in questo articolo i costi interni di un ETF non si limitano all’indicazione che rileviamo nel documento noto come KIID o “informazioni chiave per gli investitori”. Costi più o meno consistenti in termini di punti base andranno sottratti al risultato finale di replica del benchmark che ogni emittente cerca di limitare adottando una politica di gestione adeguata.
Abbiamo anche conosciuto in una puntata precedente il miglior indicatore per stimare la bravura di un gestore di ETF, quella tracking difference che rappresenta la differenza di rendimento tra l’ETF e il suo benchmark.
Ma questi costi interni, che potremmo anche denominare costi di possesso dello strumento, non rappresentano il costo complessivo dell’ETF. Quello che in gergo viene chiamato Total Cost of Ownership (TCO).
Come si determina il costo complessivo dell’ETF
L’indicatore TCO non è purtroppo rintracciabile da nessuna parte e il motivo è presto spiegato. La sua consistenza dipende da costi esterni che non sono sotto il controllo del gestore di ETF.
Una parte di questi costi esterni sono invece sotto il controllo dell’investitore, altri no.
Vediamo a questo punto quali sono questi costi esterni ed eventualmente qualche mossa furba per limitarli.
Nel momento in cui decidiamo di acquistare un ETF in borsa inseriamo all’interno del nostro trading online (o la fa un operatore bancario per conto nostro) l’ordine di acquisto.
Se l’operazione viene eseguita, oltre al controvalore dell’ETF acquistato (numero quote * prezzo di mercato), troveremo addebitato sul conto corrente anche un importo aggiuntivo, le commissioni di negoziazione o intermediazione. Una differenza fondamentale rispetto ad un fondo di investimento è proprio questa. Nel fondo non esistono commissioni di transazione ma possono comunque esistere altri costi denominati di sottoscrizione, switch e rimborso. Ne riparleremo.
Questi sono i costi che l’intermediario finanziario trattiene quale compenso per l’attività che ha appena svolto per conto nostro.
Un costo che, tramite un broker online, può partire da 0,2%-0,3% sul controvalore acquistato (solitamente con minimi fissi), per arrivare anche a 0,5%-0,7% per un acquisto con operatore di sportello. Alcuni broker applicano costi zero caricando una minima commissione annua sul patrimonio complessivo.
Come per una normalissima azione, il costo di negoziazione viene prelevato ogni volta che facciamo un acquisto o una vendita di un ETF. A differenza delle spese correnti non verrà quindi addebitato ogni anno in maniera ricorrente.
Ovviamente se il deposito titoli sul quale sta l’ETF ha un costo per l’investitore, una frazione di questo onere andrà spalmata su ogni singolo ETF quale costo esterno dell’investimento.
Altro costo esterno con il quale ogni investitore si trova ad avere a che fare all’atto della compravendita è il cosiddetto spread bid ask.
Quando andiamo ad acquistare un ETF in borsa avremo un prezzo di offerta in acquisto (il nostro) e uno in vendita espresso da un altro investitore desideroso di liberarsi del titolo.
Ad esempio su un qualsiasi ETF potremmo trovarci 10 come prezzo di acquisto e 10,10 come prezzo di vendita. Quei 0,10 €, ovvero 1%, rappresentano lo spread bid ask.
Quasi mai questi due prezzi (bid e ask, in italiano denaro e lettera) coincidono.
Il venditore cercherà di spuntare un prezzo più alto, il compratore più basso. La differenza di prezzo si chiama spread e appunto diventa un costo quando il compratore acquista a mercato accettando l’offerta del venditore.
In realtà questo numerino è un costo solo per la parte che eccede il valore reale dell’ETF, ovvero il NAV.
Per gli ETF più importanti e capitalizzati lo spread bid ask è inferiore solitamente allo 0,1% del controvalore investito, rendendolo praticamente irrilevante in un orizzonte di lungo periodo. In altri casi per ETF di nicchia o con bassa capitalizzazione lo spread può anche superare l’1%.
Anche in questo caso il costo viene applicato una tantum all’atto della compravendita.
Borsa Italiana mette a disposizione ogni mese un documento aggiornato per singolo prodotto (qui il link) con i relativi spread bid-ask.
Le sorprese non mancano con ETF low cost che però per svariati motivi presentano spread tra denaro e lettera molto ampi. In un piano di lungo periodo questo onere tende a diluirsi rendendolo sicuramente meno impattante rispetto a chi fa ribilanciamenti o arbitraggi frequenti.

Fonte: Borsa Italiana
Il vero differenziale di prezzo a carico dell’investitore è quello rilevato al momento dell’acquisto rispetto al NAV.
La volatilità delle varie giornate di borsa ha certamente un impatto e questo valore è rappresentato dal premio/sconto sul NAV (il vero valore dell’ETF) del prezzo di acquisto o vendita dell’ETF. Un consiglio universale è quello di effettuare gli acquisti possibilmente nelle giornate di borsa più tranquille e meno volatili.
Altri costi esterni che si aggiungono a quelli interni dell’ETF sono legati ad una tassazione che possiamo tranquillamente definire “patrimoniale”.
Ad esempio l’imposta di bollo dello 0,2% sul controvalore di fine anno dell’ETF è un aggravio ulteriore per gli investitori che dovranno più avanti pagare il conto allo Stato anche in fase di liquidazione dello stesso (se in guadagno e si parla di tassa sul capital gain) o in fase di riscossione di cedole e dividendi.
Nel caso di utilizzo degli ETF come strumento di investimento all’interno di polizze assicurative di ramo terzo, gestioni patrimoniali o rapporti di consulenza a parcella, ecco che al costo dello strumento dovremmo sempre sommare il relativo onere del prodotto/servizio.
Uno dei costi indiretti meno considerato dagli investitori è quello relativo ai costi di copertura dal rischio di cambio per gli ETF che presentano nella loro descrizione la dicitura Eur hedged.
Per evitare che il capitale investito possa rimanere vittima anche delle oscillazioni valutarie, il gestore di ETF offre la possibilità all’investitore di coprire il rischio di cambio. Dollari americani, yen, sterline e altre valute non rappresentano più un problema per l’investitore che ha deciso di acquistare ETF Eur hedged. Tutto questo ha però un costo di copertura qualora la valuta “coperta” offre sul mercato un rendimento superiore a quella europea.
Un tipico esempio di costo di copertura è quello sostenuto per coprire il rischio cambio dollaro. Molto a spanne l’entità di questo costo su base annua è rappresentata dal differenziale di tasso di interesse tra il Libor 12 mesi dollaro e l’Euribor 12 mesi. Teniamo però conto che questo numero è variabile, influenzato dalle variazioni di aspettativa sui tassi da parte del mercato e dalle strategie messe in atto dal gestore.
Esistono altri piccoli rivoli di costo disseminati qua e là, ma il TCO, il costo totale di possesso di un ETF come abbiamo visto è difficilmente stimabile a priori. Quello che sappiamo per certo è che il costo indicato come “spese correnti” sul KIID non è mai un costo definitivo. Quella è la base di partenza.
Il nostro obiettivo come investitori dovrà essere quello di comprimere al massimo questi costi, oltre a scegliere naturalmente l’ETF giusto per i nostri obiettivi.
Per chi volesse approfondire il tema in lingua inglese consigliamo questo snello documento di SPDR ETF proprio sull’argomento TCO.