By |Categorie: Educazione finanziaria|Pubblicato il: 15 Luglio, 2022|

Il costo di un ETF rappresenta molto spesso uno dei fattori discriminanti che porta un investitore a scegliere un ETF piuttosto che un altro.

Abbiamo già visto con questo articolo che la tracking difference è un parametro più che sufficiente per fare una selezione affidabile tra vari ETF, anche perché al suo interno questa informazione incorpora già gli effetti negativi del costo dello strumento.

Se non è una fattore decisivo nella scelta quantificare i costi che gravano sugli ETF, il dato è però molto importante.

I costi reali degli ETF non sono quelli indicati nei documenti di sintesi

A differenza di quello che pensa la maggior parte degli investitori, il dato di costo indicato nei documenti di sintesi degli strumenti (altresì detto KIID) non è il valore finale di quanto oneroso è un ETF.

La vera rivoluzione degli ETF è stata quella di replicare un indice a costi molto contenuti.

Una filosofia completamente opposta a quella dei fondi a gestione attiva nei quali il benchmark è un parametro da battere (e non da replicare) con il supporto di attività sistematiche di trading, di analisi e di ricerca oppure di selezione titoli (stock picking).

Siccome nulla è gratis, maggiore attivismo uguale maggiori costi per l’investitore. E come dice Jack Bogle fondatore di Vanguard, le performance vanno e vengono, i costi stanno con noi per sempre.

Purtroppo per i fondi a gestione attiva le statistiche dicono che la loro capacità di battere un benchmark è molto limitata.

Mediamente 9 fondi su 10 a distanza di 15 anni non ce la fanno. Chi ce la fa non riesce ad essere persistente. Questo significa che difficilmente troveremo un fondo in grado di battere sistematicamente ogni anno il proprio benchmark (e quindi l’ETF).

I costi sono i principali responsabili della sconfitta della gestione attiva degli investimenti

Nel corso di decenni di studi accademici è stato appurato che i costi sono i responsabili principali dell’incapacità dei fondi a gestione attiva di battere il benchmark. I bassissimi costi sono la chiave del successo degli ETF.

Ma siamo sicuri di conoscere bene quanto costa l’ETF che abbiamo in portafoglio?

Gli investitori poco esperti ritengono che il costo dell’ETF è esclusivamente quello rappresentato sul documento informativo KIID. Non è così.

Le spese correnti in realtà rappresentano una frazione di costo come possiamo già intuire da quello che viene in modo chiaro scritto dall’emittente dello strumento sul KIID (il documento di sintesi che dovremmo sempre leggere prima di acquistare).

Fonte: SPDR ETF

Il costo dichiarato di un ETF non è All Inclusive

Le spese correnti comprendono  le commissioni di gestione (quanto chiede il gestore al cliente in cambio per la sua attività), i costi amministrativi, di custodia dei titoli, di revisione, di spese legali, di registrazione presso gli organi di vigilanza, di marketing e altro ancora.

Un bel malloppo che ex-ante (ovvero nel momento in cui procediamo all’acquisto dell’ETF) conosciamo in termini quantitativi come ben esplicitato dal KIID.

Non illudiamoci però. I costi degli ETF non sono solamente questi.

A questi oneri espliciti se ne sommano altri non determinabili a priori (ma stimabili) legati ad esempio ai costi di ribilanciamento.

Dovendo mantenere l’ETF sempre uguale il peso percentuale dei titoli in portafoglio per rispettare le proporzioni previste dall’indice benchmark, sono necessari dei periodici aggiustamenti causati ad esempio da variazioni nel paniere di azioni  piuttosto che per operazioni straordinarie di capitale (fusioni, IPO, ecc…).

Se l’ETF non è a replica fisica, ovvero se non compra direttamente i titoli che servono per copiare l’indice, ma è a replica sintetica allora i costi cambiano forma ma ci sono comunque.

Essendo l’ETF a replica sintetica uno strumento che copia un indice non comprando le azioni ma scambiando prodotti derivati con un’altra controparte, le commissioni di swap sono quella piccola zavorra che l’ETF si deve mettere sulle spalle per avere la garanzia contrattuale della replica integrale dell’indice.

E’ un po’ come avere su un tavolo tante caselline di un puzzle che ogni giorno risistemiamo per effetto di qualche spostamento provocato da urti, vento, piccoli difetti di usura nel pezzo, ecc…

Gli ETF sono molto trasparenti

Uno degli aspetti sicuramente positivi degli ETF è la trasparenza.

Le informazioni che non troviamo nel KIID con un briciolo di curiosità e conoscenza potremo scoprirle nel sito internet del gestore dell’ETF.

Qui scopriremo ad esempio che per alcuni ETF i costi aggiuntivi nella maggior parte dei casi sono i costi di transazione. I costi di compravendita che un gestore deve sostenere per comprare e vendere le azioni e le obbligazioni come qualsiasi altro investitore, ma a condizioni agevolate grazie alle economie di scala dei volumi scambiati.

In alcuni casi questi costi aumentano il costo finale dell’ETF di pochi centesimi (o punti base come si dice in gergo tecnico).

In altri casi questi costi aggiuntivi possono rappresentare anche il 30% o più delle spese correnti aumentando in maniera significativa il costo finale.

Stiamo parlando sempre di cifre modeste se paragonate ad un fondo, ma è giusto sapere che i costi sono sempre più alti di quelli che troviamo indicati nei più comuni motori di ricerca o KIID.

Fonte: Vanguard ETF

Tutti questi costi si sommano insieme e formano  il costo totale di un ETF.

Per fortuna esistono anche delle voci di ricavo che possono però andare a ridurre il costo dell’ETF.

I gestori infatti hanno l’opzione (ma non l’obbligo) di poter prestare i titoli contenuti nell’ETF (e quindi i nostri titoli) ad altre controparti che offriranno adeguate garanzie (i cosiddetti collaterali) che metteranno nelle condizioni il gestore (e quindi noi clienti) di poter riavere indietro con una elevatissima probabilità di successo il possesso pieno dei nostri titoli.

Il ricavo di questa attività di prestito titoli andrà a ridurre il costo totale dello strumento.

Una voce di attivo che non sempre è consentita dal regolamento dell’ETF e che non sempre viene retrocessa al 100% all’investitore dello strumento da parte del gestore. Finezze che però fanno la differenza nel lunghissimo periodo. Anche in questo caso il KIID spiega tutto.

Quelli che abbiamo elencato finora sono costi interni all’ETF.

Esistono però altri costi esterni all’ETF, quindi che non dipendono dal gestore, che contribuiscono ad aumentare l’onerosità complessiva del prodotto.

Costi interni e costi esterni all’ETF

Tra i costi esterni  ad esempio troviamo le commissioni di intermediazione che paghiamo alla banca quando acquistiamo in borsa lo strumento, il differenziale tra denaro e lettera (ovvero la differenza di prezzo tra la miglior offerta di vendita e di acquisto), il costo eventuale della copertura dal rischio cambio (hedging), la doppia tassazione sui titoli esteri e altro ancora.

Questo bel pacchetto determina il reale costo di un ETF, ovvero il TCO (Total Cost of Ownership) che possiamo riassumere come la somma di

Costi interni ETF + Costi Esterni = TCO (Total Cost of Ownership)

Nel prossimo appuntamento educativo sugli ETF capiremo meglio come e dove trovare queste informazioni per scoprire qual è il vero costo dell’ETF che stiamo acquistando.

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