By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 12 Dicembre, 2022|

Fare previsioni sull’economia e sui mercati finanziari è un esercizio inutile, lo sappiamo.

Eppure, saremo a breve inondati di “market outlook”, o “the year ahead” o “come andranno i mercati” per il 2023  pubblicati da banche, guru della finanza e ciarlatani vari e variegati.

In questo articolo mi vorrei invece soffermare su una disamina degli ultimi tre anni (1000 giorni), partendo quindi da dicembre 2019 per arrivare a oggi (dovrei in teoria aspettare la fine di dicembre 2022, ma ciò che doveva succedere direi che è già successo e comunque non cambierebbe l’analisi che vi propongo qui sotto).

Ovviamente il tutto è visto alla luce di cosa è successo all’indice azionario per eccellenza, l’S&P500. Guardiamo in questa tabellina semplice l’andamento da dicembre 2019 a oggi del prezzo dello S&P500, degli utili prodotti dalle aziende e dei relativi dividendi (nota: quando si parla di utili e di dividendi, si parla di utile e dividendo per azione; quindi sommando tutti gli utili e dividendi per ogni azione quotata nello S&P500, si arriva al numero qui sotto):

                                               31/12/2019                            Oggi

S&P500                                     $3,230                      $4,000 (arrotondato)

Utili per azione                         $162                       $215 (attesi)

Dividendi per azione               $59                        $65 (attesi)

Fonte: Factset, Bloomberg

Se qualcuno avesse voglia di farsi il calcolo del famoso P/E ratio (rapporto tra prezzo e utili), scoprirebbe che dividendo il prezzo dello S&P500 per i suoi utili:

                                              2019                                      Oggi

P/E                                         20x                                         18.6x

Nel 2019 sarebbero stati necessari 20 anni degli utili prodotti dalle aziende per ripagare il costo sostenuto per l’investimento nello S&P500. Oggi, “solo” 18.6 anni.

Cosa è quindi successo negli ultimi tre anni?

Chi ha portafogli ben diversificati e investiti nelle grandi aziende americane e per i quali gli obiettivi a lungo termine non sono cambiati, può guardare agli ultimi 1000 giorni con un certo distacco e, magari, anche con sollievo.

Lo S&P500 è aumentato di valore negli ultimi tre anni del 24% (per noi investitori in euro aggiungiamo un 4% per effetto della rivalutazione del dollaro, ma è un caso).

Gli utili delle aziende sono saliti di un 30%, motivo per cui il P/E calcolato sopra è sceso da 20 a 18.6; quindi il mercato è “meno” caro rispetto a Dicembre 2019.

Anche i dividendi sono saliti del 10%. Sicuramente non si sono mantenuti al di sopra della crescita dell’inflazione in questi ultimi mesi, ma nessuna altra fonte di reddito è riuscita a tenere il passo dell’inflazione.

Il tasso di crescita composto dello S&P500 dal 2019 ad oggi è stato pari a un più che dignitoso +7%: al di sotto della media storica degli ultimi 100 anni, ovvero del +10.2%, livello comunque non disprezzabile.

Soprattutto perché in questi tre anni è successo di tutto. Pandemie globali, centinaia di migliaia di decessi, economie bloccate e completamente chiuse, elezioni americane con assalto al Parlamento, invasioni militari come non si vedevano dal 1939, tassi di inflazione come non si vedevano dagli anni ’70.

Come si è potuto resistere a un Armageddon del genere?

Forse solo uno scrittore di fantascienza avrebbe potuto mettere insieme una serie di eventi catastrofici così concatenati uno dopo l’altro.

Eppure, c’è qualcuno che è riuscito a “catturare” i rendimenti descritti qui sopra, pur in presenza di scenari fantascientifici e assolutamente imprevedibili: una serie di cigni neri o grigi che hanno messo a durissima prova la nostra psiche e la nostra resilienza psicologica.

Soprattutto quando si parla di soldi e risparmi.

C’è qualcuno che c’è riuscito. E come c’è riuscito?

Qui svelo un po’ la mia non più giovane età, parafrasando una pubblicità di una banca d’investimento americana, la Smith Barney, del 1986 quando mi stavo interessando al mondo dell’investment banking: ci sono riusciti perché “se lo sono guadagnato”.

E come se lo sono guadagnato? Facendo la cosa più semplice, pur inondati quotidianamente da tre anni da caos totale: sono rimasti investiti e non hanno disinvestito.

Fermiamoci solo un attimo e rileggiamo l’ultimo paragrafo, soprattutto la parte in grassetto. Io, personalmente, consiglio non solo di leggerlo ma di ripeterlo a voce alta e di ascoltare sé stessi mentre lo si ripete.

La forza di avere un piano di investimento

Se si ha un piano di investimento progettato sui propri obiettivi e desideri di vita, e se si è investito in un portafoglio che storicamente e statisticamente permette di raggiungere quegli obiettivi, il vero comportamento eroico negli ultimi tre anni di caos totale è stato quello di non disinvestire (e con l’aiuto di qualcuno, magari mettere a lavorare la liquidità depositata sul conto corrente nei momenti peggiori in assoluto).

Ovviamente con questo articolo tiro acqua al mio mulino, ma chi ci conosce sa perfettamente che il risparmiatore-investitore da solo non sarebbe stato in grado né di focalizzare i propri obiettivi, né di metterli nero su bianco, né di costruire un portafoglio dedicato a quegli obiettivi e nemmeno di rimanere investito durante i deliri degli ultimi 3 anni.

Perché nonostante i deliri, noi siamo investitori di lungo termine e diventiamo soci delle grandi aziende quotate nel mondo, aziende che si devono destreggiare nel mezzo dei deliri (ed infatti il loro utile per azione è salito negli ultimi 3 anni, come dimostrato sopra) e lo sanno fare anche bene. E, se non lo sanno fare, escono dal mercato e vengono rimpiazzate da aziende più agili e snelle. E noi investiti nei mercati ne beneficeremo direttamente.

Le bolle sono scoppiate

Ultime tre considerazioni sui “deliri” degli ultimi tre anni che hanno testato pesantemente la nostra psiche e la nostra capacità di mantenere la calma.

  1. 50 sfumature di grigio: ne abbiamo già parlato in altri articoli sul “noise”, ovvero il rumore di fondo (vedi articolo Quel fastidioso rumorino di sottofondo che ci accompagna quando investiamo ), ma uno dei più grandi investitori di tutti i tempi, Jeremy Grantham, ci ha insegnato che:

il mercato non gira quando vede la luce in fondo al tunnel. Il mercato rimbalza quando tutti intorno vedono nero ma, un giorno, quel nero sarà un po’ meno nero”.

L’esempio recente più classico è il 13 ottobre di quest’anno. Ho scritto un post su Linkedin al riguardo proprio a supporto dell’articolo sul rumore di fondo e cito: “ il mercato azionario americano sta scendendo da gennaio perché l’inflazione è arrivata ai livelli degli anni 70…il 13 di ottobre è stato pubblicato il dato dell’inflazione di settembre: +8.2% anno su anno e molto al di sopra delle “stime” degli analisti…a valanga commenti negativi da destra e a manca: l’inflazione rimane troppo alta, distruggerà i margini aziendali, la FED alzerà ancora di più i tassi, recessione ecc ecc…risultato? Il mercato ha voluto comunque leggere quel dato come un massimo inflazionistico da cui si sarebbe scesi (cosa puntualmente avvenuta a Novembre): quel giorno lo S&P500 era a 3500 punti, ha chiuso a +3% e dai minimi di quel giorno siamo a +14% ad oggi…se uno avesse seguito il rumore di fondo dei “commentatori” professionali?” Avrebbe dovuto vendere e aspettare che la situazione si “calmasse un po”. Perdendosi appunto il +14%.

Con questo non voglio dire che quello ha rappresentato il punto più basso di questo bear market iniziato a gennaio: può ben darsi che lo sia, ma se si dovesse scendere a nuovi minimi, il rimbalzo sarà ancora più forte e violento di questo +14%. Ecco perché bisogna rimanere investiti se non si ha bisogno della liquidità.

  1. Le tante illusioni del mondo crypto, meme stock e NFTs: a febbraio di quest’anno c’è stato il 34° Superbowl americano e le pubblicità, che vanno in onda all’intervallo della partita, sono le più pagate in assoluto dalle aziende americane.

Guarda caso, proprio FTX, la borsa cripto che è fallita miseramente nelle ultime settimane, ci faceva una lezione morale attraverso una sua spassosa pubblicità (assolutamente da guardare, con le invenzioni nei secoli che vengono ignorate dall’attore principale), sul fatto che tutti noi fossimo dei dinosauri e fuori dalla moda perché non stavamo ancora investendo in cripto. Stavamo ignorando l’invenzione del secolo, la “criptovaluta”. Naturalmente investendo i nostri capitali con FTX come borsa di riferimento.

 

Fortune, uno dei media maggiormente seguiti dai grandi investitori USA, mise in copertina il 30enne “cripto-miliardario” ad Agosto di quest’anno, definendolo il prossimo “Warren Buffett”.

Non mi sto a dilungare qui sul fatto che le criptovalute, i meme stocks, gli NFTs mai sono stati e mai saranno investimenti. Grandi investitori istituzionali ci hanno messo centinaia di milioni di dollari, hanno celebrato veri e propri ciarlatani e hanno sostenuto il mondo cripto come se fosse il nuovo Eldorado.

E i poveri risparmiatori-investitori sono stati tentati a più riprese dal buttarsi in queste avventure.

Sarò un dinosauro ma, per quanto mi riguarda, un investimento è un qualcosa che svolge una funzione economica reale, producendo dei rendimenti e dei ritorni sulla base dei quali può essere ragionevolmente valutato (vi ricordate il P/E di cui sopra?).

Azioni, obbligazioni, appartamenti, terreni e anche il franchising del McDonald’s sotto casa vostra sono esempi di investimenti.

Il mondo cripto ed i suoi affini, meme stocks ed NFTs, non hanno mai nemmeno cercato di avvicinarsi a questi concetti di base e, pertanto, non mai stati nient’altro che mera speculazione.

  1. La bancarotta “intellettuale” del giornalismo finanziario”: il giornalismo finanziario è un business. È un’azienda. E questa azienda deve vendere pubblicità.O meglio, deve produrre articoli e contenuti per fare in modo che la gente legga i suoi articoli o clicchi sui link e, quindi, poter poi vendere i suoi spazi pubblicitari.

I giornalisti finanziari non hanno nessun interesse nel perché, come e in che cosa stiamo investendo. Non sanno chi siamo, non sanno neanche quanto stiamo investendo e a loro non interessa se guadagniamo o perdiamo. A loro interessa vendere pubblicità.

Perciò, tale giornalismo deve spendere un tempo sproporzionato a scrivere e pubblicare articoli sulle mode del momento, sui 30enni prossimi Warren Buffett, su gestori-guru che vengono intervistati a ripetizione perché sono “disruptive” ma perdono il 60% da inizio anno (ci sono numerosi esempi, tra cui Cathie Wood ed i suoi fondi ARRK con il -60% in bella mostra nella home page).

Articoli completamente inutili e, soprattutto, con titoloni da fine del mondo.

Roubini ha previsto 10 degli ultimi 2 crolli di mercato – e continuano ad intervistarlo (notare la data del 9 novembre di questa ultima “previsione”)

Il giornalismo non può e non vuole che un lettore si concentri sul lungo termine: perché se scrivesse che quello è l’obiettivo di ogni investitore e che non si dovrebbe concentrare sulle notizie di breve, nessuno leggerebbe più i suoi articoli.

È solo la mio opinione ovviamente, ma a me pare che il giornalismo finanziario negli ultimi tre anni abbia dato il peggio di sé. Crisi dopo crisi, nessuna vera analisi, solo titoloni sparati a caratteri cubitali e paura a go go. Ed è per questo che ogni tanto bisogna guardare il tutto in prospettiva. Da tre anni a questa parte, sarebbe stato meglio non cliccare su articoli di giornale da fine del mondo, non farsi risucchiare dalla moda speculativa del mondo cripto e rimanere semplicemente investiti, magari con l’aiuto di qualcuno in grado di stopparci nel momento in cui avremmo voluto “vendere” per rientrare “più avanti”.

Sappiamo tutti che è facile vendere ma non si sa mai, se non a posteriori, quale sarebbe stato il momento per rientrare. Perdendosi rimbalzi e rendimenti che non si rivedranno più in futuro.

Grazie per aver letto fin qui. Già so che dovrò rispondere a tanti commenti e tante critiche, ma i fatti sono questi ad oggi.

Buon investimento.

6 Commenti

  1. Andrea 18 Dicembre 2022 at 04:35 - Reply

    oltre che dei giornalisti finanziari ha dimenticato di parlare delle banche e dei consigli che danno ai loro clienti…, la cosa più scandalosa in assoluto sono le polizze unit linked vendute come fossero polizze vita a capitale garantito perchè tanto la gente capisce così per poi trovarsi il capitale decurtato dalle oscillazioni di borsa.

    • Valerio de Stasio 18 Dicembre 2022 at 09:35 - Reply

      Eh sì, certamente c’è anche quello anche se non è stato un problema solo degli ultimi 3 anni….le unit linked vengono vendute a piene mani da anni ormai… sicuramente la disonestà intellettuale di dire che sono a capitale garantito è grave. E da denuncia all’albo della consulenza: ma poi uno si ferma a pensare e purtroppo sappiamo tutti che sono le banche a finanziare con le quote annuali dei loro promotori il budget dell’albo.

      A noi indipendenti ci fanno ispezioni e quarto grado (giustamente perché anche tra gli indipendenti ci sono dei veri e propri ciarlatani: vediamo portafogli da mettersi le mani nei capelli), ma alle banche lasciano passare da anni ed anni queste mezze truffe legalizzate.

      Ma questo è un altro discorso e non è neanche solo ad appannaggio dell’Italia, perché vediamo anche in Usa e UK i venditori di polizze (le “annuities”), fare mezzi disastri.

      Ciò detto, il valore di chi vuole fare vera consulenza finanziaria è quello di gestire le emozioni dei clienti (sapendo farli restare investiti durante i 3 anni appena passati appunto), ma lo si fa solo raccontando la verità di come sono fatti i mercati ed educandoli finanziariamente.

      Non è per tutti ed infatti investire non è per tutti…ma se le regole sono chiare fin dall’inizio, è tutto molto più semplice e lineare. E dopo 3 anni come questi uno può, appunto, guardare con distacco alle montagne russe, essendo rimasto investito…dalla nostra esperienza, da solo, l’investitore medio non riesce, ma l’obiettivo nostro è sempre quello di renderlo sempre più consapevole (a rischio di renderlo indipendente, ma il nostro è anche un ruolo “sociale”, come ci ha detto un cliente recentemente….e sottoscriviamo).

      Grazie per.il commento. Buone feste

  2. esposito raffaele 16 Dicembre 2022 at 12:05 - Reply

    si vendono e si comprano gli eccessi, una borsa che guadagna il 20% in pochi giorni, si vende il +20% e ci si riporta al valore di partenza, alla quota di rischio condivisa con il cliente. Non vendere mai non condivido, le bolle si vendono , non si comprano

    • Valerio de Stasio 16 Dicembre 2022 at 19:17 - Reply

      Non mi sembra di aver detto che non si vende mai:se un cliente ha un piano di investimento ben definito in termini numerici (voglio smettere di lavorare a 60 anni con un capitale di xx milioni) e temporale (nel 2037), si inizierà a vendere in quel momento per creare una pensione integrativa. Fino a quel momento, bisogna lasciare lavorare il tasso composto degli interessi. A meno che tu dica che lo S&P500 fosse in bolla a fine 2021: può darsi, non mi sembrava francamente, ed un -20% da inizio 2022 non mi sembra una performance da esplosione da bolla speculativa. Poi c’erano tante altre bolle e mini bolle che, giustamente, sono scoppiate: ma vendere lo S&P500 dopo un +20% e poi?

  3. Lorenzo 12 Dicembre 2022 at 14:27 - Reply

    Articolo da condividere al 100%, da stampare, appendere nel proprio studio e da rileggere ad ogni calo dei mercati finanziari. Il problema vero è che persone non hanno pazienza, vogliono tutto e subito e non capiscono che devono concentrarsi su quanto dipende da loro (investire e mantenere) e non fare previsioni (impossibili) sui mercati finanziari.

    • Valerio de Stasio 12 Dicembre 2022 at 16:13 - Reply

      Grazie mille Lorenzo per il tuo commento. Questa è una delle ennesime dimostrazioni che “non fare nulla” spesso e volentieri è la scelta più corretta sui propri portafogli, se si ha un orizzonte temporale sufficientemente lungo (5 anni e in avanti). Noi come consulenti dovremmo dimostrare che ci facciamo pagare per fare “qualcosa”, ma appunto quel qualcosa spesso è non fare niente e togliere tutto il “noise” dalle orecchie dei clienti/risparmiatori. Io, personalmente e professionalmente, ho avuto l’ennesima conferma che il risparmiatore, da solo e bombardato costantemente da notizie giornaliere, non può avere la corazza psicologica di non fare niente per 3 anni. Fosse facile, lo farebbero tutti ma non è così. Grazie ancora per il commento.

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