By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 2 Gennaio, 2023|

Cominciamo oggi una serie di articoli dedicata alle classi di investimento alternative. Una categoria che potrebbe essere oggetto di attenzioni particolari da parte di quegli investitori, non necessariamente evoluti e con grandi capitali, che cercheranno di rimediare ai danni  inferti ai portafogli di investimento da un anno eccezionale come il 2022.

Conoscere per fare scelte consapevoli e corrette. Questa è la missione principale del nostro blog. E oggi studieremo da vicino la prima classe di investimento alternativa sotto esame. Quella delle infrastrutture.

Cosa si intende per investimento alternativo

Dare una definizione precisa che possa spiegare cosa si intende per asset class alternative non è facile. Diverse le teorie e le motivazioni su cosa è da considerare alternativo e cosa no. Siccome a noi piace la semplicità e la trasparenza, la definizione forse più aderente alla realtà è quella data dal sito Investopedia.

Un investimento alternativo è un asset finanziario che non ricade dentro la categoria di investimento convenzionale.

A questo punto la domanda più ovvia è: che cosa si intende per categoria di investimento convenzionale?

Azioni, obbligazioni e liquidità. Tutto il resto è alternativo.

E in questo tutto il resto c’è veramente tanta roba. Oro e commodities intese in senso aggregato, private equity, immobiliare e REIT, hedge funds, contratti derivati, collezionismo, crowdfunding e appunto infrastrutture.

Molti di questi investimenti alternativi sono quotati e accessibili anche alla clientela al dettaglio grazie a fondi e ETF.

Altri (vedi hedge funds, contratti derivati e private equity) sono tipi di investimento nella maggior parte dei casi riservati a investitori istituzionali, non sempre quotati giornalmente e con tagli di capitale di ingresso particolarmente elevati. Altri investimenti ancora sono altamente illiquidi (collezionismo e crowdfunding).

L’obiettivo di un investimento alternativo

Per tutti gli investimenti alternativi lo scopo finale dell’investimento è quello di ottenere un premio per il rischio maggiore delle categorie convenzionali, seppur con costi più elevati della media. A questo si somma un’altra delle caratteristiche peculiari degli strumenti alternativi, quella della decorrelazione con l’andamento delle asset class standard.

Utilizzati da investitori istituzionali come fondi pensione e assicurazioni, gli investimenti alternativi (a piccole dosi e dopo una valutazione ben ponderata magari con l’aiuto di qualche professionista) possono entrare anche nei portafogli di clientela privata che dispone di un capitale consistente.

Per il piccolissimo investitore rimane invece sconsigliato l’utilizzo di strumenti sì con elevate potenzialità, ma anche con elevati rischi che necessitano di una base di capitale molto ampia per sopportare le non improbabili perdite condite da difficoltà nel rientrare in possesso dei propri soldi quando si desidera.

Molti di questi investimenti alternativi possono oggi essere acquistati con ETF e questo abbassa l’asticella del requisito minimo di capitale. La facilità di accesso non significa però che un piccolo investitore deve buttarsi a capofitto su categorie di investimento non semplici da comprendere. Il potenziale vantaggio che ne deriverebbe potrebbe non sarebbe proporzionato al rischio corso.

Oggi cominciamo questo viaggio insieme esplorando l’investimento alternativo legato alle infrastrutture, un tema che ormai da anni ha trovato la sua dignità di vera e propria asset class di portafoglio evoluti.

Cosa significa investire in infrastrutture

Le infrastrutture possono essere di natura economica, come quelle legate a trasporti, utilities, comunicazione, energia; oppure di natura sociale come scuole, ospedali, prigioni, ecc…

Le opere infrastrutturali sono caratterizzate da alte barriere all’ingresso, tempi lunghi di lavorazione, economie di scala, alti margini di guadagno, sono per definizione anticicliche. La redditività potenziale dell’investimento solitamente è alta, la sensibilità ai cicli economici bassa quindi decorrelata con l’andamento dei mercati, i flussi di cassa costanti, potrebbero (e dopo vedremo perché) coprire in parte la perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione, hanno bassi tassi di fallimento e alto livello di responsabilità sociale.

Naturalmente anche i rischi sono diversi rispetto agli investimenti tradizionali. Rischi operativi, di continuità nelle forniture, di aumento dei tassi di finanziamento, legali, regolamentari, ambientali, fiscali, sociali e tanti altri fattori che potrebbero alterare il buon esito del progetto e della redditività.

Diverse ricerche accademiche nel corso degli anni hanno cercato di dare dignità alle infrastrutture come asset class reale.

Lo “sdoganamento” nei salotti buoni della finanza è avvenuto da tempo e diversificazione combinata a protezione dall’inflazione dovrebbero rappresentare i suoi punti di forza. Dovrebbero.

La ricerca di fonti di rendimento alternative allo zero offerto dalle obbligazioni negli anni passati, combinata ai grandi investimenti infrastrutturali dei paesi sviluppati ed emergenti per sostenere le rispettive economie, ha messo al centro dell’attenzione il tema infrastrutture come mezzo per aumentare la redditività del denaro investito.

Come risparmiatori privati non ci interessa tutto quel filone di investimenti “fisici” diretti in grandi opere infrastrutturali appannaggio di grandi fondi di investimento. Non ci interessano nemmeno gli investimenti non quotati effettuati da società di private equity. L’illiquidità è un qualcosa che va maneggiato con cura e, se qualche banca o rete di promozione finanziaria ci propone un “eccezionale” fondo chiuso con sottostanti anche le infrastrutture, stiamo molto attenti ai rischi (e ai costi) che sopporteranno i nostri soldi, immobilizzati per chissà quanto tempo in attesa di una performance dipinta come introvabile dalle patinate brochure degli abili esperti di marketing finanziario.

La storia dell’investimento in infrastrutture

In questo articolo mi interessa invece capire insieme a voi se l’investimento tramite uno dei tanti ETF specializzati sul tema infrastrutture può offrire del valore aggiunto al patrimonio, sia in termini di redditività che di diversificazione del rischio.

Anche i fondi di investimento si presterebbero ovviamente allo scopo, ma i costi decisamente troppo elevati, i rischi di eccessiva concentrazione su pochi titoli e l’incapacità dimostrata dai gestori nel corso del tempo di battere gli indici di riferimento di classi alternative come i REIT, mi porta verso un’analisi più convinta nel mondo degli ETF.

Cominciamo con il dire che l’investimento alternativo in società che investono o sono coinvolte nel mondo delle infrastrutture può essere di tipo esclusivamente azionario oppure obbligazionario. Sul mercato italiano è possibile acquistare ETF che si muovono su entrambe i fronti. Ma l’offerta la analizzeremo fra poco. Prima cerchiamo di capire cosa hanno scoperto le ricerche accademiche più recenti.

Un recentissimo studio ha messo a confronto 20 anni di performance degli investimenti in infrastrutture di varia natura (diretti, fondi, quotati) con i mercati azionari e obbligazionari globali.

I fondi non hanno fatto meglio di un indice azionario globale, gli strumenti quotati hanno ottenuto qualcosa di meglio grazie ai costi ridotti, ma senza mostrare un distacco clamoroso. Decisamente più performante la redditività degli investimenti diretti nelle infrastrutture. Ma come detto, su questo campo l’accesso per un investitore comune è praticamente sbarrato.

L’economista Joackim Klement in un suo recente articolo ha indicato nel lungo periodo di bassa inflazione (e bassi tassi di interesse) un fattore che è stato in grado di aumentare le performance degli investimenti in infrastrutture, notoriamente investimenti molto sensibili alle variazioni sui tassi a causa degli elevati livelli di indebitamento.

Eviteremo i tecnicismi, ma il costante declino dei tassi di sconto utilizzati per attualizzare i flussi di cassa futuri di un investimento ha aumentato il valore presente dello stesso. Tanto ci basta.

La condizione privilegiata dell’investimento in infrastrutture come generatore di flussi di cassa costanti si è vista nelle correzioni di mercato registrate durante la Grande Crisi Finanziaria del 2008 e durante la pandemia del 2020. La tenuta dell’asset class infrastrutture è stata certamente degna di nota.

La ricerca di cui sopra si è orientata su quattro quadranti.

Il primo, la capacità di proteggere durante le fasi di rischio estremo. Negli ultimi 20 anni la risposta è stata certamente positiva anche e soprattutto rispetto ad asset alternativi come private equity e immobiliare.

Il secondo, la capacità di generare quello che gli inglesi chiamano “income”, reddito sotto forma di dividendi. Anche qui la superiorità di questi investimenti in infrastrutture è stata dimostrata numericamente con dividendi nell’ordine del 2.5%/5% medi contro il 2.3% dell’azionario globale.

Gli altri due punti sotto la lente sono fondamentali nella costruzione di un portafoglio di investimento efficiente. Le infrastrutture diversificano? E proteggono dall’inflazione?

Riguardo al primo punto la risposta è ni. La correlazione rispetto ad un investimento azionario globale è praticamente zero per gli investimenti in infrastrutture diretti e non quotati, è invece superiore a 0,5 per l’investimento tramite strumenti quotati; in linea con i dati correlazione di real estate e private equity. Quindi anche acquistando strumento come ETF o fondi con sottostanti azioni legate al mondo delle infrastrutture, non aspettiamoci movimenti contrari o comunque irrilevanti alla direzione assunta dall’azionario nel suo complesso.

Per quello che riguarda la capacità dell’investimento in infrastrutture di coprire il rischio inflazione anche qui ci sono dei distinguo da fare.

La correlazione con l’inflazione è elevata nei periodi di alta inflazione (intesa come variazione annuale sopra al 3% come oggi) oppure inflazione zero o sottozero. Irrilevante nei periodi di inflazione normale compresa tra 0% e 3%.

Nel breve periodo è dimostrato che la capacità di coprire l’inflazione da parte di questi investimenti è modesta. Vero che i flussi di cassa si adeguano alla crescita dell’inflazione (pensiamo ad esempio ai pedaggi autostradali), ma al tempo stesso questi flussi non tengono il passo della perdita di valore dell’investimento. Come spiegato all’inizio l’aumento dei tassi di interesse abbassa il valore attuale degli flussi di cassa futuri. E perciò il business vale meno. Solo nel lunghissimo periodo, quando l’inflazione si torna a normalizzare, è dimostrato che i vantaggi arrivano a valle anche agli investitori.

Compresi quindi i pro e i contro di questo tipo di investimento, andiamo a capire quale offerta quotata è oggi disponibile al risparmiatore privato.

Come investire in infrastrutture con ETF

In Italia sono diversi i prodotti passivi (ETF) che investono sulle società impegnate nel settore delle infrastrutture. I due ETF con storia più datata sono anche quelli che replicano i due indici più rappresentativi. L’ETF di iShares Global Infrastructure nato nel 2006 replica l’indice Ftse, mentre l’ETF di Xtrackers nato nel 2008 replica l’indice di S&P Dow Jones. Esistono anche altri ETF più specializzati a livello regionale o settoriale (ad esempio infrastrutture energetiche).

Degno di nota anche un ETF di SPDR, Morningstar Multi Asset Global Infrastructure, con capitalizzazione da quasi 1,5 miliardi di dollari che investe in modo bilanciato tra azionario e obbligazionario globale sempre a tema infrastrutture.

Un confronto con un ETF azionario globale negli ultimi 10 anni dimostra come stare investiti sul prodotto più semplice e diversificato ha portato benefici. E non pochi. Considerando che abbiamo vissuto un periodo teoricamente favorevole alle infrastrutture grazie a tassi di interesse in costante calo, l’aumento del costo del denaro che stiamo vedendo oggi pone qualche dubbio ulteriore sulla capacità del tema infrastrutture di essere un investimento alternativo capace di sovraperformare uno tradizionale nei prossimi anni.

Fonte: JustETF

Come sempre i dati del passato vanno presi per quello che sono. Storia.

Il futuro potrebbe assumere sembianze ben diverse per le infrastrutture nonostante le premesse non così esaltanti. Abbiamo capito che la maggiore redditività e capacità di diversificazione si trova sugli investimenti diretti in infrastrutture, meno su quelli finanziari.

La copertura dall’inflazione è un qualcosa che giustifica l’esposizione a questa asset class solo nel lungo periodo.

Infine i fondi chiusi, regolarmente proposti da banche e reti di consulenza alla clientela privata, vanno tendenzialmente evitati perché costosi e privi del requisito principe della liquidabilità immediata. Tenere i soldi “bloccati” per anni su un’asset class che finora non ha dimostrato di essere “meglio” di un normalissimo azionario globale non sembra essere una scelta di buonsenso.

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