By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 11 Luglio, 2022|

Meglio la gestione passiva o la gestione attiva quando si parla di investimenti? L’eterno dibattito che ruota attorno al miglior stile di investimento sui mercati finanziari ha radici lontane ancora oggi molto controverse.

Risale al 1964 il celebre studio del Professor Michael Jensen. Analizzando 115 fondi di investimento nel periodo 1945-1964, Jensen arrivò alla conclusione che in media i gestori attivi non erano in grado di sovraperformare una strategia di compra e tieni (buy and hold), ma nemmeno una strategia di scelta casuale degli investimenti. Anche misurando le performance al lordo dei costi di gestione il risultato non cambiava.

Lo stesso Jensen nelle sue conclusioni confermava però l’innegabile vantaggio della diversificazione offerta dai fondi. Un vantaggio che riduceva i rischi dell’ancora più dannoso fai da te.

Quando l’innovazione finanziaria porta benefici per l’investitore

In quegli anni però i fondi passivi e gli ETF erano ancora ben lontani dall’essere dei prodotti finanziari disponibili per i comuni investitori. Si può tranquillamente dire che in assenza di alternative poteva anche andare bene così.

Poi il mondo finanziario è cambiato. La strategia passiva non solo è diventata efficiente e poco costosa, ma anche un servizio di largo consumo.

Basti pensare che dal 3% del 2007, gli ETF oggi rappresentano il 27% del mercato americano dei fondi gestiti. Le masse amministrate dai “replicanti” sono cresciute di 15 volte negli ultimi 15 anni.

Non si può condannare chi ha scelto di cavalcare questa onda.

I tanti studi che nel corso degli anni si sono avvicendati hanno sostanzialmente confermato ciò che Jensen aveva scoperto. La gestione attiva non è meglio di quella passiva.

Secondo Morningstar nel 2021 solo il 45% dei fondi a gestione attiva ha battuto il suo benchmark di riferimento (ovvero il mercato).

Negli ultimi 20 anni, meno del 10% dei fondi che investono sul mercato azionario americano delle società a grande capitalizzazione ha battuto il benchmark.

Numeri che hanno spinto il direttore della Global ETF Research di Morningstar  a dire che le strategie passive sono praticamente imbattibili.

Questo studio segue quello che ogni anno dal 2002 porta avanti con il nome di SPIVA la società americana S&P Dow Jones Indices.

Ripetuti studi dimostrano che nel lungo periodo la gestione attiva non è migliore di quella passiva

Una mappa interattiva permette ad ogni investitore di consultare liberamente quanti sono i fondi attivi capaci di battere il loro parametro di riferimento a distanza di 1, 3, 5 e 10 anni. Interrogazione che può essere fatta anche per ogni area geografica e categoria di classe di investimento (asset class).

Negli Stati Uniti i fondi che investono in società a grande capitalizzazione capaci di battere il mercato negli ultimi 10 anni sono stati meno del 17%. Numero simile in Europa e in altre parti del mondo e che certifica l’enorme difficoltà che anche i professionisti del settore hanno nel fare meglio del mercato.

Ma chi fa meglio è fortunato oppure molto abile?

Su questo blog cerchiamo da sempre di fornire informazioni basate il più possibile sui fatti, oggettive e provenienti da fonti ufficialmente riconosciute.

Questo approccio, che sicuramente porta meno click sul nostro sito, ritengo essere però quello vincente quando si entra in un mondo come quello finanziario dove l’incertezza regna sovrana.

I gestori vincenti devono dire grazie alla fortuna oppure alla loro abilità?

Anu Ganti è il Direttore dell’Index Investment Strategy di S&P Dow Jones. In questo recente articolo ha tentato di dare una risposta al quesito se la cosiddetta over performance dei gestori, quindi la capacità di battere il mercato di riferimento, è generata da fortuna o abilità.

Ganti ha cominciato dal tasso di persistenza dei gestori vincenti in un certo periodo di tempo.

Il tasso di persistenza è un indicatore di quanto le performance storiche dei gestori possono essere utili nel prevedere quelle future. Proprio quello che ci serve per comprendere se ha senso dedicare personalmente molto del nostro tempo a questa attività.

La mappa grafica di quanti fondi sono rimasti ai primi posti della classifica in termini di capacità di battere il benchmark (in gergo statistico il primo quartile) per tre e cinque anni consecutivi è disarmante.

Fonte: SPIVA Dow Jones Indices

Quando qualcuno vi racconterà che un certo fondo azionario americano è stato capace di battere il mercato negli ultimi n anni, prendete questa mappa e ricordate che la probabilità di avere nella vostra scuderia il cavallo giusto per il prossimo lustro è di appena il 4%.

Non cercate nemmeno conforto in fondi dove le presunte qualità del gestore potrebbero fare la differenza.

A distanza di 10 anni i fondi obbligazionari high yield (le obbligazioni spazzatura) oppure quelli che investono sui mercati emergenti, sono stati battuti dal benchmark almeno nel 94% dei casi analizzati.

La mancanza di persistenza nelle performance dei fondi è un fenomeno che rende il confine tra fortuna e abilità del gestore molto sottile.

La stessa attività di fund selection (la selezione dei fondi “migliori” eseguita prevalentemente a livello professionale da soggetti istituzionali) risulta a questo punto poco interessante per chi, come noi, fa investimenti di lungo periodo.

Un’apertura di credito può essere data solo per chi sceglie di investire con orizzonti temporali più contenuti e dove la tattica è dominante. Non è il nostro caso.

Attività di selezione fondi, due cattive notizie

Il famoso autore dei libro “I 4 pilastri dell’investimento“,  William Bernstein, con riferimento all’attività di selezione fondi dice che ci sono due cattive notizie.

La prima notizia cattiva è che il processo di selezione dei fondi fornisce essenzialmente risultati casuali. La seconda notizia, veramente cattiva, è che questo processo è costoso.

L’investitore si ritrova così a pagare sotto forma di costi dei prodotti e commissioni di acquisto del fondo un qualcosa che fondamentalmente non serve al suo investimento. Il classico optional inutile sull’auto appena comprata o sulla polizza assicurativa appena stipulata.

E qui veniamo al nodo cruciale della vicenda.

Non è corretto porsi la domanda se la gestione attiva è meglio di quella passiva anche se le analisi ci dicono che probabilmente non è così.

E’ corretto chiedersi che cosa noi investitori possiamo realmente controllare all’interno del nostro processo di investimento.

La sequenza dei rendimenti ad esempio non è sotto il nostro controllo.. Se le performance di mercato peggiori escono quando il capitale è scarso ci troviamo in una situazione migliore rispetto a quando il capitale assume consistenze importanti.

Purtroppo non sappiamo quando questi numeri si paleseranno.

Lo stile di gestione è sotto il nostro controllo

Possiamo decidere di affidarci ad un gestore attivo oppure a un ETF.

Da questo ultimo non sappiamo cosa ritornerà indietro, ma abbiamo la certezza che saranno i rendimenti del mercato.

Nel caso del gestore attivo sappiamo che nel breve periodo potremmo essere anche fortunati e abili nell’azzeccare quello giusto. Nel lungo periodo purtroppo la statistica ci dice che fare meglio del mercato per un gestore attivo è una eventualità altamente improbabile.

Uno studio di SPIVA ha anche tentato di dare una misura a questa variabilità.

Prendendo le performance annuali nel periodo 1981-2020 e ipotizzando una gestione attiva sull’azionario americano con un valore aggiunto sul benchmark di -0,8% (è proprio così, viene detratto valore per quello che abbiamo appena raccontato) e volatilità di 1,9%, i ricercatori hanno macinato 1000 simulazioni per comprendere il costo di una scelta di gestione attiva in termini di capitale non guadagnato.

Partendo da un capitale investito di 120mila $ la replica passiva ha surclassato quella attiva di oltre 250mila $ (1,37 milioni contro 1,12 milioni).

Uno stile passivo avrebbe, in parole povere, aggiunto valore per quasi il 23% rispetto ad uno stile attivo. Ma non solo.

Fonte: SPIVA Dow Jones Indices

Nei 1000 casi analizzati solo 13 volte la gestione attiva è risultata vincente.

Questo rende quantificabile in 98% la probabilità che un investitore che sceglie un metodo passivo di gestione degli investimenti possa aver fatto la scelta migliore.

Una scelta che nell’81% dei casi analizzati supera i 100mila dollari complessivi di beneficio.

Questi sono numeri e dati che naturalmente gli esponenti della filosofia della gestione attiva hanno tutto il diritto di contestare e provare.

Anche dicendo che l’era dei passivi sta per volgere al termine scoppiando come una delle tante bolle speculative del passato.

Se però, da Warren Buffett in giù, il consiglio che arriva è quello di investire in fondi passivi e poco costosi un motivo ci sarà.

E il potere di scegliere individualmente lo stile di gestione è oggi un grande privilegio che abbiamo a nostra disposizione a cui sarebbe insensato rinunciare.

Buon investimento.

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