Morningstar di recente ha dedicato due articoli aventi ad oggetto gli investimenti in obbligazioni high yield, uno degli strumenti più gettonati dalla clientela privata (ma anche dai gestori che ricercano il rendimento assoluto) vista la penuria di rendimento offerta dall’intero mondo del reddito fisso. Per quello che riguarda la valenza dell’investimento nel lungo periodo ce ne siamo già occupati qui.
Quello che mi ha colpito di questi due articoli è la contraddizione del messaggio. In quello avente come autore il validissimo Samuel Lee gli investitori che vogliono canalizzare i loro denari verso questo tipo di asset vengono invitati ad utilizzare strumenti a gestione attiva. Il motivo condivisibile è legato al fatto che la liquidità è un fattore critico per questi strumenti e il cosiddetto excess return può essere generato da gestori capaci di catturare occasioni anche molto illiquide sul mercato. Secondo Lee è un grosso errore utilizzare fondi passivi che replicano indici di un mercato con problemi di liquidità strutturali come quello degli high yield e del private equity.
La stessa Morningstar ha poi pubblicato un articolo in cui viene in realtà smentita la presunta superiorità della gestione attiva.
La tabella che riportiamo sotto ci fa vedere come nel 2014 il ritorno annuo dei fondi investiti nel settore US High Yield è stato del 1,1%, il peggior dato del 2008, ed oltre 1.4% sotto rispetto al benchmark di categoria.
Anche spostandoci a destra vediamo come i rendimenti a 3, 5 e 10 anni della categoria che raggruppa i fondi sono sempre inferiori all’indice di riferimento (per info vedere alla parola costi).
Il 2014 è stato caratterizzato da una forte caduta nelle quotazioni delle emissioni legate al mondo energetico per effetto del calo nel prezzo del petrolio. L’indice di questa sottocategoria ha infatti perso il 7,5% e, rispetto al 2007 quando il settore energy pesava per il 10% del totale delle emissioni, nel 2014 il suo contributo negativo è stato più pesante complice una quota di partecipazione salita al 15% (per fare una comparazione sullo S&P500 le azioni energy pesano per l’8,4%).
Se quello che ci ha detto Lee è vero, il gestore attivo avrebbe dovuto evitare in tempo la tempesta, ma purtroppo anche questa affermazione è vera fino ad un certo punto. La tabella riportata sotto mostra le performance a 1, 3 e 5 anni dei prodotti gestiti operativi nel settore high yield.
Nel 2014, l’anno più difficile dal 2008, solo 7 gestori high yield sui 22 considerati da Morningstar hanno fatto registrare una performance annua superiore al benchmark di riferimento (+2,5%). Se ci spostiamo al rendimento annuo, nell’arco di 3 anni non cambia granchè con solo 10 gestori sopra il benchmark (8,37%); la vera Caporetto arriva a 10 anni con solo 4 fondi high yield su 21 a fare meglio dell’indice di riferimento (7,61%).
L’abbiamo già spiegato qui nel breve periodo i mercati finanziari offrono risultati a somma zero, quando qualcuno vince c’è anche qualcuno che perde; la bravura dell’investitore dovrebbe essere quella di scegliere ogni anno il gerstore giusto, ma ovviamente non è semplice. Nel lungo periodo il gioco diventa peggio della somma zero perché entrano in gioco i costi. Siccome le commissioni sui prodotti ad alto rendimento sono mediamente elevate è abbastanza normale ritrovarsi a 10 anni con il 20% solamente dei fondi capace di sovraperformare il benchmark di riferimento.
Fonti: Morningstar – Junk Bond’s Go Active, or don’t go at all
Morningstar – The impacts of energy prices on high yield bond fund’s
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Fondi a gestione attiva, la difficoltà di battere il benchmark