Accadono da sempre cose misteriose nel mondo degli investimenti finanziari, ma quello che mi affascina e riflettere è il comportamento dell’investitore medio, un qualcosa che visto da un alieno, ad essere buoni, apparirebbe quanto meno “bizzarro”.
Il New York Times ha pubblicato un bellissimo articolo di Carl Richards, autore del libro The Behavior Gap: Simple Ways to Stop Doing Dumb Things with Money, pubblicazione che ogni investitore abile nella lettura in inglese dovrebbe avere sui propri scaffali per la capacità di mettere a nudo i limiti (ma anche le capacità) della mente umana di fronte all’investimento.
L’articolo si concentra sul mistero dell’attrazione degli investitori per gli hedge funds, un comparto che nel 2014 ha mediamente perso il 2,88% contro un guadagno dello S&P500 di oltre il 13% e del Barclays Us Aggregate Bond salito di oltre il 5% (sempre in valuta locale dollaro).
E’ stato un anno sfortunato vi direbbe qualcuno, peccato che a 10 anni Vanguard ha dimostrato come un portafoglio 60/40 ha ritornato il 6.6% annuo contro una media del 5.6% ritornato dagli hedge fund. Nessuno nega che possano esserci dei gestori superstar tra gli hedge, il problema è scoprirlo prima che lo diventi, ma anche la persistenza delle performances nel tempo.
La copertina ironica di Bloomberg già vi fa capire quanto meno le “perplessità” che circolano attorno a questi prodotti poco trasparenti.
Come dice John Boogle “the more you pay, the less you keep” e quindi il lato dei costi di un prodotto è fondamentale per capire le potenzialità dello stesso di aumentare il vostro rendimento di lungo periodo.
Il NY Times indica nel 2% la commissione che gli hedge fund fanno pagare mediamente ai proprio clienti, costo a cui, vengono aggiunte mediamente delle commissioni di performance del 20% sull’extrarendimento.
Se confrontiamo questo costo con quello di un portafoglio bilanciato di ETF con costo totale (TER) 0,25/0,30% (assumendo anche costi di bid/ask e altri oneri evidenziati qui potremmo in modo pessimistico arrivare allo 0,40%) si capisce bene come il risparmio di prezzo è notevole e per la regola della capitalizzazione composto il vantaggio per il risparmiatore si amplia con l’aumentare del capitale e con il passare degli anni.
Nonostante questo i risparmiatori continuano ad ingrossare le fila dei capitali gestiti in hedge fund e qui torniamo all’aliene, ma perché fare ciò amici terrestri? Vi sarete accorti che le case di gestione stanno sfornando a ripetizione prodotti flessibili, uncontstrained, long/short o come diavolo volete chiamarli. L’hedge fund però è diverso. Ha soglie di accesso molto più alte, è un investimento di nicchia, per pochi danarosi investitori e questo, come dice giustamente Richards, lo rende affascinante, un bene di lusso, che fa tendenza, appunto cool (dall’italiano figo).
A questo si aggiunge anche la volontà e il desiderio (giusto quello…) snob di avere a propria disposizione un prodotto quasi dedicato, che può investire su tutte le asset class, al rialzo o al ribasso, senza limiti di rischio, ma nello stesso tempo proteggendoci dai ribassi. Un fondo capace di acquistare strumenti molto illiquidi, ma che il gestore con le sue capacità divinatorie saprà selezionare e mettere a reddito dalla sua postazione alle isole Cayman (o Jersey se più ombroso di carattere con preferenza per le correnti del Canale della Manica).
Se a questo aggiungete il fascino della scommessa finanziaria al quale l’italiano (ma non solo) è particolarmente sensibile ecco servito un bel piatto di illusioni finanziarie.
Ma provate un attimo a riflettere sulla parola Hedge. Il suo significato letterale è quello di siepe, barriera che in finanza diventa copertura.
Copertura da cosa? Si presume dai rischi di perdere denaro prima di tutto, di sapersela cavare in tutte le condizioni di mercato. Allora perché nel 2014 gli hedge fund hanno perso mediamente il 2,88%? Mah forse la siepe si è seccata e il trucco degli illusionisti è stato scoperto, al 2015 l’ardua sentenza…
Fonte: NY Times
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