Uno dei concetti più difficili da comprendere e da applicare nel mondo degli investimenti è certamente quello di pianificazione nel lungo periodo. Queste due parole “lungo periodo” possono avere significati molto diversi per i risparmiatori.
Ci sono persone per le quali 5 anni di investimento sono una abisso ed altre per le quali 10 anni può essere un periodo ragionevole. Non ho mai incontrato persone disposte a pianificare investimenti a 20/30 anni se non in modo forzato (fondi pensione) e quindi capisco anche la difficoltà di traslare nella realtà certe simulazioni fatte su questo blog. Non posso biasimare nessuno, non è facile lasciare in custodia ai mercati per tanto tempo del denaro anche se la cosa più difficile che ho constatato è riuscire a reggere alle oscillazioni, positive o negative che siano.
Quelle positive perché l’ingordigia e l’impazienza portano spesso gli investitori a chiudere troppo presto le loro posizioni in acquisto monetizzando gli utili; un errore classico in questo caso è l’accorciamento dell’orizzonte temporale di investimento con la speranza di trovare nel tempo residuo un’analoga opportunità di facile ricchezza. Questo fenomeno si è oggi intensificato per effetto dell’assenza di alternativa redditizia nel mondo obbligazionario/monetario.
Sulle oscillazioni negative mi dilungherò meno; su quanto la paura ed il timore di perdere quel poco o tanto accantonato fino a quel momento incide sulla psicologia dell’investitore sono state scritte tonnellate di pagine. Basterebbe solo ragionare con un po’ di buon senso. Se avete cominciato con 100 mila euro che dopo 5 anni sono diventati 200 mila e poi incappate in una pesante correzione di mercato (diciamo del 30%) vi ritroverete comunque con 140 mila euro. La maggior parte dei risparmiatori nella propria testa percepisce quei 60 mila euro in meno come una perdita di un qualcosa di acquisito, mentre in realtà quello che state vivendo è un investimento che vi sta facendo guadagnare 40 mila euro. Cambia vero la prospettiva?
In un bell’articolo di Cullen Roche “It is impossible to predict the future?” l’advisor americano giustamente indica come l’investimento azionario l’unico che può creare valore REALE nel corso del tempo semplicemente perché legato alla crescita economica mondiale (tendenzialmente in crescita con qualche salutare recessione a scrollare le tossine), al desiderio di miglioramento della razza umana, al trend demografico, al miglioramento della produttività. Tutto bello e tutto vero, ma peccato che i tassi di crescita dei prezzi delle azioni non sono costanti e così ci si può ritrovare con performance a 10-15 anni anche negative facendo naufragare tutti i discorsi fatti sul potenziale di crescita nel lungo periodo delle azioni.
Gli investitori che avevano investito denaro nel 1998 si trovavano nel 2008 esattamente in queste condizione. Perdere denaro è avvilente soprattutto dopo 10 anni di investimento e nulla garantisce che fra altri 5 anni sarete messi meglio. Ecco perché molti investitori che hanno vissuto il doppio scrollone del 2000 e del 2008 faticano a riavvicinarsi all’azionario e quando lo faranno probabilmente sarà troppo tardi. Ma qui sta il nocciolo della questione. Per quale motivo si comprano azioni?
Le azioni non sono fatte per gli investitori di breve periodo (trader a parte) e chi non ha il tempo di passare le giornate davanti a un monitor dovrebbe capire che per avere una elevata probabilità (non certezza) di guadagnare più di quello che è il tasso di crescita dell’inflazione, bisogna pazientare e lasciar lavorare il tempo al nostro posto.
Nel breve periodo il mercato azionario è assolutamente random. Il grafico seguente mostra le fluttuazioni giornaliere dello S&P500 il cui valore medio è dello 0,03%, assolutamente casuale.
Va un po’ meglio ma mica di tanto con le rilevazioni mensili. Una rilevazione media marginale del +0,7% , ma siamo ancora molto random.
Prendendo invece le rilevazioni annuali ecco che un po’ di nebbia si dirada. Qui sì che la causalità viene abbandonata con un ritorno medio annuo del 13% che non esclude casi negativi, ma alza decisamente la probabilità di far convergere il proprio denaro in una di quelle aree sopra lo zero.
Aumentare l’orizzonte temporale diminuisce la causalità del mercato azionario abbattendo in modo consistente la probabilità di ritorni negativi e dopo 30 anni questo è il risultato che la storia ci consegna finora.
Fonte: Pragmatic Capitalism
Leggi anche: L’importanza dell’orizzonte temporale
La fregatura del market timing
Ciao archeowealth! Spesso nel blog citi come asset allocation il portafoglio 60/40, io invece data l’eta (26 anni) e un orizzonte temporale lungo/lunghissimo ho ritenuto “corretto” destinare l’80% del mio portafoglio all’azionario e il 20% all’obbligazionario, cosa ne pensi? Grazie come sempre :)