Alpha e Beta sono due termini che rappresentano il pane quotidiano per gli esperti del mondo degli investimenti. Interessano un pò meno gli investitori, ma in questo articolo cerchiamo di chiarire il significato di alpha, beta e anche di una new entry, il gamma.
Ma cosa sono esattamente l’Alpha e il Beta? Ma soprattutto che cosa misura questo indicatore Gamma di cui parliamo oggi?
Facciamo un passo indietro ed andiamo a ripassare il significato di due indicatori tradizionali come l’Alpha e il Beta.
Alpha e Beta, il significato finanziario
Il Beta misura il grado di esposizione sistematica al rischio di un portafoglio di investimento attraverso la sua asset allocation.
L’Alpha invece è quella componente residuale aggiuntiva che, tramite capacità (o fortuna) un asset manager o un singolo investitore è capace di creare tramite una gestione attiva dell’investimento svolta con asset allocation dinamica, stock picking ed altro.
Nel 2013 però due accademici come David Blachett e Paul Kaplan pubblicarono un interessante articolo su Morningstar Advisor dal titolo “Alpha, Beta, and now … Gamma“.
Nella sostanza i due autori affiancavano alle tradizionali misure di Alpha e Beta il Gamma, ovvero quel rendimento aggiuntivo di un investimento generato dalle decisioni intelligenti di pianificazione finanziaria prese da un investitore.
Essendo il Gamma la terza lettera dell’alfabeto greco potremmo dire che questo è il terzo pilastro della gestione degli investimenti.
Il Gamma, tra i due litiganti il terzo aumenta la performance
Gli inventori della formula Gamma hanno definito questo indicatore ottimale per coloro che hanno deciso sostanzialmente di ritirarsi dal mondo del lavoro per andare in pensione.
In realtà può anche essere un buon indicatore anche per gli altri investitori seppur con alcune variazioni sul tema.
Sono 5 le importanti decisioni di pianificazione finanziaria che possono portare ad aumentare, secondo i due studiosi, fino al 29% il reddito generato dagli investimenti.
- L’asset allocation ottimale del proprio patrimonio. In questo caso bisognerebbe valutare con attenzione l’intera ricchezza nella definizione di una asset allocation di portafoglio. tenendo conto del valore del capitale finanziario, ma anche di quello umano. Se da questo ottengo ancora qualche beneficio allora perché ignorarlo? Ma soprattutto bisogna costruire l’asset allocation non solo basandosi sulla quantità di rischio che si desidera prendere (la cosiddetta avversione al rischio), ma anche sulla capacità di sopportare il rischio (l’abilità dell’investitore di assumere il rischio). Proprio sul mix di capitale totale e di rischio in senso allargato andrebbe così definita l’asset allocation. Quindi asset allocation ok, ma sull’intero patrimonio. Spesso e volentieri questa visione allargata ci rende più confidenti nel prendere rischi aggiuntivi (naturalmente di buon senso) e quindi spuntare un rendimento aggiuntivo nel lungo termine.
- Una strategia di prelievo del capitale dinamica. Quasi sempre la strategia del 4% domina nelle discussioni aventi ad oggetto la cosiddetta Withdrawal Strategy. In pratica se prelevo ogni anno il 4% del capitale aggiustato per l’inflazione non corro il rischio di finire il capitale prima della mia vita. Aggiustare invece questa strategia in modo flessibile può essere un elemento in grado di generare extra rendimento. Un esempio? Prelevare di più negli anni di vacche grasse e di meno in quelli di vacche magre.
- La scelta del tipo di rendita. Strumento ancora poco diffuso in Italia (i fondi pensione potrebbero però vedere la rendita come naturale sbocco) la rendita può essere uno strumento interessante a condizione che benefici, rischi e costi risultino ottimizzati offrendo appunto un valore aggiunto misurabile in termini di punti base per anno.
- La asset location. Piazzare i propri capitali nei posti a maggiore efficienza fiscale. Fenomeno molto americano ma che può aver senso anche in alcune situazioni tutte italiane dalle quali estrarre valore in termini di minor carico fiscale sull’investimento. Sto pensando ad esempio al fondo pensione dove la tassazione sul capitale erogato al termine del percorso può arrivare a ridursi fino al 9% partendo dall’aliquota marginale IRPEF di ogni aderente.
- Ottimizzazione dei rischi. Ad esempio i rischi di inflazione o di cambio possono essere due fattori che potrebbero essere contenuti durante il periodo della pensione dove il loro peso negativo risulta sicuramente essere più impattante e difficilmente recuperabile.
Il Gamma ci dice di quanto possiamo aumentare la performance adottando qualche misura di buon senso
Pur non essendo semplice misurare il Gamma, possiamo però dire che il valore aggiunto del comportamento virtuoso di ognuno di noi può essere determinato da questo tipo di scelte.
Magari non tutte, ma anche solo mettere a terra alcune di esse può risultare un fattore importante nell’aumentare la redditività dei nostri investimenti.
A differenza dell’Alpha che, come sappiamo è un gioco a somma zero (per un vincente c’è un perdente), il Gamma è un miglioramento del comportamento dell’investitore che in modo intelligente e senza “rubare” performance a nessuno ottiene dei vantaggi.
Nella ricerca viene sottolineato che il valore aggiunto che risulta pari a quasi il 29% viene determinato partendo da una asset allocation di un investitore di 65 anni con una esposizione 80% bond 20% equity che preleva annualmente il 4% del capitale.
Tradotto, su un portafoglio di questo tipo la conclusione è che si può aumentare il rendimento annuo di oltre l’1.80% agendo solamente con intelligenza.
La tabella che riportiamo qui sotto è estrapolata dal paper ed esprime nel dettaglio il reddito aggiuntivo generato da ciascuna voce del Gamma.

Fonte: https://www.morningstar.com/content/dam/marketing/shared/research/foundational/677796-AlphaBetaGamma.pdf