Ad ogni investitore sarà capitato nel corso della sua “carriera” di ricercare scuse per giustificare il modesto rendimento degli investimenti. Un tema già affrontato su questo blog e che vede tra le cause principali la scarsa cura che l’investitore dedica a quelle poche variabili che sono sotto il suo controllo.
In altri casi, le “lamentele” appaiono ingiustificate visto che la sottoperformance di un investimento è determinata dalla ricorrente ricerca del timing giusto.
E così i tanti aspiranti investitori fai da te perdono per strada frazioni importanti di rendimento allungando i tempi necessari per raggiungere un obiettivo.
Alla fine di questo articolo vedremo quattro regole molto semplici che possono contribuire ad alleviare una buona parte degli errori più comuni.
Prima di arrivarci voglio però segnalare una ricerca molto interessante
Perché i fondi battono gli investitori privati
Morningstar in una sua recente analisi ha certificato come negli ultimi 10 anni l’investitore mediamente ha raccolto il 7,7% per anno sul denaro investito in fondi di investimento, l’1,7% in meno all’anno della performance ottenuta dai fondi.
Una doverosa premessa è necessaria prima di addentrarci nelle statistiche.
L’investitore che investe annualmente ed in maniera progressiva un capitale soffre comunque di un gap rispetto alla performance del fondo indicata sui vari documenti informativi a disposizione del pubblico.
L’esempio che riporta nell’articolo la stessa Morningstar spiega molto bene il concetto.
Ipotizziamo di investire 1000€ all’inizio di ogni anno. Se all’inizio del primo anno investiamo 1000€ e ripetiamo lo stesso investimento all’inizio del secondo e del terzo anno, performance rispettivamente del +10%, +10% e -10% alla fine del terzo anno genereranno un tasso interno di rendimento di -0,4%. Il fondo invece riporterà una performance annua del +2,9%.
Un gap di rendimento del 3,3% determinato dal fatto che il denaro del singolo investitore rimane investito non per tutto il tempo ma in maniera progressiva e crescente. Il ribasso del terzo anno sull’intero capitale investito fa più male; il denaro precedentemente investito e che ha potuto beneficiare delle performance positive era minore.
Troppa prudenza, troppo attivismo
Potremmo anche associare questa situazione all’investitore che oggi ha capitale a sua disposizione, ma vuole attendere quotazioni di mercato più favorevoli mantenendo la liquidità sul conto corrente a rendimento zero.
Se a questo si aggiunge una situazione di maggior attivismo alla ricerca dell’onda perfetta da parte del cliente stesso con frequenti in e out, possiamo immaginare come le distorsioni possano risultare ancora più volatili. Lo vedremo tra poco su tipologie di prodotti molto pubblicizzati dal marketing finanziario.
Il cosiddetto “cash flow timing” secondo Morningstar guadagna quindi la dignità di uno dei fattori più influenti nel determinare la performance dell’investimento assieme ai costi e all’efficienza fiscale.
Questo gap di performance trovato dalla società americana nel 2020 è allineato al differenziale dei quattro anni precedenti (ricordo sempre che l’analisi è condotta sui dati dei 10 anni precedenti) compreso tra 1,6% e 1,8% per anno.
L’aspetto interessante della ricerca è come questo gap si differenzia in base alle varie tipologie di investimento.
Differenze diverse per asset class
Se andiamo nel mondo azionario americano piuttosto che obbligazionario statale, il gap si riduce a 1,1% per anno. Se poi andiamo sui prodotti bilanciati la differenza di performance si assottiglia ancora allo 0,7%.
Probabile che per la loro natura diversificante e la volatilità più contenuta i bilanciati risultino essere più gettonati dagli investitori come prodotti buy and hold. Sicuramente lo sono rispetto a due temi che i frequentatori del recente Salone del Risparmio di Milano hanno visto ben pubblicizzati dal marketing finanziario. Sto parlando degli investimenti tematici/settoriali e alternativi.
Il gap annuale tra il rendimento annuo ottenuto da un investitore e quello dei fondi qui assume dei contorni impressionanti. Viaggiamo infatti a -4,3% per gli alternativi e -3,9% per i fondi settoriali. Ma non solo.
Mentre i fondi alternativi hanno guadagnato nell’ultima decade il 4% all’anno (un terzo comunque dei fondi investiti nell’azionario americano e risultato simile a quello dei bond governativi), il ritorno degli investitori è stato addirittura negativo dello 0,2% all’anno.
Morningstar ha provato a fare la stessa simulazione ipotizzando un investimento mensile (il classico piano di accumulo) per ognuna delle tipologie di investimento.
Venendo da 10 anni di rialzo il PAC è perdente rispetto al mercato con strategia buy and hold per l’ovvio motivo che meno soldi vengono investiti in una fase bullish del mercato.
L’aspetto positivo della cosa è che questa strategia porta l’investitore ad una maggiore stabilità nell’investimento proprio per la sua natura progressiva. E la maggiore disciplina migliora la performance in sei delle sette categorie analizzate da Morningstar dove il comportamento del consumatore ha rilevanza nella definizione del risultato finale.
L’unica categoria che peggiora è proprio quella che in precedenza risultava la migliore. Quella dei fondi bilanciati. Quella strategia che invece migliora e di parecchio con la tecnica del PAC è quella degli alternativi che addirittura fa meglio della versione total return.
La conclusione alla quale arriva Morningstar è scontata quanto banale.
4 semplici regole di buon senso
- Investire in prodotti semplici, ampiamente diversificati e a basso costo
- Automatizzare il processo e ribilanciare periodicamente per catturare più beta possibile (ho detto beta, non alfa)
- Evitare fondi troppo focalizzati su un tema, settore o con strategie poco trasparenti come quelle proposte dagli alternativi
- Utilizzare, se non ci si sente confidenti nell’investire tutto e subito, tecniche di piano di accumulo che possano mettere il pilota automatico all’investimento evitando l’interazione umana frequente