By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 22 Aprile, 2022|

Esuberanza irrazionale. Queste le due parole che vennero pronunciate il 5 dicembre 1996 dall’allora Presidente della Federal Reserve Alan Greenspan dopo una cavalcata della borsa americana di oltre il 150% dai minimi di sei anni prima. Il mercato quel messaggio non lo prese minimamente in considerazione con l’indice S&P500 che a marzo 2000 aveva già raddoppiato il suo valore.

Un perfetto esempio di regola del 72 applicata in soli 4 anni.

L’esuberanza irrazionale ha chiuso il ventesimo secolo dei mercati finanziari

Il 2000 fu però anche l’anno nel quale il Professore Robert Shiller, uno degli economisti che stimo di più, pubblicò con tempismo perfetto un libro dal titolo “Irrational Exuberance”.

Alla fine, il crollo arrivò con tanto di deflagrazione della bolla internet.

Le borse, come tanto piace raccontare ai media specializzati e non solo, “bruciarono” in poco più di due anni metà del loro valore. La corsa si fermò, guarda un po’ il caso, dalle parti in cui si trovava l’indice S&P500 quando Greenspan pronunciò le due parolette profetiche di esuberanza irrazionale.

E sempre per puro caso quei prezzi arginarono il calo della borsa USA durante la Grande Crisi Finanziaria del 2008. Un supporto di grande spessore direbbero gli analisti tecnici.

Nel 2000 in molti evocarono le parole del Presidente della FED come avvertimento preventivo per scendere in anticipo da un treno che stava per schiantarsi contro un muro.

Ancora oggi numerosi analisti e strategist finanziari utilizzano quelle parole per allertare gli investitori su quanto cari e poco razionali possono essere certi mercati, obbligazionari o azionari non fa grande differenza.

Ma siamo sicuri che quella chiamata fu veramente in grado di aiutare gli investitori che decisero di muovere i capitali dando fiducia a Greenspan ?

E siamo sicuri che qualsiasi chiamata previsionale da chicchesia pronunciata possa fare gli interessi di un investitore che sta seguendo un preciso piano finanziario?

Non un grande affare vendere durante l’esuberanza irrazionale

La tabella che riporto qui sotto mostra la performance complessiva total return (quindi alle variazioni di prezzo si sommano i dividendi incassati e reinvestiti) dell’indice americano S&P500 e dell’indice azionario globale Msci World a distanza di 5, 10 e 20 anni dalla chiamata di Greenspan.

Fonte dati: https://dqydj.com/

Stare fuori dal mercato seguendo il monito dell’allora Presidente della FED non si sarebbe alla fine rivelata una buona idea.

Né per l’investitore di breve, né di medio, né di lungo periodo.

La storia della finanza è anche una sequenza di previsioni fatte da personaggi celebri o che celebri lo diventeranno se azzeccheranno le previsioni stesse. E più sono strambe queste previsioni più il personaggio diventa un fenomeno se colpisce l’obiettivo dopo qualche mese o anno.

Ma anche un orologio rotto mostra l’ora giusta due volte al giorno e la storia del Professor Nouriel Roubini sembra proprio confermare la validità di questa massima.

Non un grande affare vendere anche di fronte ad una terribile crisi globale

L’economista americano Roubini nel settembre del 2006 allertò i prestigiosi uditori del Fondo Monetario Internazionale dell’imminenza di un terribile crisi globale. Nel 2008 la crisi finanziaria effettivamente arrivò, ma…

Siamo sicuri che seguire quella chiamata avrebbe fatto bene al portafoglio di un investitore alla guida di un buon piano di investimento orientato al raggiungimento di obiettivi di medio e lungo termine?

Ripetiamo l’esercizio facendo partire il contatore a settembre 2006.

Fonte dati: https://dqydj.com/

Sicuramente la crisi del 2008-2009 fu terribile sotto il profilo di tanti fattori di mercato e non solo.

Ma per gli investitori che placidamente avevano messo i soldi in borsa per godere nel lungo periodo dei loro frutti tutta questa negatività non si è proprio vista nei numeri degli anni seguenti.

Perdere appena il 10% dopo cinque anni è qualcosa che può accadere in qualsiasi lustro azionario, anche in assenza di crolli di borsa.

Lo stesso potremmo dire se il numero negativo venisse registrato nell’arco di una decade. Non viene ricordato tanto spesso perché non è così frequente, ma stare investiti in borsa 10 anni e non guadagnare nulla ha già fatto parte del gioco in passato.

La volatilità è il costo inevitabile da pagare per ottenere in cambio rendimenti futuri più alti.

Il mercato incorpora continuamente le informazioni nei prezzi costruendo delle aspettative. Ogni nuova informazione aggiusta le aspettative e quindi i prezzi. Prevedere continuamente (e soprattutto correttamente) questi cambi di rotta è impossibile.

L’investitore che, dopo i consigli di Greenspan, decise di seguire nel 2006 i consigli del buon Roubini avrebbe perso un treno che di nuovo stava rallentando la sua corsa prima di riaccelerare. Non un Frecciarossa, ma neanche un treno regionale.

Non conosciamo a priori quando il mercato deciderà di puntare la sua prua verso il basso. Ma sappiamo che questo accadrà mediamente con una certa regolarità.

Giusto per la cronaca vale la pena annotare che nel 2010 Roubini pubblicò un libro dal titolo “La crisi non è finita”. Alla fine del 2021 la performance di un indice azionario globale acquistato nel 2010 con un semplicissimo ETF risultava essere di “solo” il +212%. Ce ne fossero di crisi così.

Questi sono due dei tanti annunci celebri di crollo imminente o di crisi del sistema che ogni giorno affollano le piazze finanziarie.

Non mancano nemmeno gli annunci roboanti su crescite infinite, nuovi paradigmi o temi secolari.

Il fatto è che fare previsioni e azzeccarle è estremamente complicato anche per i super esperti. E ricordiamoci sempre che per completare l’opera con successo non serve indovinare solamente il timing di uscita, ma anche quello di entrata.

Ascoltiamo solo ciò che è utile per il benessere dei nostri soldi

Se siamo trader e operiamo su un orizzonte temporale non troppo lungo può anche aver senso fare delle speculazioni sul rumore di fondo dei mercati sfruttando volatilità e distorsioni temporanee nei prezzi.

Se siamo gestori di fondi e ogni anno il bonus è legato alla nostra capacità di battere o meno un benchmark, allora possiamo tentare di fare meglio del mercato per qualche trimestre prendendo qualche rischio aggiuntivo.

Ma se siamo semplici investitori e il nostro obiettivo è quello di creare, gestire e beneficiare dei risultati di un piano finanziario con un orizzonte temporale di medio e lungo periodo, ogni chiamata opportunistica e ogni movimento di mercato che devia dalla traiettoria ideale non devono assolutamente metterci in agitazione. Sono irrilevanti e deleteri per il benessere dei nostri soldi e del nostro umore.

Osservare ogni giorno le oscillazioni del nostro capitale investito sui mercati azionari ha una probabilità vicina al 50% di essere testimoni a fine giornata di una variazione negativa. Fare questo esercizio una volta ogni 6 mesi riduce il rischio di delusione a circa il 25% delle osservazioni. E più allunghiamo il tempo più le probabilità di assistere ad oscillazioni negative tenderà a zero.

Del resto non è che ogni giorno, oppure ogni mese, andiamo dall’agente immobiliare della zona per conoscere di quanto è cambiato il valore della nostra casa. Lo stesso approccio dovremmo averlo anche con gli investimenti in azioni e obbligazioni.

La volatilità di un portafoglio è uno strumento numerico comunemente utilizzato per misurare le potenziali oscillazioni del capitale investito nel tempo. Ma la volatilità negativa non è l’unico rischio che dobbiamo tenere in considerazione quando investiamo del denaro. Esiste il rischio di non realizzare i nostri obiettivi. Esiste il rischio di perdere potere d’acquisto a causa dell’inflazione. Quando parliamo di gestire il rischio dobbiamo andare oltre un semplice numerino.

Il ciclismo è uno dei miei sport preferiti e questo mi porta spesso ad associarlo con la pratica degli investimenti.

Proviamo per un attimo a pensare ad un ciclista professionista che durante una corsa da 200 e passa chilometri si mette a correre dietro ad ogni tentativo di fuga degli avversari perché pensa che ogni scatto potrebbe essere quello buono per vincere. Quel ciclista molto probabilmente non arriverà al traguardo a causa di crampi, crisi di fame o semplicemente esaurimento delle energie nervose e fisiche.

Quando investiamo i nostri sudati risparmi l’obiettivo non deve essere quello di vincere la corsa contro i mercati cercando continuamente di cavalcare l’onda perfetta.

La nostra missione non è quella di battere i presunti dei dell’universo che hanno a disposizione milioni di dollari per fare ricerca e strategia finanziaria su scala globale.

Prima di tutto perché non riusciremmo a farlo andando a giocare sul loro terreno. Poi perché sarebbe antieconomico e costoso. Infine perché esiste un modo molto più semplice e meno stressante per arrivare a destinazione.

Il nostro obiettivo deve essere quello di arrivare nel gruppo dei migliori (un classico indice azionario globale) facendo meno fatica possibile (compra, tieni e ribilancia), spendendo poco (ETF), rischiando il giusto (asset allocation) e soprattutto vivendo bene un periodo di tempo che abbiamo eletto a generatore passivo di consumi ed esperienze future.

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