By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 25 Luglio, 2022|

La previsione dei rendimenti futuri di un investimento azionario, lo sappiamo, è argomento complesso con margine di errore non indifferente.

Esistono diverse metodologie per fare previsioni. Ne abbiamo parlato su questo blog in diverse occasioni.

Dall’equazione di Gordon al Cape di Shiller i pianificatori di tutto il mondo cercano di svolgere il loro onesto lavoro basandosi sui dati del passato per proiettarli nel futuro. Consapevoli che i risultati del passato non sono indicativi di quelli futuri.

I problemi delle previsioni sull’andamento futuro di un investimento

Il problema in questo caso è l’alto margine di errore nella previsione. Se nel breve periodo ognuno di questi modelli esclude la capacità previsionale delle valutazioni di partenza di un mercato per i 12-24 mesi successivi, in teoria nel lungo periodo il supporto dei dati nel pianificare il raggiungimento degli obiettivi finanziari dovrebbe farsi più consistente. Purtroppo non è possibile definire un orizzonte temporale preciso come la scadenza di un’obbligazione.

In questo articolo verificheremo sul campo, quindi vedendo cosa è successo effettivamente ad un investimento reale, se uno dei modelli più gettonati a livello globale, il Cape 10 di Shiller, ha effettivamente fornito le risposte attese in termini di rendimento previsto dal mercato azionario a distanza di 10 anni dall’investimento. Un fact-checking a tutti gli effetti.

Il tradizionale rapporto prezzo utili non ha valenza previsionale

Nel mio “diario” personale sul tema ho ritrovato nei giorni scorsi un documento molto interessante pubblicato da Cliff Asness di AQR nel 2012.

In quella ricerca veniva evidenziato quanto difficile fosse definire delle realistiche attese di rendimento sul mercato azionario basandosi sulla metrica tradizionale del rapporto prezzo utili (Prezzo / Utili).

Decidere se utilizzare al denominatore di questo rapporto gli utili realizzati o attesi è esercizio che mette in difficoltà gli esperti. Figurarsi cosa succede quando in piena crisi del 2008 gli utili crollano più velocemente del prezzo provocando non un ribasso, ma un rialzo del rapporto prezzo utili. In quei momenti drammatici paradossalmente il mercato vedeva come care azioni che in realtà erano state massacrate dalle vendite.

Se il valore previsionale del classico P/E è limitato, in quella ricerca l’autore cercò di capire quanto affidabile potesse essere un altro indicatore molto celebre dal Professor Robert Shiller. Sto parlando del Cape 10.

Nelle intenzioni del Professor Shiller utilizzando i 10 anni precedenti di utili aggiustati per l’inflazione dovremmo avere una metrica più reale delle valutazioni di mercato e meno sensibile alle oscillazioni annue degli utili.

Asness presentò in quella ricerca una tabella dove venivano collocati i rendimenti medi, massimi e minimi realizzati dal mercato americano sulla base del rapporto prezzo utili di Shiller di partenza.

In quel momento storico la borsa americana aveva un rapporto P/E (la sigla sta per P=Price, prezzo ed E= Earnings, utili) di partenza di 21,8, collocato nella forchetta evidenziata in azzurro.

Un pianificatore finanziario sulla base di quei dati avrebbe avuto a disposizione questo messaggio. Mediamente in termini reali (quindi al netto dell’inflazione), ogni anno il rendimento azionario sarebbe stato di poco inferiore al 1%. Nel peggiore dei casi -4,4%. Nel migliore dei casi 8,3% annuo. Un range di oltre 12 punti di rendimento non è poco.

Siccome sono passati 10 anni, incuriosito ho deciso di capire come era andata veramente.

Quanto è stato preciso il Cape di Shiller nel prevedere il futuro

Nel sito internet del Professor Shiller esiste un database molto dettagliato che mostra proprio il rendimento del mercato azionario americano su base annua reale a distanza di 10 anni dal punto di partenza.

La tabella che segue riporta proprio questo numero, ma ho deciso di andare oltre.

Fonte: http://www.econ.yale.edu/~shiller/data.htm e rielaborazioni dell’autore

Per comprendere quanto efficace fosse stato questo modello predittivo ho ripetuto lo stesso esercizio dalla fine del 1999 al 2012. A questi numeri ho affiancato le forchette “predittive” della ricerca di Arness sulla base del valore di partenza del Cape 10 di Shiller.

Premetto che il risultato è stato eccellente in una prima parte del periodo analizzato. Assolutamente scarso nella seconda.

Dal 1999 al 2008, fatta eccezione per una leggera sbavatura statistica, i rendimenti attesi dei mercati azionari a distanza di 10 anni sono rientrati tra i valori massimi e minimi che la storia ci aveva consegnato in passato. Il CAPE si era rivelato un perfetto strumento per creare piani A, B e C di pianificazione.

Dal 2009 in avanti i mercati azionari hanno fornito rendimenti decisamente superiori allo scenario più ottimistico previsto dal CAPE.

Con il valore di partenza del prezzo utili del 2012 di 21,8 avremmo dovuto attenderci rendimenti reali medi sui mercati azionari americani di circa l’1% all’anno con lo scenario migliore di 8,3%. E’ uscito un generosissimo 11,8%. Vero che mancano ancora diversi mesi alla fine del 2022 per completare l’anno, ma salvo crolli clamorosi del mercato ancora una volta ha prevalso un risultato decisamente migliore rispetto al previsto.

Se il merito è stato delle banche centrali che hanno inondato il mercato di liquidità stravolgendo con le politiche di Quantitative Easing i normali rendimenti obbligazionari, oppure di un’inflazione che una globalizzazione selvaggia ha sopito per troppo tempo, non lo sappiamo e neanche ci interessa saperlo. Con i se e i ma non andiamo lontano.

Il CAPE della borsa americana di oggi si posiziona attorno a 30 e questo ci mette di fronte a un bivio.

Cosa significa il valore del CAPE di oggi?

Torneremo alla normalità del pre 2008 con una buona dose di affidabilità di questo modello (e quindi ritorni meno elettrizzanti di questi ultimi anni ma non necessariamente negativi), oppure questo modello di valutazione dei mercati è diventato poco affidabile per pianificare un rendimento atteso a 10-15 anni?

Non ho naturalmente una risposta a una domanda che richiederebbe doti di preveggenza. Quello che sappiamo è che questi numeri vanno trattati tenendo conto che ci possono essere dispersioni enormi attorno a una media.

Credo che 100 anni di storia come quelli della borsa americana rappresentino una buona dote statistica che conforta la valenza di certi modelli di analisi.

E’ anche vero che 100 anni fa la borsa americana era una borsa emergente che stava prendendo il testimone dalla piazza londinese. Quindi non è detto che le stesse metriche continuino a funzionare in eterno.

Perché è meglio non utilizzare un solo modello di pianificazione

La soluzione che preferisco personalmente è quella di assemblare una serie di criteri di valutazione dei mercati e sulla base di questi creare delle aspettative di rendimento mediate.

Non fare questo tipo di esercizio, quindi non prendere consapevolezza di quello che è successo, è un grande errore.

Chiaramente non è un esercizio che possa essere fatto da chiunque e sicuramente questo rappresenta un limite per chi vuole gestire in autonomia la cosa. Ma il nostro blog esiste anche per questo. Siamo qui per aiutare chi vuole capire ed apprendere le informazioni che servono veramente per investire con buon senso.

Pianificare oggi, con queste valutazioni e con questi risultati decisamente superiori alle risultanza storiche, dei rendimenti attesi reali sul mercato azionario in doppia cifra solo perché è andata così negli ultimi anni rischia di essere fonte di grande delusione nel momento in cui decideremo che è il momento di utilizzare il nostro capitale. Pianificare oggi un 10-11% di rendimento reale sul mercato azionario da qui a 10 anni significa essere poco realisti.

I numeri che abbiamo a disposizione oggi ci dicono invece che a distanza di 10 anni non è da escludere una perdita di potere d’acquisto sull’azionario, ma nemmeno un buon 50% di probabilità di vedere un guadagno reale compreso tra 0,5% e 6%. E proprio quello che è successo negli ultimi anni ci insegna una cosa.

Non fare nulla perché il mercato è caro rischia di essere un errore incredibile. Si potrebbero perdere per strada risultati eccellenti.

Basta solo tarare le aspettative un pò più in basso; tutto quello che verrà in più sarà oro colato.

Le valutazioni di partenza contano, eccome se contano, ma i risultati possono essere molto dispersi attorno ad una media. Questo dobbiamo accettarlo e pianificare di conseguenza diversi scenari.

Si chiama realismo, ma siamo confortati dal fatto che a distanza di 20 e 30 anni la storia ci racconta un percorso molto più vicino alle medie storiche.

Pianificare bassi rendimenti attesi positivi non significa tarpare le ali a un investitore che sogna in grande. Significa metterlo di fronte alla realtà sulla base delle informazioni che ci sta fornendo il mercato in questo momento.

E sulla base di queste informazioni potremo fare valutazioni più corrette su quanto rischio azionario dovremo mettere nel nostro portafoglio di investimento per avere delle buone probabilità di raggiungere l’obiettivo.

Buon investimento.

Un commento

  1. Mauro 27 Luglio 2022 at 11:24 - Reply

    Dalle simulazioni che ho trovato, il rendimento medio in un arco di tempo di 15 anni per le stock sarà del 30% in meno rispetto decennio 2012-2021

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