By |Categorie: Educazione finanziaria|Pubblicato il: 4 Novembre, 2022|

Una delle prime scelte che da investitori ci troviamo di fronte dopo aver individuato l’ETF giusto per il nostro piano di investimento, è se acquistare una classe ad accumulazione oppure una classe a distribuzione dei proventi.

Stesso ETF diverse conseguenze

Lo stesso ETF quotato sul mercato in due classi diverse (ma con codice di riconoscimento, ovvero ISIN diverso), viene messo a disposizione dell’investitore da parte delle case di gestione proprio per soddisfare ogni bisogno finanziario del compratore. Un po’ come al supermercato dove troviamo la stessa bibita nella bottiglia di plastica oppure in lattina. Il contenuto è lo stesso, ma il contenitore è diverso.

Ma cosa si intende per ETF ad accumulazione e a distribuzione?

Immaginiamo l’ETF come una enorme pianta sulla quale maturano continuamente dei nuovi frutti.

Nel momento in cui questi frutti sono maturi vengono staccati dalla pianta. A questo punto ci sono due alternative.

La prima. Riporre i frutti all’interno di un contenitore posto alla base dell’albero e consumarli successivamente a nostro piacimento.

La seconda. Scavare una piccola buca riponendo al suo interno i frutti in attesa di veder crescere un nuovo albero che a sua volta produrrà nuovi frutti (più o meno quello che si faceva pieni di speranza da bambini quando si faceva la stessa operazione con un nocciolo di pesca o albicocca).

Sostituiamo ai frutti i dividendi di un’azione o le cedole di un’obbligazione e l’associazione albero – ETF è fatta.

Come avviene la distribuzione di cedole e dividendi all’interno di un ETF

Ogni volta che una società presente all’interno dell’ETF distribuirà dei dividendi o delle cedole il denaro verrà accreditato sul conto del fondo sotto forma di liquidità da reinvestire sullo stesso ETF (se classe ad accumulazione), oppure da versare sul conto corrente del cliente (se classe a distribuzione).

Ogni emittente decide per ogni ETF la politica di distribuzione dei dividendi accumulati nel corso del mese, trimestre, semestre o anno. Questa scelta è formalizzata nei vari documenti a supporto dell’investitore (schede mensili, KIID, prospetti informativi).

Il regolamento dell’ETF indica se questa liquidità accumulata nel tempo grazie a cedole e dividendi incassati, potrà essere distribuita periodicamente ai possessori dell’ETF oppure reinvestita (in gergo si dice capitalizzata) all’interno dell’ETF stesso acquistando nuove azioni e/o obbligazioni.

A questo punto si scatena il dibattito. Meglio un ETF ad accumulazione o a distribuzione?

Meglio accumulazione o distribuzione?

La risposta sta nelle preferenze, o meglio nei bisogni, dell’investitore.

Se la necessità è quella di avere un flusso di cassa periodico che integri il nostro reddito, allora l’ETF a distribuzione è la scelta migliore.

Pensiamo ad esempio al pensionato che vuole utilizzare i dividendi dei suoi investimenti per integrare la pensione pubblica e mantenere costante una certa capacità di spesa.

Se invece lo scopo dell’investimento è quello di accumulare capitale nel lungo periodo di tempo con l’obiettivo di raggiungere l’indipendenza finanziaria in un certo momento della vita, allora l’ETF ad accumulazione è lo strumento più indicato. Non essendo necessario finanziare con i dividendi il consumo attuale, molto meglio reinvestire i proventi per permettere alla capitalizzazione composta degli interessi di esprimere al massimo la sua efficacia.

Soprattutto quando le cifre investite su un ETF sono modeste, i dividendi pagati sono mignon.

Basti pensare che su base annua il dividendo netto medio di un ETF azionario globale si aggira attorno al 1,5%. Per le obbligazioni governative oggi siamo tornati su livelli analoghi ai dividendi azionari. Su investimenti ad esempio di 10.000€, questo vorrebbe dire incassare ogni anno 150€ di dividendi e/o cedole. Questa cifra è una tantum se il dividendo è annuale, ma se la frequenza è trimestrale questo significa poco meno di 40€ ogni tre mesi.

La classe ad accumulazione per sfruttare la forza della capitalizzazione composta degli interessi

Siamo solitamente pigri quando si tratta di compiere gesti ripetitivi e poco “eccitanti” finanziariamente parlando; così tendiamo a dilazionare i tempi del reinvestimento rendendo inefficiente il processo.

Oltre allo sbattimento di prendere ogni X mesi questi soldi e reinvestirli sul mercato, il vero problema è che ogni attività di acquisto ha un costo.

  • Dipende dall’intermediario finanziario che abbiamo scelto, ma ad un costo solitamente variabile (ad esempio 0,2% dell’importo movimentato) a volte si somma anche con un costo fisso minimo che può andare da 1 a 3€ o anche oltre per alcuni istituti bancari particolarmente esosi.

Se ipotizziamo un costo minimo di 1€ su una spesa di 40€ pagheremo ogni 3 mesi una salatissima commissione di sottoscrizione dell’ETF pari al 2,5%. Spalmata su 10 anni la percentuale, significa che quell’ETF scelto per le bassissime commissioni di gestione (ad esempio 0,10% annue), in realtà costerà molto di più. Lamentarsi delle commissioni di sottoscrizione di un fondo di investimento e poi non tenere in considerazione questo fattore sugli ETF è un approccio sbagliato all’investimento più corretto per le nostre esigenze.

Anche creare un conto mentale che, per risparmiare sulle spese, decide di metter in pratica l’investimento solo alla fine dell’anno dopo aver raccolto tutti i dividendi incassati, non è esente da criticità. Su 150€ l’incidenza commissionale sarà comunque alta (circa 0,7% per ogni acquisto) e inoltre saremo vittime del cosiddetto effetto cash drag; in più dovremo necessariamente essere ligi e tenere nota degli incassi.

Cash drag significa che non reinvestendo per diversi mesi la liquidità generata dai dividendi incassati, i nostri soldi non avranno prodotto nulla sui mercati finanziari. L’effetto sarà à quello di perdersi ad esempio la rivalutazione di prezzo dei sottostanti oppure il rateo delle cedole delle obbligazioni contenute nell’ETF.

Infine c’è un altro punto che, salvo necessità specifiche dell’investitore, dovrebbe portare a preferire l’ETF ad accumulazione. La fiscalità.

Il grande vantaggio fiscale dell’ETF ad accumulazione

Prossimamente affronteremo anche questo tema nella nostra serie educativa sugli ETF, ma quando si incassano dividendi da un ETF o un fondo di investimento si pagano le imposte sull’importo incassato. Che entrerà infatti sul nostro conto corrente al netto delle imposte applicate su redditi da capitale quali sono i dividendi di un ETF.

Se abbiamo scelto un trattamento fiscale amministrato e troviamo sul nostro conto corrente un accredito proveniente da un ETF azionario di 150€ con causale dividendi, scopriamo che in realtà il dividendo pagato dall’ETF al lordo della tassazione dovuta allo Stato (26% salvo nel caso di titoli di stato e obbligazioni sovranazionali dove si applica il 12,5%) era di 202€, non di 150€. Alcune banche accreditano l’importo lordo (202€) e addebitano la ritenuta fiscale dovuto allo Stato (52€) sempre sul conto corrente. Ma il risultato finale è sempre lo stesso per il nostro portafoglio. Incasseremo meno per effetto del prelievo fiscale.

Se investiamo per 20 anni 202€, e mettiamo a confronto il risultato con chi pratica lo stesso esercizio ma con 150€,  è evidente che la soluzione numero 1 sarà la più vantaggiosa. Vediamolo con un esempio.

Ipotizzando ad esempio di ottenere dall’investimento un 5% di rendimento annuo composto, i 202€ diventeranno circa 537€ dopo 20 anni, mentre i 150€ diventeranno 398€.

I vantaggi di dilazionare l’obolo dovuto allo stato sfruttando la capitalizzazione composta degli interessi è spiegato in questi numeri.

Pagare le tasse in anticipo allo Stato non conviene mai quando si investe; se l’orizzonte temporale è particolarmente lungo il consiglio è sempre quello di scegliere prodotti ad accumulazione dei proventi.

Chi sceglie prodotti a distribuzione per integrare il proprio reddito, qualora gli incassi dovessero risultare inferiori alle attese, dovrà vendere di tanto in tanto le quote necessarie sostenendo qualche costo aggiuntivo. Chi ha scelto prodotti ad accumulazione dovrà comunque compiere questo gesto pianificando il numero di quote dell’ETF da vendere per ottenere il capitale desiderato. ( ovviamente a costi superiori essendo oggetto di compravendita volumi di denaro più elevati).

Non spacchiamoci comunque troppo la testa nel fare valutazioni di convenienza tra accumulazione e distribuzione. Il mercato degli ETF oggi offre praticamente ambo le opzioni per quasi tutti i prodotti. Scegliamo la soluzione più pratica per  le nostre necessità e tempi di vita. Qualche calcolo fatto in autonomia o con l’aiuto di un consulente finanziario saprà fornire la giusta risposta ai nostri dubbi.

6 Commenti

  1. Michele 12 Aprile 2023 at 15:32 - Reply

    Ho apprezzato molto il post ma sarebbe interessante fare un confronto numerico tra accumulo e distribuzione in fase di decumulo del capitale.
    Ipotizzando di iniziare con un etf ad accumulo, credo che non avrebbe senso chiudere la posizione arrivati ad esempio a 50 anni per aprirla su un etf a distribuzione perché l’impatto della tassazione sarebbe enorme.
    Sarebbe interessante sviscerare questo aspetto che può fare la differenza ed inoltre permette di confrontare i due prodotti nel totale dell’arco temporale

    • Lorenzo Biagi 13 Aprile 2023 at 11:34 - Reply

      Grazie per l’apprezzamento. Diciamo che la tua non è una riflessione banale e il tema è complesso anche da simulare.
      Se ha senso utilizzare accumulo durante la fase della crescita dell’investimento, ha altrettanto senso in quella del decumulo?
      Non ho dati da portare (ma il tuo spunto può certamente essere interessante). Segnalo al riguardo il sempre ottimo canale YouTube del Prof. Coletti che proprio di recente ha pubblicato un video sul tema https://youtu.be/jd3P8d8Nc84.
      La mia idea è che la scelta dipende da diversi fattori e deve essere più di comodità personale che di convenienza finanziaria.
      L’impatto dell’interesse composto ha una sua valenza solo nel lunghissimo periodo e quindi non mi pare un tema nella fase del decumulo dove il capitale tende a calare. L’impatto fiscale è sì rilevante perché si pagano in anticipo le imposte ma anche qui come al punto sopra tende a sfumare durante il decumulo. Certamente ha impatti maggiori quello dei costi di negoziazione di “staccare” ogni volta quote di capitale rispetto all’incassare senza spese il dividendo.
      Anche in questo caso dobbiamo però considerare che il dividendo potrebbe non essere sufficiente e quindi andremmo a staccare quota capitale comunque.
      Il tema è complesso. Personalmente preferisco automatizzare e programmare il più possibile anche in vista di un possibile declino cognitivo. Ho dedicato al tema un articolo https://investireconbuonsenso.com/2022/09/05/ma-chi-investira-al-mio-posto-quando-avro-tanti-anni-sulle-spalle/, ma con il dividendo automatico programmato a scala su vari mesi riduciamo il rischio di dover far fronte manualmente alla vendita di quote di capitale in modo disordinato. Non mi starei troppo a spaccare la testa sulla convenienza relativa ma preferirei la comodità e la pianificazione. A volte gestire al meglio un processo rende molto più efficace il risultato finale.

  2. Maurizio 4 Novembre 2022 at 16:49 - Reply

    Buongiorno,
    pur riconoscendo la validità dei contenuti di questo articolo, (fiscalità, interesse composto, e via discorrendo), ne dissento per un unico motivo, legato anche alla mia età, più che matura: l’eventualità del cosiddetto “cigno nero”, cioè quell’evento, molto spesso imprevedibile che abbatte le quotazoini di ogni strumento finanziario, per recuperare il quale occorrono periodi di tempo avole elevati, e facendo sorgere la domanda: ma per che cosa ho accumulato, senza riscuotere? So che, nel lungo termine, le prdite dovrebbero essere recuperate, ma l’impatto emotivo, oltre che finanziario, può essere devastante. Per cui penso che un portafoglio prevalentemente distributivo, pur essendo meno efficiente, sia più rasserenante ed aiuti a non commettere errori gravi, perché; si è pagati per aspettare che la situazine ritorni in media, senza dover ricorrere a una continua gestione attiva.
    Ripeto, nel mio pensiero influisce chiaramente l’aspetto reddituale e l’aspettativa di vita.
    Poi penso che anche la fase decumulutiva di un portafoglio a scopo reddituale ha i suoi costi
    Cordiali saluti

    • Lorenzo Biagi 5 Novembre 2022 at 14:36 - Reply

      L’aspetto psicologico è assolutamente importante e non lo nego. Infatti dico sempre che quello migliore è quello che fa dormire la notte. Io però devo mettere sul piatto tutti gli elementi oggettivi e tirare una riga. Il cigno nero avrebbe impatti identici sul prodotto a distribuzione e ad accumulazione, solo che il secondo perderà un pò meno partendo da un capitale leggermente più altro per aver goduto di una capitalizzazione composta interessi su un capitale più alto nel tempo. Quando prendo un prodotto a distribuzione da 100 vado a 98 il giorno dello stacco dividendi e 2 me li metto in tasca. Ma il giorno dopo parto da 98. Con un prodotto ad accumulazione da 100 vado a 102. Non incasso nulla ma riparto da 102. Il discorso dell’età è corretto e infatti in fase di decumulo personalmente ritengo meglio i prodotti a distribuzione perché sono perfetti esattamente per lo scopo che hanno. Creare reddito regolarmente per finanziare la vita di tutti i giorni. Chiaro che va gestito questo patrimonio. Arrivare al 100% azionario non è certo una scelta saggia (salvo condizioni particolari).Ma questo è un altro tema che non riguarda tanto il tipo di prodotto…che è l’ultimo fa guardare in questi casi.

      • Santino 21 Febbraio 2023 at 17:04

        Da 100 vado a 102?? Ma quando mai? Se l’esempio è che nell’etf a distribuzione da 100 vado a 98, in quello ad accumulazione da 100 rimango sempre a 100. Non è che te li accreditano due volte!

      • Lorenzo Biagi 21 Febbraio 2023 at 17:11

        Non capisco a quale passaggio dell’articolo ti riferisci, perdonami?

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