Quando pensiamo a un investimento nel senso più classico dei termine la nostra mente associa un mucchietto di denaro allocato prevalentemente tra due classi. Quella azionaria e quella obbligazionaria.
Se l’importanza di essere presenti a livello globale sui mercati azionari l’abbiamo già discussa in questo articolo, non da meno questa necessità si ravvisa su quello che può essere definito uno dei mercati più importante del mondo, quello delle obbligazioni.
Il mercato obbligazionario è il mercato più liquido del mondo
Secondo J.P.Morgan nel 2021 il totale del debito emesso con obbligazioni superava i 130 trilioni di dollari, di cui 48 emessi negli Stati Uniti. Più o meno la stessa fetta se la prendeva il debito emesso da paesi sviluppati non USA e circa 34 trilioni di dollari era debito proveniente dai paesi emergenti.
Rispetto al 1989 possiamo notare un processo diverso rispetto a quello che si è sviluppato sul mercato azionario. Un maggior riequilibrio tra debito americano e resto del mondo.

Fonte: J.P.Morgan – Guide to the market 2Q 2022
Il mercato dei titoli di Stato
Il debito governativo, ovvero le emissioni dagli Stati nazionali, esclude tutte quelle obbligazioni collocate sul mercato da società private, i cosiddetti corporate bond. Obbligazioni queste ultime più redditizie se guardiamo al rendimento offerto, ma anche più rischiose in quanto dipendenti dall’andamento dei vari business aziendali.
I titoli di Stato sono a loro volta suddivisibili in diverse sottocategorie che l’investitore può selezionare sulla base di preferenze, aspettative e obiettivi.
Il mercato degli ETF è come sempre perfetto per capire quale offerta è disponibile sul mercato. Negli ultimi anni numero e tipo dei prodotti sono aumentati moltissimo a costi che arrivano anche a un decimo di quello pagato sui fondi a gestione attiva.
Possiamo scegliere tra ETF che replicano indici su obbligazioni globali a tasso fisso, indicizzate all’inflazione, con scadenze brevi, medie e lunghe, emesse da paesi sviluppati o emergenti, regionali, a cambio coperto oppure aperto.
Proprio con riferimento a questo ultimo punto dobbiamo sgombrare uno dei dubbi che l’investitore si trova di fronte quando deve acquistare obbligazioni.
La copertura del cambio è da sempre una scelta gestionale che permette di ridurre i rischi dell’investimento obbligazionario.
I rischi legati al fattore valutario
Se decidiamo di acquistare obbligazioni in dollari americani, vista la difficoltà nel prevedere se il biglietto verde in futuro si rafforzerà o meno, utilizzando fondi o ETF in versione euro hedged (la parola hedged significa proprio copertura) elimineremo la variabile cambio dai fattori di rischio presenti nell’investimento. Il dollaro potrà andare dove vorrà in futuro, ma la cosa sarà per noi investitori indifferente.
Tutto questo ha però un costo quando il tasso di interesse di casa nostra (quello in euro) è inferiore a quello di casa altrui (ad esempio quello in dollari Usa). Un costo variabile che dovremo sostenere investendo in prodotti che contengono nella loro descrizione l’etichetta eur hedged e che diminuirà il rendimento dell’obbligazione a spanne per la differenza di tasso di interesse praticato in casa altrui rispetto a quello di casa nostra.
Per una maggior sicurezza e stabilità dell’investimento paghiamo un premio.
Per l’investitore di lungo periodo questa scelta più prudenziale non appare così determinante se guardiamo ad un rapporto tra rendimento e rischio. Vengono ridotte strutturalmente le oscillazioni dei rendimenti di breve periodo dell’investimento a discapito di un rendimento finale che per investitori appartenente al mondo sviluppato risulterà leggermente più basso. Il risultato finale corretto per il rischio storicamente diversi studi hanno dimostrato essere simile tra investimenti coperti e aperti al rischio cambio.
Il peso dei vari Stati negli indici obbligazionari
Come per i principali indici azionari, anche per quelli obbligazionari il peso delle varie aree geografiche non rispecchia perfettamente la distribuzione del debito a livello globale, anche se qui le differenze sono più contenute.
Ad esempio l’indice Ftse World Government Bond permette di investire in un paniere rappresentato per il 42% da titoli di stato americani, per il 30% europei UE, 15% giapponesi, 5% inglesi e residuale per il resto. Non siamo lontanissimi dalle percentuali di debito globale viste prima.
Tante volte abbiamo scritto su questo blog che il rendimento a scadenza di una obbligazione è uno dei migliori strumenti di previsione sul futuro rendimento nominale finale di questo investimento. Da una parte questa è una grande fortuna. Non abbiamo bisogno di complicati algoritmi per pianificare. Dall’altra si porta dietro un dettaglio non di poco conto.
Il rendimento a scadenza è uno strumento poco utile nel prevedere il rendimento reale aggiustato per l’inflazione dell’obbligazione.
Il rendimento a scadenza non è di aiuto nel prevedere il rendimento reale
Uno dei più stimati pianificatori finanziari inglesi, Abraham Okusanya, ha misurato quanto del rendimento attuale di una obbligazione “spiega” il suo rendimento reale 10 anni dopo. Il risultato statistico non è confortante.
Una buona fetta del rendimento reale di una obbligazione non è prevedibile con l’attuale rendimento nominale espresso dal mercato.
Negli ultimi 120 anni i rendimenti reali di un investimento obbligazionario hanno oscillato tra l’1% e il 2%, negli Stati Uniti come nel resto del mondo.
Il Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2022 mette in evidenza come in realtà gli ultimi 50 anni sono stati caratterizzati da ritorni reali delle obbligazioni molto sopra la media storica, regalando agli investitori numeri da favola che non saranno probabilmente un tema del prossimo decennio.

Fonte: Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2022

Fonte: Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2022
Il processo di ritorno verso la media di rendimenti reali più “normali” è già all’opera come il 2022 ci sta insegnando e nessuno ha idea di quanto durerà questa fase.
Come sempre in questi casi un approccio equilibrato e di buon senso è consigliato per mantenere la barra dritta.
I rischi dell’obbligazionario governativo
Manca un ultimo tassello a questa fotografia storica dell’obbligazionario governativo globale, quello del rischio.
La volatilità in finanza è associata al rischio di perdere soldi.
In realtà la volatilità è un’oscillazione che può anche essere a favore dell’investitore, quindi non sempre associata a qualcosa di negativo.
La massima perdita (o massimo drawdown come amano dire i tecnici) è un altro di quegli indicatori che serve per misurare quanto può muoversi un investimento in obbligazioni verso il basso. Anche in questo caso il suo uso va fatto in modo intelligente. Più che di perdere soldi, molto spesso si tratta di restituire una parte di quel guadagno che il mercato ci aveva generosamente prestato.
Non è facile trovare dati storici del mondo obbligazionario internazionale. Molto più semplice trovare profondità statistica su quello americano.
Con l’aiuto del software di Porfoliovisualizer abbiamo provato a costruire due portafogli.
Il primo 100% azionario con Stati Uniti al 55% e resto del mondo al 45%.
Il secondo 100% obbligazionario con 40% di titoli di stato americani e 60% resto del mondo.
Lo scopo è quello di avvicinarsi agli indici globali attualmente replicati dagli ETF.
Dal 1994 a giugno 2022 i casi di massimo ribasso del portafoglio obbligazionario (linea rossa) non sono mancati, con il record negativo che è stato aggiornato proprio negli ultimi mesi.

Fonte: Portfoliovisualizer
Se la massima perdita di un portafoglio obbligazionario è stata di circa tre volte inferiore a quella del mercato azionario, la volatilità esprime le stesse proporzioni. Il 15% di volatilità media un investimento azionario globale si contrappone al 6% dell’obbligazionario globale.
Dati che abbiamo cercato di ampliare utilizzando il sempre ottimo sito di backtesting Curvo.eu.
Qui partiamo dal 1985. A una crescita annua composta dei rendimenti obbligazionari del 4,5% si affianca una volatilità dell’indice Ftse World Govenrment Bond G7 del 7%.
Per ognuno degli anni analizzati il 31% sono risultati negativi a conferma di una fonte di reddito che non garantisce nel breve nessun risultato positivo, ma che sicuramente nel lungo periodo offre una maggior stabilità nel valore del capitale investito.

Fonte: Bactest.curvo.eu – Ftse World Govenment Bond Index G7 1985-2022
I rendimenti storici del mercato obbligazionario
Storicamente il 2% di rendimento reale medio è un numero reale confermato anche dai dati che provengono dal sito del Professor Damodaran della NY University.
Dal 1928 al 2021 il rendimento reale per un Treasury decennale americano è risultato del 2,2%, percentuale che praticamente raddoppia per investimenti in obbligazioni corporate investment grade (4,2%). Il rendimento dei titoli di stato è risultato quasi doppio rispetto a quello del mercato immobiliare (+1,2% all’anno in termini reali).
Naturalmente queste informazioni numeriche cambiano da paese a paese.
Cambiano i meriti di credito, cambiano i tassi di inflazione. A volte arrivano anche alcuni fallimenti (default).
La sintesi di questi numeri la troviamo in un grafico presentato dal blog mindfullyinvesting.com che ha cercato di mettere assieme i risultati di rendimento reale per paese aggiustati per l’inflazione dal 1900 al 2020.
I numeri sono stati estrapolati dal solito studio di Credit Suisse (in dollari e dal database di https://www.macrohistory.net/database/ in valuta locale).

Fonte: https://www.mindfullyinvesting.com/
Dove il dato è presente per entrambe le ricerche le differenze ci sono anche se non clamorose. Confermano però una verità.
Investire a livello locale, per esempio su un BTP per un italiano oppure su un Bund per un tedesco o anche su un Treasury per un americano, in futuro potrà generare dei rendimenti reali negativi. Non stiamo facendo previsioni, stiamo dicendo che pescando a caso una delle tessere che compone l’obbligazionario globale potrebbe accadere che il risultato nel lungo periodo risulterà negativo depurato dall’inflazione.
Quindi anche in questo caso il motto “Go Global” che accompagna una diversificazione globale sembra l’unico destinato a uscire vincente anche nelle prossime decadi.
buongiorno,
Per quanto riguarda la copertura valutaria dei bond in questo articolo avete scritto:
“Il risultato finale corretto per il rischio storicamente diversi studi hanno dimostrato essere simile tra investimenti coperti e aperti al rischio cambio.”
Potreste gentilmente fornire almeno uno di tali studi per curiosità? mi interesserebbe capire se sono studi basati su un investitore europeo che investe in Euro o se si tratta dei soliti studi americani con la prospettiva di un investore che investe in USD.
Per un investitore europeo durante il 2022 gli investimenti in bond globali senza copertura rendono molto di piu di quelli in bond coperti, inoltre grazie alla rivaluzione del cambio USDEUR vanno anche a ridurre la volatilità dei portafogli bilanciati. Tali considerazioni non vengono in alcun modo prese in considerazione negli studi americani.
vi ringrazio molto per la disponibilità
un saluto
Mattia
Purtroppo il link allo studio di Vanguard di qualche anno fa non sempre più funzionante. Quella era la “pistola fumante” che in sostanza esprimeva statisticamente un concetto. Nel lungo periodo non emergono differenze di performance mentre sicuramente la volatilità dell’investimento è più bassa nella versione eur hedged. Che perciò sarebbe sempre quella più consigliata per un investitore. Qui ho però ritrovato un vecchio studio https://www.pinebridge.com/insights/currency-exposure-in-fixed-income-to-hedge-or-not-to-hedge che mostra dati storici interessanti per Usd, Eur, Gbp e Yen con e senza copertura.
Nel 2022 i rendimenti di una obbligazione in dollari è ovviamente più alta di quella in euro ma con il rischio valutario aperto. Coprendo questo rischio il rendimento di una obbligazione in dollari diventa identico a quella in euro (rendimento dollari – costo copertura dato da differenziale tassi US-EU). Gli investimenti obbligazionari a cambio aperto la volatilità la aumentano, non certo la riducono. La volatilità non è solo associata ai ribassi, ma anche ai rialzi. Ovvio che a differenza di un valore assente di volatilità da cambio su investimento in euro, su un investimento in valuta la volatilità è più alta proprio perchè il cambio ogni giorno si muove. Giusto per fare un esempio iShares Global Govt Bond aperto al rischio cambio volatilità a 3 anni 8% a cambio coperto 7%. Poca roba tutto sommato, ma teniamo sempre conto che più EurUsd scende più il rischio valutario in prospettiva tende ad aumentare per un naturale effetto di ritorno verso la media dell’euro verso un valore di equilbrio. Spero di averti risposto in maniera esaustiva. A presto
ciao Lorenzo, grazie per la risposta dettaglia ed esaustiva.