By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 10 Gennaio, 2022|

Nell’articolo della settimana scorsa ho cercato di spiegare che l’esercizio di prevedere le performance future è particolarmente complesso da compiere per gli investimenti azionari, più semplice (ma non sempre preciso) per quelli obbligazionari.

Ma quali sono le mie attese di rendimento su azioni e obbligazioni per la prossima decade?

Uno dei miei metodi preferiti per arrivare al risultato è quello di Jack Bogle, il fondatore di Vanguard. Non è l’unico e non è sicuramente il più preciso in ogni momento storico. Nel corso degli anni ne ho apprezzato la semplicità di calcolo, la fondatezza delle ipotesi sottostanti e soprattutto la consapevolezza che ci sono elementi fuori dal nostro controllo che possono determinare scostamenti anche significativi dal percorso previsto.

Per la componente obbligazionaria di un portafoglio di investimento l’esercizio da compiere è piuttosto semplice. Si prendono i rendimenti offerti oggi dal mercato sui titoli di stato a 10 anni. Basta non dobbiamo fare altro, abbiamo già una buona stima di quanto guadagneremo nel prossimo decennio.

Quello sarà prevedibilmente ciò che ci restituirà il mercato ogni anno come remunerazione per aver deciso di investire il denaro in obbligazioni. Potranno esserci delle oscillazioni verso l’alto o verso il basso sulla base di quanto devieremo da questo percorso aumentando il rischio con corporate bond, emerging bond o strumenti a reddito fisso ancora più speculativi magari arricchiti con una componente di rischio valutaria. Ma la sostanza è quella. Il rendimento di oggi su una scadenza decennale è verosimilmente quello che possiamo aspettarci come ritorno dell’investimento (più qualche centesimo aggiuntivo per effetto di un reinvestimento delle cedole eventualmene a tassi di interesse più alti). A differenza delle azioni non ci sono utili che possono crescere (o calare) oltre al dividendo.

Negli Stati Uniti un’obbligazione a 10 anni offre oggi un rendimento del 1,7%. In Germania -0,1%, in Italia 1,2%.

A seconda di quale zona del mondo frequentiamo questo sarà ciò che potremo ragionevolmente attenderci da un investimento di questo tipo.  Considerando che i corporate bond europei offrono oggi un rendimento medio a scadenza dello 0,6%, diciamo che uno 0,5%/1% annuo per un investitore europeo in obbligazioni la considero una buona stima.

Per quello che riguarda il mercato azionario il metodo Bogle divide il rendimento futuro di un investimento in due parti.

Quella cosiddetta di investimento e quella speculativa.

La componente di investimento somma la percentuale di dividend yield (quindi quanta percentuale del prezzo di un’azione viene restituita all’investitore sotto forma di dividendo annuale) con quella di crescita degli utili aziendali.

La componente speculativa invece viene misurata dall’impatto delle variazioni del rapporto Prezzo/Utili. Quando il cosiddetto P/E sale l’investitore si ritroverà con performance più alte. Viceversa quando il P/E scende le performance saranno più basse.

Andiamo a vedere i numeri di oggi sulla borsa americana S&P500, la più coperta da dati storici per fare questo tipo di analisi.

Il Dividend Yield alla fine del 2021 si è fermato al 1,3%. Numero molto basso considerando che negli ultimi 50 anni la media è stata del 2,8%.

Il primo mattoncino l’abbiamo messo.

Fonte: Multpl.com

Il tasso di crescita atteso degli utili degli ultimi 50 anni è stato del 7,3%, numero che si ridimensiona al 3,3% al netto dell’inflazione.

Reputo questo numero attendibile e coerente per formulare aspettative anche per il futuro anche se, come ci ricorda Jonathan Clements nella sua sempre ottima newsletter, le ultime decadi sono state alquante ballerine su questo fronte. Gli utili per azione reali sono cresciuti del 2,4% all’anno negli anni ’70, scesi dello 0,7% negli anni ’80, cresciuti del 4,7% negli anni ’90, scesi del 1,9% nella prima decade del secolo, saliti del 8,7% nell’ultimo decennio.

Ritengo quindi corretto prendere il +3,3% storico come un buon dato da sommare al primo mattone del dividend yield.

Quindi 1,3% + 3,3% ci fa arrivare a +4,6% di rendimento reale atteso dai mercati azionari per la prossima decade.

Ricordate questo articolo? Eravamo arrivati più o meno alla stessa conclusione utilizzando la regola di Gordon che di fatto segue le stesse logiche della regola di Bogle.

L’esercizio non è ancora concluso però.

Quando leggiamo il giornale o navighiamo su qualche sito internet specializzato in finanza non troveremo mai un rendimento reale, ma un rendimento nominale.

La differenza la fa l’inflazione che dobbiamo sommare al 4,6% ottenuto poco fa.

Il tasso a 10 anni americano etichettato come breakeven inflation rate rappresenta oggi l’aspettativa di inflazione del mercato. Generato dalla differenza tra rendimento nominale di un titolo di stato americano a 10 anni e un titolo inflation linked, questo numero oggi è attorno al 2,5%. In Europa siamo attorno al 1,8%.

Fonte: FRED

Questo numero lo andremo ad aggiungere al nostro rendimento atteso reale delle azioni del 4,6% ottenendo così un rendimento nominale da qui al 2031 del 7,1% sui mercati azionari americani (4,6% + 2,5%). Ho detto 2031 anche se in realtà l’orizzonte temporale più corretto per veder convergere queste previsioni verso un accettabile livello di confidenza è superiore ai 20 anni.

Come per il mercato obbligazionario questo dato può oscillare se ampliamo la diversificazione geografica dell’investimento. Un indice azionario globale Msci World è costituito per oltre la metà da azioni americane, ma per il resto da azioni europee, giapponesi, asiatiche, ecc…

Quindi il menù di stagione ci offre il 7% atteso sui mercati azionari e l’1% sui mercati obbligazionari prendendosi qualche rischio, tutto espresso in termini nominali.

Numeri approssimati e variabili a seconda delle diverse allocazioni di portafoglio e relativi aumenti o diminuzioni del rischio che ogni investitore in modalità self potrà decidere di assumere.

Ma se fosse così semplice e garantito sapremmo già dove mettere i nostri soldi, giusto?

Purtroppo il mercato azionario queste certezze non le può offrire ed ecco che entra in gioco la seconda gamba del metodo Bogle. La componente speculativa che appunto solo nel lunghissimo periodo tende a sfumare.

Il numeretto del 7% può essere preso per buono se assumiamo come costante il rapporto tra prezzo e utili della borsa americana oggi poco sotto a 30. Se questo rapporto dovesse salire ancora avremmo delle performance migliori. Ma se questo rapporto P/E dovesse scendere (come è probabile) allora dovremo cominciare a sottrarre qualcosa al 7% appena trovato.

Se il rapporto tra prezzo e utili scendesse ad esempio a 20, in linea con la media degli ultimi 50 anni, dovremmo sottrarre circa 4 punti percentuali di rendimento all’anno al 7,1% stimato. Tradotto in parole povere questo significherebbe un rendimento atteso sulla borsa americana per i prossimi 10 anni del 3,1% al quale sottrarre l’inflazione.

Rimarrebbero le briciole in termini reali, ma comunque sempre numeri positivi rispetto al segno meno che inevitabilmente accompagnerà un investimento in obbligazioni. Come ci ricorda William Bernstein nel suo libro I 4 pilastri dell’investimento , le borse americane hanno vissuto lunghi periodi con rendimenti reali prossimi allo zero. Nel ventesimo secolo il periodo 1900-1920, poi quello 1929-1949 e ancora 1964-1984 sono tre casi storici di immobilismo nel processo di crescita delle quotazioni al netto dell’inflazione. Non sarebbe scandaloso assistere nuovamente ad un evento di questo tipo nel ventunesimo secolo.

Diversi fattori potrebbero però contribuire a rendere meno grigio questo quadro un po’ depresso.

Il primo punto è che in realtà, osservando i cosiddetti rapporti di prezzo/utile forward (il prezzo attuale viene diviso per gli utili attesi a 12 mesi sulla base del consensus di mercato), già oggi il mercato si aspetta una contrazione di questo rapporto ad un valore ben più equilibrato di 22.

Il secondo punto è a favore della diversificazione. A livello globale i mercati azionari al netto di quello americano vantano multipli mediamente meno cari rispetto alle borse made in USA.

Fonte: Yardeni.com

Una diversificazione del rischio in tal senso potrebbe (ma non è garantito) alzare l’asticella del rendimento atteso.

I buyback azionari sono stati molto utilizzati negli ultimi anni. I benefici di queste operazioni di riacquisto di azioni proprie da parte delle aziende, non sono compresi nel dato di dividend yield, bensì nella valutazione dell’azione stessa e ha contribuito a mantenere strutturalmente elevato negli ultimi anni il livello di P/E.

Infine c’è il mercato obbligazionario. Ancora non in grado di offrire una valida alternativa al premio per il rischio azionario favorendo, fino a quando i tassi rimarranno così bassi, un buon motivo per giustificare rapporti tra prezzo e utili storicamente elevati rispetto alle medie.

Se il cosiddetto Yield to Maturity (il rendimento a scadenza) di un’obbligazione è basso, lo stesso numero per le azioni (ovvero l’inverso del P/E, il rapporto tra utili e prezzo) non potrà essere esageratamente alto per mantenere un adeguato (e non esagerato) premio per il rischio. Questo contribuisce a giustificare in parte le elevate quotazioni.

Fonte: Yardeni.com

Potrà sembrarvi strano se detto dal sottoscritto, ma le stime rilasciate dalle varie banche d’affari sull’andamento della borsa per il 2022 mi trovano d’accordo.

Per quello che possono valere previsioni di questo tipo in un arco temporale così ristretto come un anno, La forchetta + o – 7% rispetto ai valori di fine 2021 dello S&P500 potrebbe essere quella più corretta dopo una corsa sfrenata come quella degli ultimi anni.

Una politica monetaria della FED più rigida, combinata ad un ridimensionamento degli utili aziendali, rende credibile l’ipotesi di un anno non eccezionale per le borse. Sempre ricordando da dove partiamo.

I 100 mila euro investiti ad inizio 2021 sono diventati 130 mila al lordo di tasse e inflazione. Anche ipotizzando un bear market del 20% torneremmo a 104.000 euro. Un 2% di rendimento medio sul biennio con valutazioni azionarie a quel punto molto più interessanti in ottica prospettica.

Vanguard nel consueto Market Perspectives di fine anno ha indicato le sue attese di rendimento nominali per i prossimi 10 anni. Anche in questo caso da prendere con le dovute cautele considerato il periodo non lunghissimo di previsione, ma questo è quello che pensa il più grande gestore di fondi passivi al mondo delle prospettive future di rendimento dei vari asset.

Fonte: Vanguard

Cosa posso quindi dedurre da questo primo tagliando 2022 in prospettiva decennale?

Che in termini nominali a oggi è ancora ragionevole attendersi un rendimento annuo del 6-7% dalle azioni globali e del 1% dalle obbligazioni.

Tradotto in termini reali, e stimando un’inflazione media al 2%, questo significa ragionare sul 4-5% per i mercati azionari e sul -1% su quello obbligazionario.  

Per un portafoglio bilanciato 60/40 il risultato in termini reali diventerebbe quello di un rendimento atteso di circa il 2,5% (4,5% in termini nominali) da qui al 2031. Nulla di clamoroso ma questo è quello che passa oggi il convento dopo la corsa sfrenata degli ultimi 10 anni.

Le incognite sono tante, ma anche le sorprese positive potrebbero esserlo. In fondo se allarghiamo lo sguardo ad un’orizzonte temporale più ampio non possiamo dire di essere di fronte ad una bolla speculativa.

Ai posteri l’ardua sentenza, ma investire oggi denaro sui mercati finanziari ritengo possa essere ancora considerato un gesto di buon senso.

8 Commenti

  1. lorenzo savoldelli 20 Gennaio 2022 at 11:42 - Reply

    Ciao Archeowealth, ho due domande da porti se
    1) Se il rapporto P/E dovesse scendere come hai scritto nell’articolo, i rendimenti prospettici non dovrebbero salire?
    2) i Vari tassi di crescita degli utili (anche io consulto multpl) (real earnings) mi risultano come mediana 8,63% è corretto?

    • archeowealth 20 Gennaio 2022 at 12:56 - Reply

      1) naturalmente le aspettative di rendimento si alzano. Se tu fra 10 anni arrivi però con un PE più basso e avrai bisogno di riscattare i tuoi soldi ti ritroverai con un rendimento sicuramente più basso per effetto di calo del prezzo relativo rispetto a crescita utili. A quel punto le prospettive più elevate di rendimento serviranno a poco perchè uscirai dal gioco. Ecco perchè se guardiamo a 20 il ragionamento diventa molto più sfumato e il ritorno verso la media aiuterà.
      2) dipende dall’orizzonte temporale analizzato e anche dai provider. Non sempre si trovano informazioni uniformi su questo, ma storicamente questo grafico che trovi qui https://www.mymoneyblog.com/sp-500-historical-return-components.html può darti un’idea del tasso di crescita degli utili in termini annualizzati su scala decennale per smussare le oscillazioni

      • lorenzo savoldelli 21 Gennaio 2022 at 08:30

        Come sempre una spiegazione chiara ed esaustiva!! Vi leggo sempre con particolare interesse trovando articoli degni di essere analizzati e visionati.
        Grazie per il vostro lavoro

  2. Mauro Guerriero 10 Gennaio 2022 at 14:03 - Reply

    Per le previsioni, per i prossimi dieci anni quale sarà rendimento annuo composto dello S&P500 comprensivo dei dividendi ? Grazie

    • archeowealth 10 Gennaio 2022 at 14:34 - Reply

      Come puoi vedere nella tabella dell’articolo Vanguard prevede performance annue comprese tra il 2,3 e il 4,3% circa al lordo dell’inflazione e comprensivo di dividendi. Altri sono più pessimisti, altri più ottimisti. Ovviamente sono stime che valgono più come indirizzo che altro

  3. Mauro Guerriero 10 Gennaio 2022 at 13:01 - Reply

    Ciao. Mi sfugge qualcosa.
    Il rendimento medio degli ultimi 10 anni s&p 500 quant’è: 8% ?
    Queste previsioni prevedono 1 punto percentuale in meno ?
    Grazie

    • archeowealth 10 Gennaio 2022 at 13:55 - Reply

      No il rendimento annuo composto degli ultimi 10 anni dello S&P500 è stato del 16,5% comprensivo dei dividendi incassati. Al netto dell’inflazione in termini reali siamo al 14,1% annuo.

  4. Giovanni 10 Gennaio 2022 at 11:28 - Reply

    Molto interessante, grazie per l’articolo targato 2022. Mentre leggevo la tua recensione sono arrivato alla tua frase: “le borse americane hanno vissuto lunghi periodi con rendimenti reali prossimi allo zero. Vero. Però ho un grosso dubbio: negli anni del decennio passato le borse mondiali erano ristrette ad una piccola fetta della popolazione mondiale, quella specificatamente professionale, non c’era internet, non c’era la possibilità di comprare fondi direttamente dal comune investitore. Oggi con l’avvento del Web e dal trading online, il mercato non è più quello di una volta è imparagonabile. La mia perplessità è rivolta al fatto che, ma potrei sbagliarmi, che un’enorme quantità di liquidità può mandare in bolla un mercato con più facilità.

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