By |Categorie: Educazione finanziaria, Investimento|Pubblicato il: 14 Aprile, 2023|

Quando ogni giorno aprono le contrattazioni sui mercati finanziari mondiali, ci sono operatori che acquistano e altri che vendono. Una vorticosa giostra di scambi che ovviamente si chiude con vincitori e vinti.

Il risultato finale per tutti coloro che hanno deciso di fare un giro sulla giostra è sintetizzato in uno scostamento positivo o negativo rispetto al valore di partenza ad esempio di un indice come lo S&P500 americano oppure il FtseMib italiano.

Chi avrà scelto semplicemente di replicare quell’indice otterrà un risultato identico (depurato da commissioni di trading e di gestione se è stato utilizzato un ETF).

Chi invece ha deciso di gestire attivamente quella giornata di contrattazione sui mercati con attività di compravendita basate sulle proprie convinzioni personali, potrà conseguire un risultato migliore o peggiore dell’indice.

Alla sera ci sarà un vincente e, inevitabilmente, ci sarà anche un perdente.

Quindi la gestione attiva degli investimenti è un gioco a somma zero, anzi peggio di zero. Ma di questo parlerò tra poco.

Le tre strade a disposizione di un investitore

Un risparmiatore quando ha del denaro da investire si trova di fronte a tre opzioni:

1) Affidarsi semplicemente al mercato con strumenti gestiti a replica passiva (index fund o ETF).

2) Decidere in autonomia di investire in quella che possiamo definire una gestione attiva individuale.

3) Decidere di investire in strumenti a gestione attiva collettivi (fondi, Sicav, hedge fund, ecc…).

Nel caso numero 1, per ogni giornata di investimento il risparmiatore si vedrà riconoscere l’andamento del mercato che ha scelto di replicare (al netto dei costi), il cosiddetto BETA. In questo caso non si andrà né meglio né peggio del mercato. Semplicemente lo si replicherà pagando delle spese modeste che oggi diversi ETF riescono anche a recuperare grazie ad un altissimo livello di efficienza.

Nel caso numero 2 e 3, per ogni giornata di investimento il risparmiatore si vedrà riconoscere l’andamento del mercato (BETA) più o meno gli esiti delle decisioni di investimento attive (proprie o delegate a terzi), il cosiddetto ALPHA. L’alpha rappresenta quanto valore ha aggiunto o sottratto la mia selezione autonoma di titoli rispetto a quella proposta dal mercato e rappresentata dal classico indice (quindi ETF).

Investitore attivo oppure passivo?

A questo punto abbiamo capito che sul mercato ci sono due attori, i passivi e gli attivi.

I passivi si vedranno riconosciuta la performance del mercato. Nulla di più o di meno.

L’investitore che ha deciso di differenziare l’investimento nel tentativo di fare meglio del mercato (ipotizziamo di prendere ad esempio l’indice americano S&P500 come benchmark) decidendo di incrementare la sua posizione nell’azione Apple, avrà alla fine della giornata un risultato migliore o peggiore dello S&P500. Tutto dipenderà da come Apple si sarà mossa.

Questo Alpha generato dall’investimento, se positivo, avrà una contropartita negativa in un investitore che ha deciso di migliorare la performance dell’indice vendendo Apple.

Per ogni compratore ci deve essere un venditore ed è quindi ovvio che ad ogni Alpha positivo corrisponde un Alpha negativo.

Ecco spiegato il perché l’investimento attivo è un gioco a somma zero.

Inserite questo esempio all’interno di milioni di scambi quotidiani tra investitori attivi ed avremo milioni di vincenti e milioni di perdenti. Molto probabilmente gli investitori istituzionali grazie alle loro capacità intellettuali, di ricerca e di accesso al mercato, saranno dominanti tra i vincenti mentre il piccolo investitore dominerà la platea dei perdenti.

Perché l’investimento a gestione attiva è definito peggiore di un gioco a somma zero?

La risposta a questa domanda ci spiega anche perché la maggior parte degli investitori istituzionali passa velocemente dal gruppo dei vincenti al ben più folto gruppo dei perdenti.

Immaginiamo che nello stesso esempio fatto poco fa due fondi prendono posizioni differenti sull’azione Apple, addebitando per i loro servizi una commissione di gestione del 1,5% ai rispettivi clienti.

Un investitore passivo che replica l’indice senza assumersi rischi di sovra/sotto peso di singoli titoli si troverà invece addebitata una commissione dello 0,25%.

L’investitore passivo guadagna il mercato (Beta) meno 0,25%.

L’investitore attivo che ha azzeccato le scelte di investimento indipendenti dall’indice guadagna il mercato (Beta) più (Alpha) meno 1,5%.

L’investitore attivo che invece non ha azzeccato le scelte di investimento indipendente dall’indice guadagna il mercato (Beta) meno (Alpha) meno 1,5%.

Per una semplice regola matematica i due Alpha si annullano ma la perdita del 1,5% è a carico di entrambi.

L’investitore passivo invece sosterrà una perdita di solo lo 0,25%.

I costi sono un fattore importante e inevitabile quando si maneggiano attività finanziarie. Ecco che il gioco della finanza diventa allora a somma minore di zero, come descrisse molto bene il premio Nobel per l’economia William Sharpe nel 1991 con la celebre pubblicazione “The Arithmetic of Active Management”.

Entrambe le parti, quando comprano e quando vendono un asset finanziario, sopportano dei costi, diceva Sharpe.

Per tutte e due non sarà sufficiente battere il mercato, ma dovranno anche recuperare i costi che hanno sostenuto. Più sono alti questi costi e più sarà difficile uscire vincitori dalla sfida.

Per chi ancora non avesse ben chiaro il concetto, un esempio grafico proposta da Vanguard ci aiuta a comprendere meglio il meccanismo.

Sull’asse delle ascisse abbiamo il rendimento atteso dell’investimento rispetto al mercato (linea zero – verde centrale). Sull’asse delle ordinate la probabilità di sovra/sotto performance rispetto al benchmark (quindi sempre il mercato).

Nella fase iniziale di replica dell’indice, prima dell’addebito dei costi, abbiamo una campana che mostra uguale probabilità di fare meglio o peggio del benchmark da parte degli investitori attivi. Il gioco è a somma zero.

Ma attenzione, a ogni fondo (compreso l’ETF) dobbiamo sottrarre dalla performance le commissioni richieste dal gestore per svolgere la sua attività.

La porzione di campana dai contorni verdi viene traslata a sinistra assumendo i contorni rossi.

Più il fondo è costoso e più indietro viene spostata per i gestori la linea di partenza (linea verticale tratteggiata). È come se in una gara ci chiedessero di partire con qualche minuto di ritardo rispetto al nostro concorrente. Ovviamente avremo meno probabilità di vincere.

A questo punto le probabilità di un fondo possa fare meglio del mercato (la zona della campana colorata di verde) si restringono rispetto al caso precedente.

Non possiamo ovviamente escludere che ci siano fondi capaci di fare meglio del mercato (ricordiamo sempre che è un gioco a somma zero e per forza ci sono vincenti e perdenti), ma il numero di coloro che risultano vincenti viene ridotto in termini probabilistici a causa del costo del prodotto. Convergendo verso lo zero nel lungo periodo come abbiamo visto in questo articolo “Un fattore sotto il nostro controllo quando investiamo denaro. Lo stile di gestione“.

La gestione attiva dell’investimento dall’essere un gioco a somma zero diventa un gioco peggiore della somma zero.

Questo meccanismo spiega perché le statistiche snocciolate di continuo su quanti fondi sono capaci di fare meglio del mercato vede regolarmente numeri abbondantemente inferiori al 50% nel lungo periodo.

Nel dubbio, personalmente preferisco sempre avere la certezza di ottenere il risultato più vicino a quello che offre il mercato al posto di un’ipotetica (quanto improbabile) vincita superiore.

Anche perché il mercato domani esisterà ancora. Il fondo, come ben sappiamo, non offre questa certezza visto che le statistiche ci dicono che un fondo su due fra 10 anni non esisterà più.

Buon investimento.

Fonte: Morningstar

2 Commenti

  1. Stefano Rossi 14 Aprile 2023 at 07:55 - Reply

    Innanzitutto, complimenti per l’ottimo articolo. Approfitto dello spazio concesso per porre un quesito che mi ronza in testa da qualche anno: premetto che utilizzando gli ETF, condivido ogni parola. Tuttavia, osservando i grafici forniti da Morningstar che compaiono in fondo all’articolo, mi chiedo se, nel prossimo orizzonte ventennale, la gestione passiva continuerà a prevalere nettamente sulla gestione attiva. Se la gestione passiva diventerà maggioritaria, come sembra, rispetto a quella attiva nel prossimo ventennio, otterremo gli stessi risultati? Oppure sarà “più facile” per i pochi gestori attivi rimasti battere un mercato a maggioranza passiva?

    • Lorenzo Biagi 14 Aprile 2023 at 08:25 - Reply

      Grazie Stefano. Ti rispondo volentieri perché in realtà quello che sta accadendo, secondo me, non è l’estinzione della gestione attiva, al contrario. Siamo stati abituati a pensare ad un gestore che sceglie un’obbligazione o un’azione sulla base di una serie di considerazioni. Questo finora è stata la gestione attiva. Ma se guardiamo le nuove emissioni di ETF oppure come si stanno muovendo quelli che una volta erano i cosiddetti Roboadvisory, scopriamo che sbucano fuori temi di investimento, settori, strategie smart beta, ecc… Tutto ciò che devia dalla traiettoria del classico “mercato” benchmark è gestione attiva. L’asset allocation personalizzata è gestione attiva. Io vedo sempre più gestione attiva ma fatta con strumenti passivi in giro. E poi comunque credo che l’animo umano non abbandonerà mai la voglia di dimostrare a sè stesso o agli altri di essere migliore. Per questo credo che anche il “passivo” avrà un limite oltre il quale farà fatica ad andare.

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