Il costo di un prodotto finanziario rappresenta una delle zavorre che, come investitori, possiamo controllare e gestire. In autonomia o con l’aiuto di un consulente, un check up periodico di quanto ci costa investire è fondamentale per sfruttare al massimo i vantaggi di una pratica necessaria per raggiungere i nostri obiettivi finanziari. Non farlo significa andare incontro a cocenti delusioni visto che, con assoluta certezza matematica, i rendimenti dell’investimento risulteranno più bassi di quelli offerti dai mercati.
Un breve riepilogo di quello che tratteremo in questo articolo:
- Esiste una sostanziale differenza tra acquistare un prodotto e ricevere un servizio di consulenza finanziaria. Questa differenza determina utilità e prezzo finale per il cliente.
- Il costo dei prodotti finanziari gestiti in Italia è tra i più alti al mondo e gli incentivi alla vendita che vengono retrocessi alle banche hanno percentuali considerevoli.
- Per conoscere costi e incentivi dei prodotti offerti, l’investitore può consultare i documenti che l’intermediario ha l’obbligo di rendere disponibili prima dell’acquisto. In questa guida spieghiamo dove e a cosa prestare attenzione.
- Chi sta ricercando un servizio che mette al centro gli obiettivi finanziari personali e familiari e non l’esclusiva vendita di un prodotto finanziario, potrebbe trovare nella consulenza indipendente una serie di buoni motivi per affidare la crescita e la protezione del proprio capitale (umano e finanziario) a professionisti liberi da vincoli commerciali e conflitti di interesse.
Su questo blog la celebre ottava meraviglia del mondo, ovvero la capitalizzazione composta degli interessi, ha trovato spazio fin dagli albori nel lontano ormai 2014. Ebbene questa meraviglia è un po’ meno appariscente quando incontra la capitalizzazione composta dei costi. Ne abbiamo già parlato nell’articolo “Quanto del Rendimento si Perde in Costi”.
L’articolo che proponiamo oggi è molto corposo e quindi il consiglio è magari di leggerlo con calma, anche frazionandolo nei tempi. Era però necessario per disporre di una guida utile per comprendere fino in fondo cosa significa pagare un costo eccessivo per un prodotto finanziario. Ma anche per ribadire un concetto non sempre chiaro, che il costo di un prodotto finanziario è qualitativamente diverso dal costo di un servizio finanziario.
Un esempio di prodotto finanziario
Un fondo di investimento è un prodotto finanziario, come lo sono le singole azioni oppure le obbligazioni. Con un fondo un gestore offre i suoi servizi professionali sintetizzandoli in un unico contenitore.
Acquistare (e quindi aggiungere) il fondo al nostro conto titoli ha dei costi in buona parte identificabili al momento della prima transazione. Tra poco vedremo come.
Dobbiamo però sapere che queste spese, tutte a carico dell’investitore, servono per remunerare un gestore che per noi sceglierà come e quando investire sui mercati i risparmi che gli abbiamo affidato. Si spera nel migliore dei modi ma, come scopriremo, con poche speranze di fare meglio della media del mercato stesso.
Una parte dei costi solitamente verrà “retrocessa” all’intermediario finanziario che ha messo a nostra disposizione il prodotto sulla sua piattaforma commerciale.
Sugli ETF non esistono retrocessioni e incentivi alla vendita
Il fenomeno delle retrocessioni degli incentivi alle banche non si verifica con gli ETF che, a differenza della maggior parte dei fondi, sono quotati sul mercato e quindi liberamente acquistabili da chiunque ha capitale sufficiente per poterlo fare.
Nel caso dell’acquisto di un ETF (o di una singola azione oppure obbligazione) pagheremo all’intermediario dei costi di negoziazione in percentuale dell’importo investito.
Se ad esempio acquistiamo 10 mila euro di un ETF e la commissione di acquisto applicata dall’intermediario è 0,3%, il capitale investito risulterà di 9.970 euro (10.000 meno i 30 euro di commissioni pagate alla banca).
Attenzione però. Anche sui fondi di investimento l’intermediario finanziario che vende il prodotto ha la facoltà di applicare commissioni di ingresso, di uscita o di switch alle quali si potrebbero aggiungere commissioni di performance.
In questo ultimo caso un pezzettino del guadagno che dovrebbe finire nelle nostre tasche non ci verrà riconosciuto perché i gestori si sono “autovalutati” come più bravi della media. Questa media solitamente è un benchmark o parametro di riferimento deciso dagli stessi gestori. Una pratica alquanto discutibile visto che il gestore del fondo è già adeguatamente retribuito dal cliente per battere il mercato (in gergo tecnico si dice creare alpha) con le commissioni di gestione.
Più avanti comprenderemo che è molto semplice identificare in anticipo quanto costa investire su un certo prodotto finanziario.
Un altro avvertimento di cui tenere sempre conto è quello di non farsi ingannare dalla parola ETF presente in alcuni prodotti venduti dagli intermediari finanziari. In gergo tecnico “wrapper”, gli ETF vengono impacchettati, ad esempio, dentro polizze assicurative (unit linked o multiramo) e usati commercialmente per dare al prodotto una sorta di “purezza” finanziaria. Le banche in questo caso non percepiranno incentivi sugli ETF inseriti nel portafoglio assicurativo, ma incasseranno una parte delle commissioni di gestione applicate sulle polizze. Il resto va alla compagnia assicurativa che ha strutturato il prodotto.
Abbiamo a nostra disposizione tutte le informazioni che servono per misurare i costi
Ogni volta che ci propone un prodotto finanziario, l’intermediario è obbligato a consegnarci fisicamente o virtualmente via mail, un documento esplicativo chiamato KID. Purtroppo, nella maggior parte dei casi non dedichiamo la giusta attenzione a questa preziosa risorsa. Ci torniamo a breve.
I costi dei prodotti finanziari sono identificabili con le stesse modalità e gli stessi documenti anche in altri ambiti. Ad esempio, quando sottoscriviamo polizze assicurative di natura finanziaria possiamo sapere in anticipo quanto saremo tenuti a sborsare al momento dell’acquisto, dell’uscita e per ogni anno in cui la polizza rimarrà in nostro possesso. Abbiamo quindi la certezza di quanto pagheremo per investire i nostri risparmi in quel prodotto. Avere sotto controllo i costi significa anche questo.
Diverso dal costo del prodotto è il prezzo pagato per usufruire di un servizio finanziario.
Quando viene erogato un servizio finanziario
Dei professionisti che offrono una consulenza finanziaria (indipendente e non) a un cliente specifico, stanno erogando un servizio finanziario. I servizi finanziari sono di varia natura. Viene considerato servizio, ad esempio, anche l’accesso a una piattaforma di trading per inviare ordini in borsa.
Nello specifico la consulenza potrebbe limitarsi alla gestione di portafoglio (l’intermediario investe in strumenti finanziari per conto del cliente) oppure esplicitarsi in vere e proprie raccomandazioni personalizzate all’acquisto di certi prodotti.
Il servizio di consulenza può diventare più ampio e complesso coinvolgendo, non solo la costruzione di un portafoglio di investimento (con prodotti), ma anche la pianificazione previdenziale, successoria, assicurativa, ecc.…
Quando viene erogato un servizio di consulenza finanziaria come quello indicato poco fa, il cliente paga una parcella al consulente sotto forma di una commissione percentuale sul capitale oggetto del servizio (oppure un prezzo un tantum), alla quale verrà aggiunta l’IVA al 22% sul capitale investito.
Il prezzo di questo servizio deve poi essere incrementato dalle spese correnti dei prodotti sottostanti. Costo modesto se si tratta di ETF, decisamente più importante se si tratta di fondi di investimento.
Facciamo un esempio pratico.
L’erogazione di un servizio di consulenza finanziaria non appare quindi compatibile con l’utilizzo dei fondi di investimento a gestione attiva, almeno quelli che rientrano nelle cosiddette classi “al dettaglio”. Molte delle proposte di investimento risulterebbero antieconomiche per il cliente. Soprattutto in Italia. L’Italia è infatti il luogo più caro al mondo dove acquistare fondi di investimento.
I costi dei fondi in Italia
Secondo il rapporto Morningstar “Global Investor Experience Study:Fees and Expenses” pubblicato a marzo 2022, i fondi azionari venduti in Italia sono i più cari al mondo; quelli obbligazionari seguono per onerosità solo quelli collocati a Taiwan.
Ma quanto costano questi fondi? Secondo il rapporto di Morningstar mediamente per i fondi azionari domiciliati in Italia si arriva a spendere il 2,13% all’anno; per quelli obbligazionari 1,17%.
Numeri confermati anche da un altro rapporto internazionale. Il report ESMA “Costs and performance of retail investment products in the EU 2023” ha messo in luce che i costi medi dei prodotti azionari commercializzati in Italia sono i più cari d’Europa assieme a quelli lussemburghesi, superando il 2% annuo. Una bella differenza rispetto a Svezia e Olanda dove si paga la metà.
La causa del problema italiano è la presenza di intermediari che, essendo imprese private, vogliono giustamente ottenere in cambio una provvigione su ogni quota di prodotto venduto. Che si tratti di banca o rete di consulenza finanziaria (gli ex promotori per intenderci), quelli che sono veri e propri incentivi alla vendita aumentano inevitabilmente il costo del prodotto finale per il risparmiatore.
La ricca fetta di torta che pretende la banca
Secondo lo studio di EFAMA del 2021 (Perspective on the cost of UCITS) i distributori/reti di consulenza finanziaria che promuovono i fondi trattengono, sotto forma di incentivi, tra il 30% e il 50% del costo dei fondi che EFAMA stima essere mediamente del 1,96% per quelli azionari.
Quindi ogni volta che acquistiamo un fondo dobbiamo sapere che la banca guadagna (e anche bene) dal veder inserito quello specifico prodotto nel nostro portafoglio.
Questo si chiama agire nell’esclusivo interesse del cliente? Ovviamente no, perché i cataloghi di offerta sono limitati, perché non vengono quasi mai resi disponibili i fondi equivalenti nelle cosiddette classi istituzionali (quelli a commissioni ridotte) e ogni accordo con le case di investimento è diverso, rendendo certi prodotti più vantaggiosi da collocare rispetto ad altri.
Tutti questi numeri rappresentano però la faccia di una medaglia che, giorno dopo giorno, gratterà via un pochino del nostro rendimento.
L’altra faccia è rappresentata da costi che paghiamo una tantum all’atto dell’acquisto, della vendita oppure dello switch tra fondi della stessa casa di investimento. Come detto prima purtroppo non finisce qui.
Da questi studi sui costi medi dei fondi sono escluse anche le commissioni di performance che il gestore trattiene se fa meglio del mercato. Mediamente parliamo del 20% di un extra guadagno che non vedremo mai. E indovinate chi c’è in testa a questa speciale classifica?
Finite le brutte notizie? No.
La consulenza erogata da un pur bravo e diligente dipendente di banca (l’addetto titoli per aggirare i soliti e antipatici inglesismi), dal private banker di turno (qui non posso sottrarmi all’inglesismo e avrete accesso a loro solo se siete degni di essere trattati come clienti speciali) o dal consulente di una qualsiasi rete di promozione finanziaria (pardon consulenti finanziari, ma di promotori si tratta quando sui prodotti vengono percepiti degli incentivi commissionali per ogni “articolo” venduto), è generica e non nell’esclusivo interesse del cliente come accade invece con i servizi di consulenza indipendente remunerati a parcella.
Seppur non percepiti materialmente come costi, questi conflitti di interesse fanno salire il conto a carico del cliente medio ancora più in alto. Basti pensare ad esempio al rendimento perso su un investimento solo perché ci è stato consigliato di investire su uno scadente fondo di investimento.
Il prezzo della consulenza indipendente in Italia
Dall’altra parte del fiume c’è una consulenza autonoma (la vera indipendente, ma purtroppo in Italia si è voluto usare una parola volutamente ambigua) che richiede al cliente, in cambio della sua prestazione professionale priva per legge di qualsiasi conflitto di interesse, commissioni che solitamente non vanno oltre l’1,22% (1% + IVA). Più sale il capitale investito è più si abbassano le commissioni che il consulente richiede al cliente per erogare un servizio che non sarà limitato all’investimento del capitale attuale, ma anche alla pianificazione previdenziale, la protezione tramite adeguate coperture assicurative, il passaggio generazionale e tutto ciò che coinvolge la sfera patrimoniale della famiglia.
La convergenza di interessi sta proprio in questo. Relativamente all’investimento vengono scelti i prodotti più efficienti ed efficaci per far salire il valore del patrimonio in modo coerente agli obiettivi esplicitati e condivisi dal cliente. E più questo valore aumenta più le due parti in gioco sono felici, economicamente parlando.
Un metodo alternativo di remunerazione per i consulenti indipendenti è quello di emettere una fattura per la singola prestazione (ad esempio 500 €+ IVA), una pratica molto diffusa tra avvocati, commercialisti e medici. Naturalmente la parcella, in questo caso, avrà valori variabili a seconda della complessità della prestazione erogata.
In assoluta trasparenza bisogna anche dire che per il cliente il prezzo pagato per ottenere un adeguato servizio di consulenza indipendente non si esaurisce qui.
Alla parcella quantificabile con i numeri indicati sopra, vanno aggiunte le spese correnti dei prodotti sottostanti (solitamente ETF con costi medi annui attorno a 0,2%/0,3%). Possiamo stimare mediamente in un massimo del 1,5% il prezzo annuo che pagherà un cliente che ha deciso di affidarsi a un consulente autonomo indipendente.
Ma quindi il prezzo della consulenza indipendente è simile al costo medio di un fondo bilanciato a gestione attiva collocato dalle banche? Questa potrebbe essere l’ovvia osservazione di un lettore molto attento.
Vero, anche se da questa simulazione ho tenuto fuori i costi extra di sottoscrizione, rimborso, switch e performance che si aggiungono al costo medio di gestione di un fondo. Non della parcella di un consulente indipendente.
Quando ci si affida ad un servizio di consulenza abbiamo però a disposizione dei veri e propri coach finanziari che ci supporteranno in tutte quelle scelte di vita che coinvolgono i nostri soldi. Il gestore di un fondo bilanciato non può mettere al centro di tutto i nostri obiettivi, i nostri desideri, i nostri sogni. Non può sapere (e quindi investire di conseguenza) se vogliamo smettere di lavorare prima del tempo o se stiamo investendo per i nostri figli.
Ma non solo.
Abbiamo anche la limpida certezza che queste persone sceglieranno per noi i prodotti più indicati per aumentare il benessere finanziario dei nostri sudati risparmi. E non i prodotti che mensilmente le direzioni di una banca o una rete di consulenza finanziaria “suggeriscono” al proprio dipendente.
Non esistono infatti accordi di distribuzione di prodotti nel mondo della consulenza indipendente.
Gli accordi di distribuzione con le case di gestione che stipulano regolarmente le banche vanno onorati e, possibilmente, massimizzati. Questo significa che molto spesso il cliente viene “indirizzato” verso i prodotti dove i margini di guadagno per il venditore sono ovviamente più alti.
A questo punto si impone una riflessione. Saremmo onestamente contenti di sapere che il medico ci ha prescritto un medicinale dove ottiene i rimborsi maggiori rispetto alla medicina più efficace per curare il dolore? Credo di no.
Vi siete mai chiesti perché lo stesso consulente che segue da anni le sorti del nostro patrimonio propone prodotti diversi appena cambia casacca andando a lavorare per un’altra banca? Direi che non serve infierire con la risposta perché avete già capito benissimo dove sta l’inghippo.
Un inghippo che a quanto pare gli italiani ancora faticano a comprendere come emerge dal recente “Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane 2022” di Consob. Come possiamo vedere dal grafico, solo il 15% degli italiani considera veramente affidabili i consulenti finanziari indipendenti, continuando a dare il massimo del credito alla propria banca.

Fonte: Rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane 2022
Dietro le medie si nascondono dettagli importanti per i nostri soldi
C’è un’altra considerazione da fare. I costi dei fondi citati nelle ricerche internazionali che abbiamo visto poco fa sono costi medi.
Mentre per una consulenza indipendente è difficile che possa essere superata la barriera della commissione del 1% (+IVA) sul capitale, esistono fondi che hanno costi fino a due volte il valore medio illustrato poco fa.
Evito di accanirmi in questa sede, ma ci sono fondi molto celebrati che superano il 4% all’anno come costo complessivo a carico dell’investitore. In 10 anni il 40% del capitale passerebbe dalle nostre mani a quelle di qualcun altro che neanche vedremo mai. Indipendentemente dall’andamento del mercato.
Molto spesso la giustificazione che viene data al maggior costo dei fondi a gestione attiva rispetto a quelli passivi è la capacità degli stessi di generare un plusvalore rispetto alla performance media del mercato. Una motivazione falsa come certificato dai dati.
In un recente rapporto pubblicato da S&P Dow Jones Indices è stato dimostrato che negli ultimi 30 anni nove fondi su dieci tra quelli attivi che hanno investito nell’azionario americano non hanno battuto l’indice di riferimento. Quasi sei fondi su dieci non sono sopravvissuti.
Sapere con 30 anni di anticipo che il nostro fondo sarà tra il 40% che rimarrà sul mercato, ma anche tra il 10% capace di batterlo quel mercato, è ovviamente impossibile.
Dal lato del consumatore (ovvero l’investitore) pagare tanto un prodotto finanziario per ottenere in cambio (se va bene) il valore medio del mercato non ha nessun senso.
Come investitori abbiamo il diritto di difenderci da richieste di costo spesso ingiustificate. Fondi, polizze assicurative, prodotti che sotto il nome di alternativi ci illudono di poter guadagnare in ogni situazione di mercato. La complessità spesso e volentieri in finanza nasconde l’onerosità.
Speculiamo (e ci arrabbiamo) per l’aumento di qualche centesimo di troppo esposto nel tabellone della pompa di benzina, ma trascuriamo colpevolmente quanto costa mantenere i prodotti finanziari in portafoglio.
Ci sono però delle buone notizie che arrivano in nostro soccorso.
Capire quanto costa un investimento non è mai stato così facile
La normativa attuale ha messo a disposizione di ogni investitore un documento che tutti dovremmo conoscere e possibilmente saper leggere.
Si chiama report MiFID e contiene tutti i costi sostenuti nell’anno per le compravendite e il mantenimento dei prodotti finanziari presenti nel nostro portafoglio di investimento.
Il dato di costo sarà espresso in percentuale e in valore assoluto. Dettagliato per quanto denaro abbiamo pagato alla banca e quanto a soggetti terzi (ricordate i famosi incentivi?). Soprattutto il valore assoluto rappresenta una sorpresa alquanto sgradita per chi lo vede per la prima volta. Conosco però diverse persone che ignorano l’esistenza di questo documento.
Gli intermediari non sempre mettono in bella mostra il report MiFID come accade invece per altre comunicazioni commerciali. La comunicazione scritta non è facile da rintracciare mescolata tra tante altre che spesso consideriamo inutili e quindi neanche degne di uno sguardo.
Questa disattenzione fa parte di una precisa strategia dell’intermediario. Mettere meno enfasi possibile a quello che forse è il documento più importante per un investitore assieme a quello delle condizioni del conto corrente e delle carte di credito.
I consulenti bancari potrebbero mostrare una certa insofferenza alle richieste di discutere insieme il documento. Facciamolo, senza timore esercitando quello che è un nostro diritto. Se proprio troviamo un muro di gomma sottoponiamo il documento al giudizio di un terzo esperto ovviamente imparziale.
Questo esercizio serve per aver sotto controllo una volta all’anno il costo complessivo dei nostri investimenti. Ma possiamo anche monitorare titolo per titolo il prezzo di “listino”.
Ad esempio, per i fondi di investimento e gli ETF (ma anche per le polizze assicurative di natura finanziaria) abbiamo a nostra disposizione un documento gratuito e pubblico che contiene le informazioni chiave del prodotto in questione. Tecnicamente il documento si chiama KID e ci viene consegnato ogni volta che acquistiamo un prodotto finanziario.

Esempio KID ETF
Ogni sito internet dell’emittente del fondo o ETF è obbligato a rendere disponibile il documento in formato pdf. Il linguaggio utilizzato è relativamente semplice e comprensibile per chi ha una sufficiente educazione finanziaria di base e il documento certifica il costo del prodotto in percentuale e in valore assoluto (solitamente rapportato ad un importo standard di 10 mila euro investiti).

Esempio KID di un fondo di investimento decisamente “caro”
All’interno del KID ci sono una miriade di altre informazioni che sarebbe sempre opportuno conoscere e comprendere, ma per questo vi rimando all’articolo che abbiamo scritto sul nostro blog qualche mese fa proprio su come leggere un KID.
Il KID ha un formato standardizzato per permettere al risparmiatore di fare dei confronti uniformi tra i vari prodotti finanziari. Anche in questo caso abbiamo il diritto di ottenere delle spiegazioni esaustive dal nostro consulente finanziario.
Conclusione
Prima di investire del denaro è importante conoscere costi e caratteristiche di prodotti e servizi finanziari per avere un quadro ben chiaro di quale tipologia di prestazione attendersi e a quale prezzo, cercando di scegliere ciò che meglio si allinea ai nostri interessi di investitori.
I costi dei prodotti finanziari sono una variabile che possiamo controllare e gestire periodicamente consultando documenti pubblici messi a nostra disposizione.
Il report MiFID è un documento essenziale per comprendere in che ambiente sta crescendo il patrimonio. E se il prezzo pagato sul prodotto è troppo alto possiamo tentare di chiedere uno sconto commissionale al consulente oppure valutare un’alternativa a basso costo come un ETF; nella maggior parte dei casi farà le stesse cose del fondo, ma ad un costo 10 volte più basso.
Essere consapevoli del giusto livello di spesa da sostenere quando investiamo i nostri risparmi è fondamentale. Ogni serio corso di educazione finanziaria dovrebbe mettere l’argomento ai primi posti del programma.
Purtroppo, non sempre è così perché troppo spesso l’educazione finanziaria è contaminata dal conflitto di interesse.
Ma in questo articolo vi abbiamo svelato quello che gli altri non vi hanno mai detto.
Buon investimento.
Il report mifid è un documento che bisogna richiedere o viene rilasciato automaticamente dalla banca / consulente finanziario.
Documento che la banca è obbligata a inviarti cartaceo oppure online a seconda delle tue preferenze.
L’invio viene fatto una volta all’anno, solitamente si trova nei documenti dell’home banking dove si trovano i rendiconti tipo estratto conto o titoli. I nomi possono essere i più disparati “Mifid2”, “Report costi”, ecc…
Solitamente le banche tendono ad “affogare” il documento in mezzo ad altri insignificanti. Di certo tendono a non comunicarlo con la fanfara come viene fatto, ad esempio, per il lancio di un fondo o di un prodotto bancario.
Se sei già cliente della banca da un pò di tempo ritroverai sicuramente nel tuo home banking quello dell’anno passato. Se non lo trovi pretendi dalla tua banca di ricevere il documento. E’ un tuo diritto.
Quello riferito al 2022 probabilmente non ti è stato ancora inviato, alcune banche preferiscono aspettare le calde settimane estive per dare “maggiore” enfasi al costo effettivo dei loro prodotti e consulenza -))
Buongiorno, il vostro articolo è veramente ben redatto, grazie. Tuttavia, se posso esprimere un’opinione (e magari anche un suggerimento) secondo me sarebbe opportuno spiegare meglio all’investitore la differenza tra prodotti ad Accumulo e a Distribuzione in quanto, nel medio lungo periodo, possono esserci differenze anche significative. Non si tratta solo di fare lo stesso replicante nelle due versioni (cosa che in alcuni casi succede) ma talvolta sono proprio prodotti differenti, anche nell’ambito dello stesso emittente. Inoltre non avete parlato dei Certificates che sono strumenti fiscalmente efficienti e possono oggi essere acquistati con commissioni prossime allo zero. Saluti, Vincenzo
Ciao Vincenzo e grazie del commento. Prodotti ad accumulazione vs distribuzione abbiamo già spiegato in questo articolo https://investireconbuonsenso.com/2022/11/04/meglio-gli-etf-ad-accumulazione-o-a-distribuzione/ la differenza e in questo (un pò vecchiotto) un altro approfondimento https://investireconbuonsenso.com/2015/05/30/investite-il-piu-possibile-in-prodotti-ad-accumulazione-dei-proventi/. Questo tema vedo che affascina molto e colgo il suggerimento per un approfondimento futuro. Tuttavia se presenta dei vantaggi indubbi lato finanziario e fiscale, richiede un “vero” lungo termine per offrire valore aggiunto significativo. Credo comunque che acc o dis dipende da quanto a tuo agio ti trovi in certe fasi della vita.
Sul tema dei certificates non sono rientrati nell’articolo in quanto non sono prodotti gestiti (attivi o passivi), ma sono investimenti che vanno trattati al pari di obbligazioni e azioni singole. C’è infatti un rischio emittente spesso sottovalutato (sono di fatto le vecchie obbligazioni strutturate) oltre che una miriade di strutture derivate del quale l’investitore medio può farne a meno. Al di là della speculazione sull’andamento del singolo titolo con capitale più o meno garantito, barriere, opzioni, ecc…c’è questo tema delle minusvalenze compensabili sui certificate condizionali che offrivano un vantaggio non indifferente (a fronte di rischi) negli anni scorsi. Oggi molto sinceramente, ripeto depurando la speculazione, si possono ottenere gli stessi risultati con obbligazioni a cedola zero o poco più emesse da stati o sovranazionali con prezzi ampiamente sotto la pari.