By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 23 Aprile, 2015|

Uno dei luoghi comuni finanziari che più sento o leggo in questo momento storico è quello dell’associazione tassi bassi = azionario che non può scendere per assenza di concorrenza in termini di redditività dell’investimento. Usando parole molto gentili questa è una castroneria bella e buona ed è la stessa storia dei mercati americani a dimostrarcelo.
Come abbiamo già scritto qui i tassi americani a 10 anni fecero registrare per un buon ventennio, tra il 1935 e il 1955, rendimenti a scadenza sistematicamente inferiori al 3%.
Come si può vedere dai due grafici seguenti a questo rendimento nominale positivo non corrispose un analogo andamento in termini reali con frequenti escursioni sotto la linea dello zero che bruciarono potere d’acquisto ai possessori di bond.
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Se c’era un ambiente in cui i tassi erano bassi e non facevano da concorrenti finanziari al mercato azionario, questo ventennio certamente rappresenta un buon back test. Al primo gennaio 1935 lo S&P500 era ancora sotto al picco del 1929 di circa il 70%, gap che venne recuperato solamente all’inizio del 1955.

Ma cosa successe all’azionario in quel periodo? E’ vero che con una totale assenza di “rendimento obbligazionario”, la borsa ebbe la strada spianata senza incidenti di percorso?
La risposta sta in questa tabella.

us3Fonte: http://awealthofcommonsense.com/

Le perdite in doppia cifra dell’azionario americano si verificarono eccome, con 5 casi su 7 catalogati come veri e propri bear market ovvero con perdite superiori al 20%. Anni come il 1940 in cui i tassi decennali fecero registrare un minimo storico sotto al 2%, furono protagonisti di feroci cali azionari nell’ordine del 30%, seguiti nuovamente da un affondo del 35% nel 1942 e del 13% nel 1943. Vi sembra questo un ambiente nel quale i tassi facevano concorrenza ai rendimenti potenziali di un azionario ancora molto lontano dai massimi storici?

La realtà è che le obbligazioni rappresentano oggi come allora l’opzione utile a coprire momenti di tensione sui mercati azionari, sia che i rendimenti risultino al 2% che negativi come in Europa. Se oggi sul mercato ci sono masse impressionanti di acquisti di bond a tasso negativo non è perché gli investitori si sono rincoglioniti all’improvviso, ma piuttosto intravedono buoni ragioni per farlo. Dal 1997 i tassi giapponesi sono sistematicamente sotto la soglia del 2% e dal 2012 sono sempre sotto l’1%. Questo però non ha evitato all’indice Nikkei rovinose cadute anche superiori al 60%.

Quello che bisogna fissare nella mente non è tanto il fatto che con i tassi bassi i mercati azionari non possono far altro che salire perché “non ci sono alternative”. Questo è un modo di ragionare molto superficiale oltretutto appannando sempre un concetto, quello del profilo di rischio e della tolleranza allo stesso, che ognuno di noi ha nelle sue corde di investitore. Nessuno sa quando i mercati correggeranno in doppia cifra (ricordo che l’ultima di Wall Street risale a giugno 2012 con un -10%), ma bond e azioni rappresentano entrambi due pilastri fondamentali in un asset allocation. Rinunciare ad uno di questi solo perché una delle due asset class si ritiene risulti troppa cara rischia di rivelarsi un gravissimo errore. Se rinunciate all’obbligazionario pagherete caro il momento in cui arriverà “il double digit” negativo sull’equity e state certi che arriverà anche con i tassi più bassi della storia finanziaria. Se rinunciate all’azionario rischiate di perdervi la capacità del vostro investimento di battere l’inflazione nel lungo periodo. A voi la scelta.

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