By |Categorie: Pensione|Pubblicato il: 14 Marzo, 2022|

La pianificazione finanziaria non può e non deve riguardare solamente la gestione della fase di accumulo del capitale. Importante è anche la gestione della fase di decumulo. In questo articolo, il tradizionale sistema di prelievo annuo del capitale basato sulla celebre regola del 4%, viene messo in discussione da soluzioni alternative probabilmente più efficaci nel raggiungimento dell’obiettivo principale. Evitare che il nostro capitale non si esaurisca troppo presto.

Il tema della gestione del capitale finanziario durante il periodo della pensione, o ancora meglio dell’indipendenza finanziaria, è uno di quegli argomenti che tratteremo sul blog con sempre maggiore frequenza. L’interesse è tanto, l’offerta di regole e sistemi di pianificazione e gestione di questo tipo è scarsa, almeno in Italia.

La regola del 4% è migliorabile con qualche accorgimento

In precedenti articoli abbiamo compreso che esistono fattori come i costi e le tasse (ma anche l’orizzonte temporale) che possono incidere negativamente sul tasso annuo di prelievo ottimale da applicare durante il periodo della pensione o comunque del ritiro dal mondo del lavoro. Quello che perdiamo per strada a causa di costi e tasse, possiamo recuperarlo almeno in parte con il solito pasto gratis che ognuno di noi ha a disposizione quando investe. La diversificazione delle fonti di reddito.

Bengen, il celebre inventore della regola del 4%,  aveva ad esempio dimostrato che un 30% di small caps (società quotate in borsa con una capitalizzazione ridotta) inserite all’interno di in un portafoglio costituito complessivamente al 60% da azioni, aumentava annualmente il tasso di prelievo (il nostro 4%)  dello 0,2%.

Altri studi negli anni passati si sono focalizzati sull’impatto che ha la diversificazione di un portafoglio costruito con azioni internazionali (e non solo americane) oppure con asset alternativi (REIT, oro, commodities, obbligazioni internazionali, ecc…). In questi casi le evidenze statistiche hanno dimostrato marginali incrementi dei tassi di prelievo annui compresi tra 0,5% e 1%. Se proprio vogliamo muovere una critica, un limite di queste analisi è la scarsa profondità storica dei dati che arrivano al massimo all’inizio degli anni ’70.

Finora abbiamo però sempre fatto ragionamenti su un tasso di prelievo fisso fin dalla partenza. La regola del 4% è questo. Ma cosa succederebbe se questo tasso fosse variabile e dipendente ad esempio dall’andamento dei mercati finanziari, delle valutazioni degli stessi, dei comportamenti di spesa, o altro ancora?

Un tasso di prelievo variabile garantisce risultati migliori

Dopo aver passato in rassegna in precedenti articoli i fattori che possono aumentare o diminuire il tasso di prelievo annuo, oggi facciamo un passo aggiuntivo. Togliamo le briglie della rigidità del famoso 4% adeguandolo alle condizioni di mercato e alle situazioni familiari.

In uno studio del 2001 sempre Bengen suggeriva di adottare una strategia di prelievo variabile che consentisse un tasso di utilizzo più alto al massimo del 25% del valore reale del primo prelievo. In un contesto di mercato orso (quindi ribassista) Bengen raccomandava un taglio nel tasso di prelievo di non più del 10% del valore reale iniziale.

Negli anni successivi Guyton propose un metodo chiamato “Prosperity e Capital Preservation Rule”. La regola prevedeva un’oscillazione del 20% attorno al tasso fisso di prelievo. Quindi un 4% poteva diventare 3,2% o 4,8% sulla base della capacità di modulare le spese durante fasi di rialzo o ribasso dei mercati finanziari.

L’andamento dei mercati finanziari fa la differenza nelle fasi di decumulo

Uno dei punti più controversi della regola del 4% è proprio quello legato alle condizioni di mercato. E’ possibile che questa regola funzioni sempre, indipendentemente dai valori di partenza di azioni e obbligazioni? Diverse analisi hanno dimostrato che il momento dell’inizio del decumulo conta.

Quindi il tasso di prelievo deve tenere conto delle valutazioni di mercato.

Kitces ad esempio ha scelto come regola quella di utilizzare il Cape di Shiller come indicatore dello stato di valutazione del mercato. Apro una breve parentesi per ricordare a tutti che cos’è il Cape di Shiller al quale abbiamo dedicato numerosi articoli in passato. Riprendo per questo un estratto di uno di quegli articoli:

Il professor Robert Shiller per determinare il CAPE parte dal classico rapporto Prezzo / Utili di un indice azionario aggiustandolo per il ciclo economico in atto in modo da renderlo più realistico. Per ottenere il CAPE, Shiller prende per esempio il prezzo dello S&P500 e lo divide per la media degli utili degli ultimi 10 anni.

Tornando allo studio di Michael Kitces, un Cape superiore a 20 renderebbe sostenibile un tasso di prelievo iniziale annuo del 4,5%, tra 12 e 20 di Caper del 5%, sotto 12 del 5,5%. Considerando dove siamo ora (il Cape delle borse americane è ben oltre quota 20) le ambizioni di chi vuole vivere di rendita con tassi di prelievo elevati direi che vengono ridimensionate.

Nel 2011 Wade Pfau gelò un po’ tutti allargando l’analisi non solo al Cape, ma anche al dividend yield e ai rendimenti delle obbligazioni americane. Visti i bassi livelli di entrambe e le alte valutazioni di mercato in quegli anni, secondo Pfau, non era tollerato un tasso di prelievo superiore al 2% se si voleva mantenere una probabilità prossima al 100% di non depauperare tutto il capitale prima del tempo. Un alert anche questo da non ignorare visto il momento.

Kitces rilanciò con uno studio nel quale veniva evidenziato come un aggiustamento di asset allocation legato alle fasi di mercato poteva fornire dei contributi positivi al tasso di prelievo. Ad esempio in un periodo di valutazioni molto alte come oggi, un 40% equity 60% bond oppure in un periodo di valutazioni molto basse un 80% equity 20% bond, avrebbe offerto un premio aggiuntivo di 0,2% all’anno in termini di spesa sostenibile (ovvero di prelievo annuo del capitale).

Il messaggio che ci arriva da tutti questi studi è abbastanza chiaro. Con rendimenti obbligazionari sotto le scarpe e valutazioni azionarie non più così elevate ma comunque neanche a buon mercato, moderare il tasso di prelievo annuo appare oggi una scelta inevitabile per chi da questa sera entrerà nella fase del decumulo.

La ricetta per migliorare la regola del 4%

Mettiamo a questo punto tutto assieme e cerchiamo di vedere come il famoso 4% iniziale può cambiare e soprattutto migliorare. Il disclaimer iniziale è sempre quello. Abbiamo di fronte delle approssimazioni ragionate da esperti del settore. Prendiamo sempre i valori come numeri centrali attorno ai quali ci possono essere delle ragionevoli oscillazioni. Non prendiamoli mai come certezze scolpite nella pietra.

Partendo da una base del 4% di prelievo annuo ciò che può provocare degli aggiustamenti negativi è quindi determinato da:

  • una percentuale negativa dello 0,4% ogni 1,2% di costi sui prodotti (il costo medio di un fondo obbligazionario italiano)
  • una percentuale negativa dello 0,5% per le tasse
  • una percentuale negativa dello 0,2% se abbiamo intenzione di lasciare un’eredità
  • Il 4% diventa a questo punto 2,9%, ma…

Raccogliendo tutte le considerazioni accademiche viste in precedenza il tasso di prelievo può essere incrementato da diversi fattori che possiamo cercare di implementare nel nostro piano di investimento e decumulo.

  • una percentuale positiva di contribuzione dello 0,5% se l’orizzonte temporale è almeno 25 anni
  • una percentuale aggiuntiva di 0,7% se il portafoglio di investimento è diversificato
  • una percentuale aggiuntiva di 0,5% legata alla capacità di essere flessibili nelle spese mensili
  • una percentuale aggiuntiva dello 0,5% derivante da valutazioni di mercato particolarmente basse
  • una percentuale aggiuntiva dello 0,2% derivante da una gestione tattica dell’asset allocation
  • tutto assieme, considerando la partenza da 2,9% precedente, generebbe un tasso di prelievo teorico del 5,3% annuo

Usare sempre i numeri con buon senso

Attenzione però. Questo 5,3% presuppone che tutto deve girare per il meglio e soprattutto tiene conto di fattori sui quali chi vi scrive è molto perplesso.

La gestione tattica dell’asset allocation ad esempio è un qualcosa molto idealistico e difficile da realizzare oltre che costoso.

Le valutazioni basse sono in questo momento fuori dai radar.

Già questo priverebbe di circa uno 0,7% il tasso di prelievo ideale che si attesterebbe tra il 4% e il 4,5%.

Nei prossimi articoli dedicati al tema parleremo di qualche regola un pò più complessa (ma assolutamente praticabile) per gestire in maniera più dinamica il tasso di prelievo. Anche in questo caso affronteremo la materia con le spalle relativamente coperte dalle evidenze scientifiche disponibili oggi.

Semplificare con un numerino il processo di decumulo difficilmente ci avvicina al modo corretto di operare. Ormai è chiaro a tutti che non si può creare un piano di decumulo fissando per semplicità operativa una percentuale e lavorando sempre con quella.

Strategia e allocazione del portafoglio devono muoversi dinamicamente limitando i costi e ottimizzando il rapporto tra rendimenti e rischi.

La materia solo ora sta cominciando a essere studiata con maggiore attenzione dagli esperti.

Chi pensa di essere in grado di operare in maniera indipendente bene così, potrà risparmiare qualcosa sui costi della consulenza ma stiamo sempre molto attenti a non perdere per strada dei pezzi.

Anche io potrei tentare di risparmiare sull’idraulico facendo da solo e magari specializzandomi con qualche corso di hobbistica for dummies, ma se si allaga la casa i problemi cominciano a diventare belli grossi.

Per chi invece è più incerto sul da farsi (e sarebbe legittimo la materia non è semplice) il consiglio è sempre quello. Scegliamo un buon consulente finanziario esperto di pianificazione in grado di seguirci in ogni fase del processo nel nostro esclusivo interesse.

Pianificare e disegnare la miglior mappa possibile per il viaggio da decumulatore sarà un ottimo investimento per il futuro.

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