By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 12 Giugno, 2023|

Investire è semplice, ma non è facile. Quante volte abbiamo letto questa frase del mitico Warren Buffett, eppure fatichiamo ad avere una piena consapevolezza della sua profondità oltre che verità.

In realtà, nonostante l’evoluzione dell’ingegneria finanziaria nel ventunesimo secolo, alcuni concetti di base dell’investimento erano già ben chiari fin dall’antichità.

Un libro che ha lasciato il segno

Se tra i libri che hanno cambiato (in meglio) il mio comportamento di risparmiatore prima e investitore poi rientra sicuramente “L’uomo più ricco di Babilonia” di George Clason, una delle frasi che mi ha dato la conferma di quanto valore ci sia nella saggezza antica, è quella che ritroviamo scritta nel Talmud.

Ciascun uomo divida il suo denaro in tre parti e ne investa un terzo in terra, un terzo in affari e un terzo lo tenga come riserva.

Il Talmud è uno dei testi sacri dell’ebraismo. Talmud è una parola ebraica che significa letteralmente “studio”; ma indica, in sostanza, un grande libro. La raccolta di commenti e pareri alle norme etiche, giuridiche e rituali del popolo ebraico.

Tra queste informazioni c’è anche una vera e propria “consulenza” finanziaria che possiamo agevolmente traslare nella nostra realtà personale.

Alcune persone interpretano il terzo da allocare in terra come la moderna prima casa, il terzo in affari il moderno mercato azionario, il terzo come riserva il moderno mercato obbligazionario o monetario. Per gli antichi questa terza gamba era coperta con l’oro, una deviazione sul tema che affascina ancora oggi molti investitori che vedono il metallo giallo come vera riserva di valore.

Come tradurre in investimento i dettami del Talmud

Negli Stati Uniti, Meb Faber è uno dei grandi fan di questa strategia,  il principio è stato tradotto in 33% in asset reali (immobili o REITs), 33% in azioni e il resto in obbligazioni. Unico accorgimento il ribilanciamento annuale.

Se ci pensiamo la realtà, involontariamente, si muove nella direzione del consiglio che ci offre il Talmud.

Un recente rapporto Consob dice che il patrimonio finanziario degli italiani dai 25 ai 65 anni mediamente non supera mai il 50% del patrimonio totale. L’altra metà di una ricchezza media di poco inferiore ai 300 mila euro è patrimonio immobiliare.

Sotto questo punto di vista noi italiani pecchiamo forse di eccessivo amore verso il mattone, vedendolo come un’alternativa alla sicurezza della riserva monetaria. E purtroppo pecchiamo anche di eccessiva prudenza nell’investimento, visti i bassi livelli di possesso di strumenti azionari nei nostri portafogli.

Il Talmud ci ha offerto quindi una bella consulenza gratuita su come dovremmo gestire il nostro patrimonio.

Ma come si è mossa nella realtà questa speciale asset allocation?

Utilizzando i dati di backtest di Curvo.eu, ho ricostruito l’asset allocation con ETF che investono a livello globale su immobiliare, azionario e obbligazionario, con l’unica accortezza di scegliere la classe eur hedged, quindi a cambio coperto, per la componente obbligazioni. Il periodo di analisi è quello che va dal 1989 al 2022.

Pesando per un terzo ciascuna asset class di portafoglio i risultati parlano da soli.

Il Talmud portfolio ha ottenuto un rendimento inferiore di solo lo 0,3% all’anno rispetto all’azionario, con volatilità e massima perdita ridotta di un terzo.

Fonte: Curvo.eu, Fred.gov e rielaborazione dell’autore

Il confronto con le altre asset class evidenzia un vantaggio del Talmud Porfolio in termini di rendimento aggiustato per il rischio (quello che i tecnici chiamano Sharpe Ratio) rispetto all’andamento dei Reits, quindi dell’investimento nell’attività del real estate; rimane comunque l’obbligazionario lo strumento migliore dell’ultimo trentennio relativamente a quanto rischio abbiamo corso per ottenere un certo rendimento.

Ma forse mai come in questo caso il passato difficilmente si ripeterà nelle stesse forme in futuro. Obiettivamente il dato obbligazionario risulta viziato dal fatto che sono stati praticamente 32 anni di discesa dei tassi (e quindi salita dei prezzi delle obbligazioni).

Fonte: Curvo.eu

Anche Meb Faber arrivò alle medesime conclusioni in uno studio condotto nel 2014. Il Talmud portfolio offriva un eccellente risultato, soprattutto se messo a confronto con l’azionario.

Fonte: https://mebfaber.com

Ho però cercato di andare oltre quello studio aggiungendo due ingredienti cari agli italiani. L’oro al posto delle obbligazioni e, soprattutto, l’asset fisico per eccellenza, la casa.

Cosa succede cambiando qualche ingrediente

Per quello che riguarda il portafoglio Talmud “oro” il risultato è stato praticamente lo stesso, con una volatilità leggermente superiore ma quasi insignificante. Quindi mettere oro oppure bond avrebbe prodotto lo stesso risultato.

Utilizzando i dati presenti all’interno di FRED.gov, il database della Federal Reserve, ho potuto ricostruire le performance nominali medie dei prezzi degli immobili italiani, nominali e reali.

Pur con le solite considerazioni che si tratta di una media e che quindi non può essere adattata a tutte le zone del paese, ho scoperto che in termini nominali i prezzi degli immobili italiani sono saliti del 2,7% nel periodo 1989-2022, ma al netto dell’inflazione solo di un modesto 0,1%.

Le case italiane tengono effettivamente il passo dell’inflazione, ma non vanno oltre.

Ho quindi sostituito i Reits con la performance delle abitazioni italiane e verificato cosa sarebbe successo seguendo alla lettera il consiglio del Talmud di possedere la terra.

Il confronto non è equo, lo ammetto. I Reits incassano rendite dai propri immobili, mentre in questo caso non ho considerato rendita da affitto (ma nemmeno costi e tasse), ma solo la variazione di prezzo dell’asset.

Al netto di questa considerazione che comunque prevede un certo attivismo da parte dell’investitore immobiliare per ottenere una forma di rendita passiva, questa scelta di investimento diretto sulla cosa sarebbe comunque “costata” all’investitore italiano quasi 400 mila euro in poco più di 30 anni.

Ancora una volta abbiamo la conferma di concetti che ribadiamo ormai da quasi 10 anni su questo blog e che uno dei primissimi articoli di questa lunga storia riportò fin da subito.

Stare quasi fermi  (il ribilanciamento è annuale e ogni portafoglio di investimento deve contemplarlo come strumento di gestione del rischio), con gli ingredienti giusti, diversificando tra classi di investimento non esclusive, armati di tanta pazienza, rappresentano fattori vincenti nel lungo periodo.

Esattamente quei fattori che servono per raggiungere gli obiettivi di vita e finanziari che dovrebbero sempre riempire le prime righe di un buon piano finanziario.

Buon investimento

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