
Le aziende quotate americane cercano in tutti i modi di entrare nell’indice S&P500 – un po’ come i giochi sadici della fortunata serie TV “Squid games”
Una critica che ci viene rivolta spesso è che il nostro modo di lavorare, costruendo portafogli prevalentemente con ETF, è un investimento “passivo”.
Tradotto: non richiede grandi sforzi e vi fate pagare per selezionare degli strumenti che potrebbero essere individuati da chiunque.
Insomma, saper selezionare, utilizzare e ribilanciare strumenti passivi come gli ETF è un gioco da ragazzi.
Eppure, sappiamo (e da queste colonne ne abbiamo scritto a più riprese) come l’investimento attivo, tramite i fondi, sia una mezza presa per i fondelli, una specie di “chimera”. Non è possibile che un gestore di un fondo di investimento riesca sempre a stare sopra il suo benchmark, che lo “batta” al netto dei costi.
Questo perché, se prendiamo ad esempio lo S&P500 come benchmark di un fondo azionario USA, riuscire a “battere” la performance di un indice – che è la risultante di milioni di decisioni prese da milioni di investitori nel mondo giornalmente – è letteralmente impossibile da parte di una singola persona.
Nonostante 10 analisti al suo servizio e pur facendo parte di una grande casa di produzione di fondi, l’evento è altamente improbabile.
Ci puoi riuscire in un determinato periodo, ma non sai mai se è per fortuna o perché il gestore sia stato “bravo”. E lo sai, comunque, sempre dopo, mai in anticipo.
Il valore della gestione passiva
Ma venendo alla critica di cui prima, mi vorrei soffermare sul concetto che investire in un ETF è un investimento “passivo”.
Non lo è e vediamo il perché.
Warren Buffett raccomanda sempre, a chi lo segue e agli investitori nel suo conglomerato Berkshire Hathaway, di investire la maggioranza dei propri risparmi in un ETF che replica l’andamento dell’indice azionario americano per eccellenza, lo S&P500.
Da un punto di vista storico è un ottimo consiglio.
Sappiamo già che da decenni i gestori che scelgono singoli titoli per noi all’interno di un singolo fondo sottoperformano cronicamente lo S&P500.
Invece l’ETF che replica lo S&P500, ci fa esporre sempre a quei pochi titoli che generano la grande maggioranza dei ritorni dell’indice stesso.
Sempre da queste colonne, abbiamo scritto che sono pochi i titoli, in un determinato periodo dentro i 500 dello S&P500, che determinano la performance dell’indice stesso.
Nell’ultimo decennio, sono stati i soliti noti: Apple, Microsoft, Amazon, Google Alphabet, Nvidia, Tesla, Meta.
Ma lo si poteva sapere 10 anni fa? La risposta è no.
E si conoscevano in anticipo i titoli che nel decennio precedente a questo hanno portato il 90% della performance dell’indice. La risposta è ancora no.
La tabella seguente indica quali sono stati i titoli più importanti a livello borsistico nello S&P500 nei vari decenni dal 1980.
È incredibile come lo S&P500 sia davvero rappresentativo di un’economia che cambia in continuazione: è il senso dell’imprenditoria USA, non esiste un’azienda che domini per sempre e rimanga per sempre il titolo più “pesante” dell’indice.
Chi avrebbe mai immaginato che IBM non sarebbe più stata l’azienda leader dell’economia USA negli anni 80 e 90? E General Electric (che addirittura è uscita anche dall’indice Dow Jones a favore di Salesforce)?
In Italia, invece, i titoli che rappresentano maggiormente il nostro FTSEMIB30 sono praticamente da sempre: ENI, ENEL, Intesa, Unicredit, Generali, Mediobanca, FIAT (pardon, Stellantis).
Non mi sembrano esattamente aziende innovative e dinamiche, giusto? Non è un caso che l’indice azionario italiano non vada da nessuna parte da decenni ormai.
Lo stile di investimento passivo non è passivo
Viene quindi descritto come passivo l’investimento in un ETF perché lo si compra e lo si mantiene per un periodo anche abbastanza lungo del proprio orizzonte temporale facendo pochissimo trading.
Ma, nel nostro caso, molta attenzione va messa al ribilanciamento del peso di questo stesso ETF dentro il portafoglio, per evitare scostamenti eccessivi del peso dello S&P500 nel portafoglio.
Ma si ribilancia solo quando e se serve. Non per fare market timing.
Al di là del valore aggiunto del ribilanciamento dei pesi degli ETF all’interno di un portafoglio, è importantissimo comprendere che comprare un ETF sullo S&P500 non è come comprare 500 aziende e rimanere investiti in quelle stesse 500 aziende in maniera statica.
Chi produce l’indice, ovvero l’azienda S&P Dow Jones, ci dice che da gennaio 1995 ad Aprile 2022 sono state aggiunte le azioni di 728 aziende e ne sono state rimosse 724.
Questo si chiama turnover azionario dell’indice e fa parte dei ribilanciamenti periodici che lo S&P500 deve attuare per stare sempre “aggiornato” sulle 500 aziende quotate più rappresentative del mercato azionario USA (di titoli quotati tra il New York stock Exchange ed il Nasdaq ce ne sono oltre 3000…lo S&P500 ne seleziona “solo” 500 e sono le migliori e più capitalizzate aziende americane e, direi, del mondo).
Come si fa ad entrare nello S&P500?
Vi risparmio il paper metodologico (ma se volete leggervelo è qui); vi basti sapere che per poter entrare nello S&P500 è necessario:
- Avere delle capitalizzazioni di mercato (leggi valori borsistico in miliardi di dollari) di un certo livello
- Essere delle aziende con un flottante alto, ovvero che ci siano almeno l’80% di azioni disponibili all’acquisto e non ci sia un azionista che controlla un eccesso di quote dell’azienda (a tal proposito, Tesla non sarebbe mai dovuta entrare, ma le pressioni sono state “alte”)
- Che l’azione risulti liquida, ovvero che ci sia sempre un volume di azioni scambiate di un certo livello
- Che abbia bilanci in positivo da almeno 3 anni
Questo concetto di ribilanciamento e turnover è ritornato all’onore delle cronache con il fallimento di Silicon Valley bank e di Signature bank di qualche mese fa.
A seguito dei due fallimenti, il 15 marzo, le azioni delle due banche sono state tolte dall’indice e rimpiazzate rispettivamente dalle azioni delle aziende Insulet e Bunge (di cui ignoro il modello di business, ma ciò che è importante è che rispecchino i criteri per poter entrare nello S&P500).

Insulet, azienda operante nei devices medical per i diabetici, ha rimpiazzato Silicon Valley Bank

Bunge ha invece rimpiazzato Signature bank ed opera nel settore agroalimentare
Questi due cambiamenti sono stati poi seguiti dal ribilanciamento trimestrale che viene effettuato per controllare che tutte le aziende quotate dentro l’indice rispettino i parametri di cui sopra.
Lumen Technologies è stata rimpiazzata da Fair Isaac (tra l’altro una azione “value” che utilizziamo nei nostri portafogli in single stocks per finalità di recupero delle minusvalenze. Salita moltissimo negli ultimi tempi prima del suo ingresso nell’indice…salita ancora da quando abbiamo cominciato a farla uscire dalle nostre indicazioni, ma visto che le minusvalenze erano state recuperate non aveva senso tenere single stocks in portafoglio – ma sto divagando e ovviamente questo non è una raccomandazione di acquisto in quanto mancano le indicazioni di base per valutare il profilo di rischio di ciascun lettore).
Di norma, ogni anno, ci sono circa 26 azioni che escono e 26 per mantenere la composizione precisa e qualitativa dello S&P 500.

In blu il numero di azioni che entrano ed in arancione che escono dall’indice dal 1995
L’importanza del ribilanciamento
Questo turn-over è importante perché permette all’indice di incorporare aziende che non esistevano quando fu lanciato nel 1957. Queste aziende includono Apple, che fu aggiunta nel 1982, Microsoft, nel ‘94, Google nel 2006, Amazon nel 2005 e Tesla aggiunta nel 2020.
Che conclusioni possiamo trarre a questo punto da tutta questa disamina?
Innanzitutto, che scegliendo la metodologia dello S&P500, la più testata e qualitativa di tutti gli indici azionari americani, questo tipo di turn-over permette a nuove aziende, e soprattutto nuove società in crescita, di entrare nell’indice e di far uscire aziende che non sono più vitali e dinamiche.
Alcuni dicono che l’indice azionario americano 500 abbia una tendenza ad incorporare aziende in forte crescita “growth” o che abbia una strategia “momentum” (ovvero che faccia entrare solo le azioni delle aziende che stanno salendo in quel momento).
Può darsi, ma il senso di creare un indice come questo è quello di seguire l’andamento della crescita delle aziende nuove e “vecchie”, ma soprattutto quelle nuove, e di farci esporre alla crescita di queste stesse aziende.
C’è anche da dire che spesso e volentieri le aziende all’interno di questo indice acquisiscono altre aziende sempre rappresentate in questo indice. Poiché le aziende acquisite vengono tolte dall’indice, si potrebbe anche pensare che lo S&P500 diventa sempre più solido e diversificato con il passare del tempo.
Per essere chiari, S&P Dow Jones non ha creato l’indice S&P500 per costruire un portafoglio di azioni che generi dei ritorni incredibili.
Se volete ne è la conseguenza. Ciò che sta cercando di fare è di mantenere un indice che rifletta al meglio la performance delle più importanti e grandi aziende americane e delle loro azioni.
Bisogna dare loro credito che stanno facendo un ottimo lavoro, è veramente un indice che rappresenta le più importanti aziende emergenti in crescita che vanno a rimpiazzare la vecchia guardia.
Questo è davvero un aspetto centrale del concetto di crescita del capitalismo.
Ed è a questo concetto che ci esponiamo comprando un ETF sullo S&P500.
Buon investimento!