Dopo questo post abbiamo deciso di continuare a dare evidenza a cosa sarebbe successo a quegli investitori che si fecero trascinare dalla bolla della new economy nel 2000 e che eroicamente hanno resistito finora con il denaro investito sui mercati senza farsi prendere da panico o pessimismo.
Come si vede dalla tabella il ritorno annuo composto a 15 anni vede i bond vittoriosi sull’azionario in tutti e quattro i paesi analizzati, Giappone, Italia, Germania e Stati Uniti.
In termini nominali (ma anche reali) è indubbio che i titoli di stato italiani hanno offerto i maggiori rendimenti, ma questo sembra anche essere logico alla luce dei tassi di interesse più elevati offerti dal nostro paese. Sorprende piuttosto in termini reali il 4,1% offerto dai Bund tedeschi i quali hanno distanziato di quasi 1 punto percentuale dai Treasury americani, segno che il rentier di Berlino ha tratto un grande beneficio dall’unificazione e soprattutto dalla nascita dell’Euro. Questi dati sono tutti in valuta locale quindi non tengono conto di un’eventuale effetto cambio.
Per quello che riguarda l’azionario Italia fanalino di coda con un ritorno reale negativo del 1,4%, mentre gli Stati Uniti hanno riportato un ritorno reale del 2,7% annuo e del 4,8% nominale che rappresenta la metà del ritorno annuo medio composto del periodo 1928-2014. Un quindicennio che nonostante tutto quello che abbiamo visto negli ultimi 6 anni è ancora da definire sottotono.
Ci sono però degli elementi interessanti che vogliamo segnalare ed il Giappone potrebbe insegnare molto anche agli investitori europei, tema già affrontato qui.
I tassi decennali governativi sistematicamente sotto al 2% degli ultimi 15 anni non hanno causato nessun danno nei portafoglio obbligazionari dei giapponesi (tutti i dati sono espressi in valuta locale lo ricordiamo), ritornando agli stessi lo stesso rendimento annuo che acquistarono nel 2000, un tasso che senza l’effetto killer dell’inflazione ha creato le premesse per un guadagno annuo anche in termini reali.
Ma attenzione andrebbe anche posta all’azionario. Non necessariamente tassi bassi creano le condizioni perché l’azionario faccia meglio dei bond ed a fronte di questa incertezza (e della certezza di una volatilità maggiore), la saggezza del buon investitore impone sempre un adeguato bilanciamento di portafoglio. A questo bisognerebbe aggiungere anche la lezione della diversificazione geografica, una scelta che avrebbe permesso ai giapponesi di contrastare quel tipico fenomeno chiamato “home bias” aumentando il rendimento effettivo del proprio portafoglio di investimento.
Potrebbe succedere che in futuro niente di tutto questo si avvererà, però abbiamo un caso di studio molto concreto, quello giapponese, al quale l’Europa per motivi demografici si sta avvicinando a grandi passi. Niente panico e nessuno scenario devastante di fronte a noi, si vivrà anche con bassi tassi di interesse e si riuscirà a far fruttare comunque il proprio capitale. Equilibrio, diversificazione e un corretto livello di aspettative di rendimento vi permetteranno di costruire un buon portafoglio per fronteggiare gli inevitabili rischi che i prossimi anni ci riserveranno, anni che però ne siamo sicuri offriranno anche tante opportunità, basterà essere lì pronti e lucidi a raccoglierle.