Abbiamo già parlato qui della semplicità di replica di un portafoglio globale scelta certamente interessante per chi vuole allineare i propri investimenti a quelle che sono le capitalizzazioni mondiali delle varie asset class scambiate sui mercati finanziari. Sempre con riferimento all’importanza della diversificazione qui abbiamo celebrato l’assoluta inadeguatezza di uno stile di investimento “home bias” che privilegia azioni/bond nazionali a quelli internazionali.
Ringraziando Meb Faber per la cortesia estraggo dal suo libro Global Asset Allocation: A Survey of the World’s Top Asset Allocation Strategies (English Edition) un’idea di Global Portfolio soprattutto per valutarne il comportamento nel periodo 1973-2013 e fare alcune considerazioni.
Quello che vedete qui sotto è un’approssimazione di come dovrebbe essere composto un portafoglio globale composto per un 40% da azioni internazionali, da un 53% di bond e da un 7% di asset reali spalmati tra titoli indicizzati all’inflazione e immobiliari.
Mancano le commodities anche per la difficoltà a misurare qual è il loro peso tra gli asset finanziari scambiati a livello mondiale, ma Faber ha provato a fare un test anche con il 5% di commodities e riducendo proporzionalmente il peso di tutto il resto.
Il grafico ci mostra l’andamento del Global Market Portfolio (GMP) rispetto alle altre tre principali asset class. Ma gli spunti interessanti vengono andando a spulciare tra i numeri.
Il GMP ha ottenuto dal 1973 al 2013 un ritorno annuo composto di appena 31 punti base più basso rispetto all’azionario americano, ma con una volatilità identica a quella dell’obbligazionario (8,45%), due elementi che fanno balzare il GMP ad uno Sharpe Ratio (ovvero quanto siamo stati ripagati per unità di rischio) di 0.55. Anche il massimo drawdown si presenta decisamente interessante e pari alla metà di quello azionario americano.
Nella finestra temporale 1973-1981 in cui l’inflazione esplose e i tassi di interesse cominciarono a salire, il GMP fece meglio sia di azioni che di bond americani in termini reali, mentre dal 1982 al 2013 il distacco dall’azionario si dimostrò limitato.
Come detto in precedenza Faber ha testato lo stesso portafoglio inserendo 5 punti percentuali di commodities, ma i cambiamenti sono stati veramente poco degni di nota; Identico il rendimento leggermente smussata verso il basso la volatilità. Se proprio si dovesse fare una considerazione questa potrebbe essere legata all’andamento migliore conseguito dal portafoglio globale comprensivo di commodity nel periodo 1973-1981, quello della fiammata inflazionistica. Il ritorno annuo in questo caso fu del -1,55% in termini reali contro il -2,97% del classico portafoglio globale, il -3,9% dell’azionario americano e il -5% dei bond.
Ovviamente questo portafoglio è solo uno dei tanti che potrebbero essere creati per avere un’esposizione ai mercati internazionali, ma quello che è interessante secondo me è l’evidenza del grande beneficio di riduzione del rischio che questo tipo di investimento diversificato è riuscito a generare nel corso degli ultimi 40 anni finanziari. Per un investitore italiano sempre molto restio nell’investire al di fuori dei confini nazionali può essere almeno un’opzione su cui riflettere.
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