Sono giusti i numeri che periodicamente osserviamo per capire quanto hanno reso i soldi investiti sui mercati?
La maggior parte dei risparmiatori, quando vuole scoprire il rendimento di un investimento, utilizza come riferimento principale le informazioni indicate nel documento riepilogativo della banca o alla sezione online “I miei investimenti”. Sentimenti di esaltazione o depressione si alternano sulla base dell’andamento di questi numeri. Pensiamo (erroneamente) che quello indicato è il capitale disponibile se oggi vendessimo tutto in un colpo solo.
Ma qual è la vera performance dei miei investimenti?
Un bel giorno mi sono posto una domanda che condivido con tutti i lettori di Investire con Buonsenso. Ma qual è la vera performance dei miei investimenti?
Più passa il tempo e più mi rendo conto che, come investitori nonché clienti dei vari intermediari finanziari sparsi per l’Italia, tendiamo a essere poco esigenti.
Poco esigenti nei confronti di istituzioni verso cui gli italiani continuano ad avere una specie di timore reverenziale.
Sarà frutto di un retaggio storico, ma questo senso di sudditanza psicologica verso il mondo della finanza è ingiustificato. Anche perché paghiamo per avere in cambio un servizio che deve essere di qualità; quindi semmai dovrebbe essere quel mondo a trattarci con i guanti di velluto.
La maggior parte delle persone continua a pensare che i servizi offerti da banche e reti di promozione finanziaria (pardon, un lapsus, di consulenza finanziaria) sono gratis. Il motivo è facilmente spiegabile. Materialmente non viene prodotta nessuna fattura con relativo addebito sul nostro conto corrente.
E ci sbagliamo di grosso.
I servizi finanziari non sono gratis (anche quando lo sembrano)
Gli intermediari finanziari sono tenuti obbligatoriamente a inviare periodicamente a ogni cliente un documento riepilogativo dei costi sostenuti durante l’anno dal cliente stesso per mantenere presso di loro i propri investimenti. Questa È la fattura.
Vi consiglio di andare a recuperare l’ultima fattura cartacea (mi piace chiamarla così), oppure dentro la casella di posta elettronica dove ricevete le comunicazioni, o da qualche parte nell’home banking. Temo che avrete delle brutte sorprese.
Vi avviso, la ricerca potrebbe non essere agevole. A differenza del lancio iper pubblicizzato di qualche inutile prodotto finanziario super costoso (ovviamente inutile per voi) che assume sembianze sensuali magari accompagnate da musichette motivanti e video in stile Hollywood, il report costi ha le forme tipiche di un documento scialbo e noioso, messo lì giusto per adempiere a quella rompiscatole della normativa che impone agli intermediari la massima trasparenza sui costi.
Ma quando lo trovate, stampatelo, salvatelo sul desktop e portatelo sempre con voi quando andate a fare visita al vostro consulente di fiducia.
Le performance non sono date dalla semplice differenza prezzo di vendita meno prezzo di acquisto
La maggior parte delle persone pensa poi che le performance da investimento rendicontate sempre dall’intermediario di turno su presentazioni digitali o cartacee più o meno patinate, sono quelle reali. Vero, ma fino ad un certo punto.
Ci sono interi gruppi di lavoro all’interno delle banche dedicate allo studio di grafica e posizionamento dei numeri all’interno di questi documenti. Anche il sottoscritto in passato ha partecipato a riunioni di questo tipo (tremendamente barbose e al solito ricche di inglesismi completamente inutili visto che sono messi lì solo per darsi un tono). Lo scopo di queste riunioni è sempre lo stesso. Cercare di adempiere alla normativa vigente cercando di indirizzare i nostri occhi e la nostra attenzione su certi punti del documento rispetto ad altri un pò più scomodi.
Sicuramente la maggior parte dei lettori di questo blog sa già come muoversi, ma il messaggio che deve passare è che dovremmo essere più esigenti.
Quello che solitamente viene rendicontato non è il reale valore del nostro patrimonio finanziario investito su obbligazioni, azioni, fondi, polizze, ETF o tanto altro ancora. Quei valori non rappresentano i soldi che potremmo spendere domani mattina se decidessimo di liquidare tutto.
Qualche suggerimento per migliorare la rendicontazione
Faccio un esempio concreto. Le performance che vediamo scritte nei documenti riepilogativi di qualsiasi dossier titoli, quasi mai sono indicate al netto della tassazione. Praticamente mai vengono indicate al netto dell’effetto negativo dell’inflazione. Per non parlare di quei fondi chiusi (che qualcuno definisce esclusivi) dove gli aggiornamenti dei prezzi e quindi delle valutazioni possono essere mensili o in alcuni casi semestrali. Poi ci sono le polizze assicurative dove non sempre le penali di uscita sono esplicitate in modo limpido creando un simpatico effetto sorprese quando decidiamo di riprenderci i nostri soldi.
L’unica informazione netta che troviamo in una valorizzazione di prodotti finanziari giornalmente quotati, è quella relativa ad un capitale già depurato da salatissime commissioni di gestione che abbiamo pagato confidando nella mitologica gestione attiva. Quella gestione attiva che in precedenti articoli abbiamo visto essere difficilmente in grado di battere la gestione passiva di un investimento nel lungo periodo.
So già la critica che mi viene mossa a questo punto. Indicare in un documento la performance al netto delle imposte sui guadagni non è corretto, almeno formalmente parlando. Le imposte si applicano infatti solamente al momento del realizzo. I costi dei prodotti invece vengono prelevati giorno per giorno.
Corretto, però aiuterebbe avere un’idea di quanto effettivamente potremmo spendere domani con i soldi che abbiamo investito oggi. Un disclaimer in più sulla natura non definitiva del dato non sarebbe un grosso problema vista la lenzuolata di avvertimenti che accompagna di solito ogni documento.
Comprendo anche che il concetto di potere reale d’acquisto ridurrebbe (e di parecchio) il risultato finale, soprattutto di tanti portafogli prudenti o comunque ad elevata componente obbligazionaria. Creando un po’ di imbarazzo in chi fino a quel momento ha professato l’investimento finalizzato alla conservazione del capitale.
Proviamo a ricostruire la “vera” performance degli ultimi 15 anni
Ma come ben sapete su questo blog la trasparenza non manca. Ne abbiamo già parlato in questo articolo, ma ho deciso di esplicitare numericamente a beneficio di tutti cosa porterebbe a casa oggi un investitore dopo aver decurtato dalla propria performance nominale tasse e inflazione. L’investitore è reale, visto che negli ultimi 15 anni ha potuto effettivamente acquistare gli ETF sulle principali asset class di investimento oggetto di analisi. Abbiamo la fortuna di avere strumenti passivi con una storia lunga, sfruttiamoli. Se avete investito in fondi di investimento il risultato andrà probabilmente peggiorato (e non di poco) per difetto.
Solo qualche premessa doverosa. L’investimento si presume unico e senza versamenti aggiuntivi, dalla data di partenza a quella di arrivo. I riferimenti sono alla data del 14 ottobre 2022. Le performance riportate sono tutte total return, ovvero comprensive di cedole e dividendi reinvestiti. Le performance sono calcolate su prodotti quotati e quindi già al netto di tutti i costi degli ETF. Le uniche due voci di costo che non ho considerato sono l’imposta di bollo sui titoli e le commissioni di negoziazione. L’aspetto fiscale tiene conto dell’attuale normativa e per semplificare non tiene conto dei periodi transitori di precedenti normative fiscali. L’unica distorsione temporale dell’analisi è legata al dato reale degli immobili italiani che confronta il prezzo di aprile 2022 con l’inflazione di settembre 2022.
Cominciamo.

Fonte dati: JustEtf, FRED, Inflationtool.com
Le asset class che ho preso in considerazione sono di varia natura. Globali, ma con qualche focus particolare sull’Europa, per quanto riguarda l’asset class obbligazionaria e monetaria, e sull’Italia per quello che riguarda il prezzo degli immobili.
Le perfomance nominali raccontano che negli ultimi 15 anni, a parte i prezzi delle case italiane mediamente in calo del 7%, tutto ha guadagnato. Anche (e ovviamente) l’inflazione italiana che in termini cumulati è stata del 30%. Circa un terzo del potere d’acquisto delle banconote che gelosamente custodiamo sotto il materasso è stato perso per strada. Rispetto a 15 anni fa 100 euro hanno oggi un potere di acquisto di 70 euro.
Tra le performance più basse realizzate in 15 anni annotiamo anche quelle di un deposito monetario (3%) e delle commodities (20%). E con l’inflazione al 30% avete probabilmente già capito quanto fallimentare sia stato investire in queste classi di investimento.
Oro, azionario globale e private equity hanno ottenuto un rendimento in tripla cifra. Se però facciamo un passettino indietro verso le performance a 10 anni, scopriamo che l’oro ha beneficiato dal 2007 al 2012 di rendimenti clamorosi che hanno indubbiamente influenzato i rendimenti. Numero comunque superiore di quasi 5 volte a quello realizzato dal mercato obbligazionario che a sua volta sta mettendo in archivio quella che negli ambienti finanziari viene chiamata “decade persa“. Un sentito grazie alle politiche dei tassi reali negativi delle banche centrali.
Cominciamo a togliere qualcosa
Facciamo adesso un primo passo verso la maggiore trasparenza delle performance. Tutto quello che è in guadagno lo rendiamo netto, togliendo l’imposta sui guadagni. Il 12,5% sulle obbligazioni governative, il 26% su tutto il resto. Le performance negative rimangono uguali.

Rielaborazioni dell’autore su dati fonte JustEtf e FRED
La “dieta” fiscale ridimensiona (e di parecchio) i sogni dell’investitore.
Il +170% guadagnato su un ETF azionario globale, a distanza di 15 anni si trasforma in +126%. Il +200% sull’oro diventa +148%.
Quanto è importante tenere conto di questa informazione l’abbiamo già capito. Ipotizzando di essere partiti 15 anni fa con 100mila euro, in 10 secondi (il tempo di fare click sulla vendita dello strumento) siamo passati da un patrimonio virtuale di 270mila euro a uno effettivamente accreditato sul conto corrente di 226mila, se guardiamo ad esempio al nostro ETF azionario globale.
Ecco che una delle buone regole dell’investitore di buon senso fa capolino. Mai disinvestire per il gusto di farlo.
Se stiamo portando avanti un piano ben preciso e l’obiettivo è ancora lontano, uscire dallo strumento scelto per pagare un sacco di tasse allo stato è semplicemente una sciocchezza. Rimandiamo il più possibile l’evento, se possiamo, facendo lavorare a pieni giri la capitalizzazione composta degli interessi.
Ma andiamo avanti. Se pensiamo che sia finita qui ci sbagliamo.
Trasformiamo il gruzzoletto in reale potere d’acquisto
Sul nostro conto sono statti accreditati 226mila euro se siamo stati felici possessori di ETF azionari globali negli ultimi 15 anni; oppure 137mila se abbiamo preferito le obbligazioni europee.
Prendiamo il malloppo e felici come delle Pasque siamo pronti a spenderli, avendo magari in testa i prezzi di qualche anno fa. Devo dire che sui prezzi delle case abbiamo tutti i motivi per essere giulivi. I prezzi sono addirittura più bassi. Ottimo affare non acquistare immobili negli ultimi tre lustri.
Su tutto il resto arriva però una brutta notizia. Ci tocca passare sotto un’altra tagliola fiscale, questa volta invisibile e che di nome fa inflazione.

Rielaborazioni dell’autore su dati fonte JustEtf e FRED
Riprendiamo l’investimento sull’azionario globale. Siamo partiti da una valorizzazione sul nostro deposito titoli di 270mila euro (ipotizzando di aver investito 100mila). Va bene, abbiamo donato al fisco 44mila euro, ma abbiamo fatto il nostro dovere di bravi cittadini. Ritrovarsi alla fine dei giochi con 174mila euro ci destabilizza un attimo. E lo capisco. Nominalmente avremo 226mila euro, ma effettivamente in termini di quanto potere d’acquisto avremo con quei soldi, scenderemo a 174mila.
Prima di deprimerci dobbiamo però guardare alle cose positive emerse da questa analisi e di cui dovremmo fare tesoro quando investiamo.
Le azioni (come l’oro) hanno tenuto il passo dell’inflazione offrendoci un ricco premio reale del 74% in 15 anni.
Le obbligazioni hanno tutto sommato tenuto il passo dell’inflazione senza generare nessun premio sostanziale anche se gli ultimi anni stanno mettendo a dura prova questo assunto.
La casa italiana non ha tenuto il passo dell’inflazione. Anzi in termini reali un immobile medio italiano ha perso oltre un quarto del suo valore negli ultimi 15 anni.
Vero che azioni e obbligazioni pagano dividendi e cedole, ma l’oro no se guardiamo alla casa come riserva di valore.
Diverso il discorso se abbiamo messo a reddito (in affitto) l’immobile. In questo caso è stata però necessario un certo attivismo da parte nostra nel gestire l’investimento. Gestione degli inquilini, delle spese ordinarie e straordinarie, le tasse. Attivismo che non ci viene richiesto quando investiamo con un ETF o un fondo.
Il rendimento reale non è uguale a performance meno inflazione
Siccome qualcuno criticherà la correttezza aritmetica dei numeri riportati è giusto spiegare perché il rendimento reale non è esattamente il rendimento nominale meno l’inflazione. O meglio lo sarebbe se i due valori, performance e inflazione, fossero molto vicini tra loro. Cerco di spiegare meglio questo concetto con un esempio.
Se ottengo un rendimento del 10% sull’investimento e l’inflazione è al 3%, superficialmente potremmo dire che il rendimento reale è del 7%. In realtà la formula matematica per calcolare il tasso di rendimento reale è la seguente:
Rendimento Reale = (1+tasso di rendimento)/(1+tasso di inflazione) – 1
Il risultato di questa operazione ci dice che nel nostro caso il rendimento reale è del 6,8% e non del 7%.
Questo accade perché performance e inflazione sono composti. Il guadagno reale non viene calcolato sul 100 iniziale, ma partendo da 103 ovvero dal capitale a cui sommiamo l’inflazione del 3%. Solo da lì in avanti guadagniamo soldi visto che il 3% lo abbiamo già perso a causa dell’inflazione.
Infatti 103 + 7% (ipotetico e non corretto rendimento reale) determina come risultato 110,2 e non 110 ottenuto da 100+10%. Invece 103 + 6,8% fa uscire proprio quel 110 dal quale siamo partiti all’inizio.
Differenze modeste e irrilevanti sono d’accordo. Ma quando gli anni passano con performance e inflazione che cominciano a diventare in doppia se non in tripla cifra, queste modeste differenze diventano imponenti.
Per cercare di rendere ancora più limpido il concetto, ho utilizzato questo calcolatore per ottenere il dato della performance dell’indice S&P500 negli ultimi 15 anni.
Concentriamo lo sguardo sul rendimento complessivo ottenuto reinvestendo i dividendi (qui i dati sono al lordo delle tasse). La performance non aggiustata per l’inflazione dell’S&P500 (prima immagine) è stata del 230,9%. La performance aggiustata per tenere conto della perdita di potere d’acquisto (seconda immagine) del 133,4%.
L’inflazione cumulata americana in questo periodo è stata del 42,8% ed è la vera responsabile di questa severa potatura nel rendimento. Rendimento che non passa da 230% a 188% (230%-42%), ma bensì ad un ben più magro 133%.
Siamo arrivati in fondo a questa opera di rendicontazione più accurata che ci permette di guardare con sano realismo all’andamento dei nostri investimenti. Esistono ancora dei rivoletti di guadagno che si disperderanno nel corso degli anni (vedi ad esempio imposta di bollo), ma il grosso è fatto.
Difficilmente l’intermediario finanziario metterà nostra disposizione questi concetti in futuro. Non è semplicissimo me ne rendo conto. Ma se disponiamo delle informazioni corrette di performance (quindi non solo delle variazioni di prezzo ma anche di cedole e dividendi incassati) possiamo riuscire a ricostruire ed approssimare di quanto è cresciuto veramente il valore di un investimento. Lo scopo è non avere pessime sorprese quando ritireremo il denaro investito.
Utilizzando questo calcolatore online possiamo determinare l’inflazione cumulata italiana in un certo periodo.
Utilizzando questo calcolatore possiamo invece determinare la performance reale dell’investimento. Inserendo la performance nominale al netto delle imposte e il dato di inflazione cumulata trovato sopra, finalmente sveleremo il vero risultato di tutto il nostro impegno finanziario. Un pò di fatica ma ne sarà valsa la pena.
Buon investimento.
Interessante.
Sull’immobiliare italia vorrei contribuire dicendo che l’affitto medio annuo e’ intorno al 6% del valore dell’immobile. Quindi, se prima casa, dovremmo aggiungere al rendimento un 90% (e’ sbagliato perche’ lineare e non composto) come mancata uscita. A questo 90%, a dire il vero, dovremmo togliere sicuramente le spese di manutenzione ord. / straord. che difficilmente saranno oltre il 40% del valore dell’immobile. Ecco che l’asset class torna positiva.
Grazie e buona giornata.
Mancano ancora le tasse e l’inevitabile tasso di morosità (come per le obbligazioni corporate i tassi di default). Aggiungerei anche il costo del tempo perso se la gestione di un immobile non è la nostra attività primaria, valore del tempo al quale tendiamo a dare poca consistenza sbagliando. La sintesi è che se non sei un professionista del ramo o se comunque non ti interessi della materia e la segue, l’immobiliare difficilmente riesce a competere con il mercato azionario. Almeno questo racconta la storia fino ad oggi.
Ciao, cosa intendi con “mercato obbligazionario che a sua volta sta mettendo in archivio quella che negli ambienti finanziari viene chiamata “decade persa“”?. Grazie, saluti
Per decade persa si intende un periodo di 10 anni nel quale un investimento non produce rendimenti positivi. Ad esempio tra il 2002 e il 2012 il mercato azionario ha vissuto una decade persa. Il mercato obbligazionario al lordo dell’inflazione, come puoi apprezzare dalla prima tabella nella colonna performance a 10 anni, è molto vicino al rendimento zero. In termini reali, quindi al netto dell’inflazione, siamo già in piena decade persa.
Complimenti per i vostri articoli. Livello sempre alto. Pochi (o nulli) esempi simili in lingua italiana. Grazie ancora.
Grazie Samuele il tuo commento apre la settimana nel migliore dei modi! Da quando è nato questo blog (ormai nel lontano 2014…) abbiamo sempre cercato di unire originalità e concretezza nel presentare i nostri pensieri su come interpretare la finanza personale e gli investimenti. Esercizio non facile e soprattutto non portatore di “clic” in un mondo come quello finanziario tendenzialmente un pò noiosetto se raccontato al netto di fumo e sogni vari. Ma l’importante è arrivare al sodo e siamo quindi noi a ringraziare te per questa splendida recensione.