By |Categorie: Educazione finanziaria, Investimento|Pubblicato il: 17 Aprile, 2023|

Il concetto di rischio e rendimento è uno di quei passaggi chiave del mondo dell’educazione finanziaria di base che una efficace spiegazione può rendere comprensibile alla maggior parte delle persone. Con vantaggi innegabili per il proprio patrimonio, presente e futuro.

Mi rendo conto che il titolo dell’articolo di oggi potrebbe creare un po’ di confusione abbattendo alcune granitiche certezze. Ma questo blog è qui anche per questo e per offrire gratuitamente a tutti i nostri lettori dei contributi che possano aiutarli a migliorare la gestione delle proprie finanze personali.

Il pensiero che va per la maggiore. Alto rischio uguale alto rendimento

La scuola di pensiero dominante è quella che, in maniera un po’ grossolana, ad alto rischio abbina alta ricompensa finanziaria. E nella maggior parte dei casi è così.

Utilizzando i dati del recente rapporto annuale Credit Suisse Global Investments Return Yearbook 2023 provo a sintetizzare il concetto per i meno esperti.

Dal 1900 al 2022 investire 1 dollaro americano in azioni, obbligazioni e liquidità avrebbe prodotto risultati diversi.

1 dollaro, per assurdo, investito nel 1900 in azioni USA si sarebbe trasformato in 70.211 $ a fine 2022.

Se investito in obbligazioni si sarebbe trasformato in 269 $; se investito in Bot sempre americani avrebbe assunto le sembianze di 60 $.

L’indice dell’inflazione si è fermato nello stesso periodo temporale a 35. Tutte le classi di investimento hanno mantenuto potere d’acquisto. Una prima confortante risposta.

Tradotto in rendimenti annui composti le azioni sono cresciute in 122 anni di storia delle borse americane del 9,5%, le obbligazioni del 4,7%, la liquidità del 3,4% e l’inflazione del 2,9%.

Perché ho citato l’inflazione? Perché in termini reali i valori effettivi di 1 dollaro investito nel 1900 cambiano (e di parecchio) riducendo anche i rendimenti annui. Rispettivamente per azioni, obbligazioni e liquidità al 6,4% per anno, 1,7% e 0,4%.

Questa lunga premessa per capire che il cosiddetto risk free, ovvero l’investimento nel titolo di stato più sicuro al mondo, nel lungo periodo ha il rendimento più basso e può far crescere solo leggermente il potere d’acquisto del nostro dollaruccio iniziale.

L’investimento in obbligazioni è rischioso (e nel 2022 ce ne siamo accorti), ma rende normalmente più della liquidità grazie ad un premio per il rischio legato prevalentemente ad una scadenza più lontana.

L’investimento in azioni è ancora più rischioso ma nel lungo termine, solitamente, periodo rende più delle obbligazioni. Sempre e ovviamente se l’investimento azionario è ben diversificato.

C’è rischio e rischio

Rischioso significa volatile, ballerino, instabile anche se la parte di rischio che veramente preoccupa un investitore è solo quella negativa, quella in cui perde una parte o tutti i soldi.

Ci sono poi altre forme di rischio con cui ogni investitore deve fare i conti. Uno lo abbiamo salutato di sfuggita poco fa e si chiama inflazione. Un altro potrebbe essere quello di non riuscire a raggiungere gli obiettivi fissati in partenza.

Se un indice azionario globale offrisse le stesse aspettative di rendimento di un titolo di stato a breve termine nessuno investirebbe nello strumento più volatile e instabile, ovviamente.

Se le obbligazioni con scadenze più lontane rendessero stabilmente meno (come oggi) di quelle a breve scadenza nessuno sarebbe disposto ad assumersi il rischio di acquistare titoli di Stato a 30 anni.

Se gli investitori decidono di indirizzare i propri risparmi verso le classi di investimento più volatili è perché si assumono il rischio di essere probabilmente ripagati in futuro con rendimenti superiori al risk free.

E questo rischio deve essere ricompensato con un premio.

Non sempre la ricompensa è adeguata

Il premio è quel margine di 6 punti percentuali che in 122 anni di storia ha reso l’investimento azionario più performante di quello monetario, oppure quel margine di poco più di un punto percentuale che ha reso l’obbligazionario più redditizio della liquidità.

Purtroppo non ci è dato sapere in anticipo quando riscuoteremo quel premio.

Esiste una seppur remota possibilità che anche dopo 30 anni il premio per il rischio azionario non venga incassato o che risulti inferiori al previsto.

Nel 2017 i due celebri ricercatori americani Fama e French pubblicarono un paper dal titolo “Volatility Lessons“.

Fonte: Volatility Lessons – Fama, French, 2017

In quello studio venne creato un modello che simulava la probabilità che il premio per il rischio del mercato azionario (rispetto al mercato monetario) risultasse negativo. In pratica il risultato rappresenta quante volte le azioni potrebbero fare peggio del Bot americano.

Il modello indicava che a distanza di 1 anno nel 36% dei casi il premio per il rischio delle azioni risultava negativo.

A distanza di 3 anni nel 28% dei casi l’azionario faceva peggio del free risk.

A distanza di 30 anni esistevano 4 possibilità su 100 che il premio per il rischio azionario non esistesse.

Le aspettative di rendimento sono quindi il motore che muove gli investitori verso certe classi di investimento.

Cosa rappresenta il premio per il rischio azionario

Il cosiddetto Equity Risk Premium, sommato al rendimento delle obbligazioni prive di rischio, genera il rendimento atteso per un certo mercato.

Quando per i nostri clienti costruiamo un piano finanziario, che si tratti di accumulo o di decumulo del capitale, facciamo girare le simulazioni sulla base di rendimenti attesi e non su dati storici. Le condizioni di mercato cambiano nel tempo. Fare progetti di investimento azionario nel 2000 ha aspettative di rendimento ben diverse rispetto a quelle fatti nel 2009, indipendentemente dal fatto che non conosciamo i rendimenti futuri delle varie asset class. Lo stesso discorso vale per le aspettative di rendimento di un investimento obbligazionario del 2020 rispetto a quelle del 2023.

Per andare ad esempio sul mercato azionario americano, il Professor Aswath Damodaran della New York University pubblica da anni un rigoroso rapporto che stima il premio per il rischio azionario e il rendimento atteso.

L’ultimo aggiornamento di fine 2022 ha fatto balzare il rendimento atteso della borsa americana vicino al 10% annuo nominale, grazie al combinato ribasso nelle quotazioni azionarie e obbligazionarie (quindi rialzo dei rendimenti privi di rischio).

Saliti i rendimenti delle obbligazioni, salite quindi le attese di rendimento per le azioni che nel 2021 incorporavano un rendimento atteso ai minimi degli ultimi 60 anni (5,7%).

Fonte: Damodaran online

Questi valori sono naturalmente delle approssimazioni che non hanno la pretesa di rappresentare ciò che per un’obbligazione rappresenta il rendimento a scadenza (al lordo di eventuali rischi di insolvenza) se il bond è mantenuto fino alla fine della sua vita. Inoltre questi numeri cambiano nel corso dei mesi. Oggi il rendimento atteso delle borse è inferiore rispetto a quello di quattro mesi fa.

Esistono diverse metodologie e le stesse metriche vengono utilizzate per intere aree economiche o singoli paesi.

Ad esempio il premio per il rischio che viene attribuito dal Prof Damodaran all’azionario globale è di 2 punti percentuali superiore (7,98% vs 5,94%) rispetto a quello attribuito alla borsa americana.

Naturalmente la contropartita ad un maggior premio atteso dagli investitori è una maggiore volatilità dei rendimenti e quindi delle borse ex USA.

Quello trattato finora è il premio per un rischio che l’investitore azionario (oppure obbligazionario) decide di correre in cambio di una promessa non garantita, ma probabile, di maggiore rendimento rispetto all’investimento privo di rischio.

Questa tipologia di rischio, che troviamo ad esempio acquistando un classico ETF che replica l’indice azionario globale, si chiama rischio non diversificabile o sistematico.

Rischio sistematico e rischio idiosincratico

Quando sentiamo parlare di rischio del mercato azionario (e relativo premio per il rischio) si fa riferimento proprio al cosiddetto rischio sistematico o non diversificabile. Se il mercato è fortemente efficiente non c’è modo di ridurre questo rischio in quanto tutte le informazioni sono già incorporate nei prezzi.

Quando invece decidiamo di acquistare una singola azione andiamo incontro al cosiddetto rischio idiosincratico o diversificabile o non compensato.

Acquistando una singola azione, che chiameremo ICBS, potremmo avere un’aspettativa di rendimento del 8% annuo.

Acquistando il mercato globale l’aspettativa potrebbe essere la medesima.

Ci sono molte più cose che possono andare storte nell’investimento in ICBS. Disastri ambientali, conti truccati, il CEO che scompare in qualche paese sudamericano, un nuovo prodotto completamente sbagliato e così via.

Il mercato globale al suo interno avrà tante aziende che prese singolarmente soffriranno di questi rischi specifici. Ma assemblate tutte assieme queste aziende compenseranno i rischi che ovviamente non possono materializzarsi tutti nello stesso momento per tutte le società presenti nell’indice.

Mettendo i nostri soldi in una sola società quotata in borsa correremo il rischio di perdere tutto in caso di fallimento della stessa.

Il mercato nel suo complesso non può fallire e, nonostante in 122 anni due borse come quella cinese e russa sono scomparse dalla circolazione per un po’ di tempo (l’equivalente del default), il mercato globale azionario, come abbiamo visto all’inizio, ha reso il 9,5% all’anno.

Il rendimento di un’azione fallita sarebbe invece zero.

Appare abbastanza ovvio che, per il principio della diversificazione, aumentare il numero delle azioni sulle quali investiamo i nostri risparmi riduce il rischio di una perdita totale. Per questo parliamo di rischio diversificabile.

Un rischio che può essere eliminato diversificando non viene remunerato dal mercato, zero premi.

In questo caso si dice che il rischio non viene ricompensato.

Quando acquistiamo un’azione o un gruppetto di azioni, le motivazioni devono essere altre (ad esempio tentare il recupero delle minusvalenze pregresse, oppure un flusso di alti dividendi stabili per avere una rendita periodica), ma non possiamo attenderci a priori rendimenti superiori a quello del mercato azionario nel suo complesso.

Più aumenta il numero delle azioni che possediamo, minore è la quantità di rischio non compensato. Fino ad azzerarlo totalmente quando acquistiamo l’intero indice di mercato.

Non è solo la singola azione che ha questa caratteristica di rischio non compensato.

Altri rischi non ricompensati dal mercato

Altro esempio di rischio non compensato è quello che coinvolge il rischio valutario.

Quando acquistiamo un titolo emesso in dollari americani possiamo guadagnare o perdere dall’apprezzamento del biglietto verde contro euro. Esiste però la possibilità di eliminare questo rischio. La copertura o hedging.

Quando un rischio può essere eliminato, come abbiamo già visto non viene ricompensato dal mercato.

E infatti all’occhio fine di un esperto valutario non sfuggirà che un titolo di Stato a 10 anni americano (o un ETF) a cambio coperto e un Bund a 10 anni analoga scadenza hanno praticamente lo stesso rendimento.

Questo spiega anche perché nel lungo periodo l’esposizione al rischio valutario non offre sostanziali vantaggi rispetto all’investimento nello stesso asset ma a cambio coperto.

Il beneficio maggiore lo riceve proprio l’investimento dove il rischio valutario è eliminato visto che la volatilità è minore e il rendimento atteso è lo stesso.

Se può avere senso mantenere aperto un rischio di cambio sul mercato azionario per effetto della presenza di numerose aziende globali che possono avere impatti sugli utili e la competitività dal movimento dei cambi, l’investimento obbligazionario ha poche ragioni per essere esposto al rischio di cambio (non partecipiamo a nessuna crescita globale degli utili), se non per motivazioni di natura tattico-speculativa di breve e medio periodo.

Fondi o ETF iperspecializzati soffrono della stessa sindrome da rischio non compensato.

Si acquistano settori o temi di investimento magari concentrati in pochissime azioni per cavalcare una nuova tendenza di mercato.

Quando le azioni sono numericamente poche, il rischio “attivo” che si prende l’investitore non può contemplare nelle attese di rendimento un premio superiore rispetto a quello del mercato nel suo complesso.

In parole semplici ci stiamo prendendo dei rischi inutili perché anche in questo caso il rischio concentrazione può essere diversificabile e quindi non verrà ricompensato dal mercato.

Qualcuno di voi nei commenti riporterà sicuramente l’esempio di Amazon, Apple, Tesla e altre azioni che hanno avuto ricompense ben più alte di quelle del mercato. Potrei controbattere con General Electric, General Motors o qualche banca italiana che pascola ben lontana da quelle performance ottenute negli ultimi 10, 20 o 30 anni dalle borse mondiali.

Il problema è sempre il solito. Non sappiamo in anticipo quali saranno le azioni vincenti dei prossimi 10 anni. Non conosciamo in anticipo i fondi o i temi di mercato vincenti dei prossimi 10 anni.

Sappiamo solamente che il rischio di non sapere è facilmente eliminabile. Con una maggiore e corretta diversificazione.

Buon investimento.

3 Commenti

  1. Nico 20 Aprile 2023 at 16:02 - Reply

    Sempre ottimo, grazie Dott. Biagi, le auguro una buona giornata

  2. Nico 19 Aprile 2023 at 16:33 - Reply

    Nel farvi i complimenti per l’ennesimo interssante articolo approfitto per chiedervi se, proprio parlando di rischi forse non troppo ricompensati, specie in questo particolare momento, fosse saggio o opportuno liberarsi del tutto o in parte dei gobal reits..proprio considerando i problemi del settore specifico e non fosse invece il caso di allocare il tutto su rischio globale. Vi ringrazio anticipatamente per la vostra consueta cortesissima disponibilità.

    • Lorenzo Biagi 19 Aprile 2023 at 17:19 - Reply

      Grazie Nico. Domanda interessante e ti sarai già letto il nostro articolo dedicato proprio ai Reits https://investireconbuonsenso.com/2023/01/13/viaggio-negli-investimenti-alternativi-i-reits/. Ti posso dire che la risposta alla tua domanda è dipende. C’è molto dibattito attorno al fatto che i Reits rappresentino un fattore di investimento che come il value e le small caps hanno un loro distinto premio di rendimento che diversifica quello del mercato inteso nel suo complesso.
      L’esposizione ai Reits è già compresa negli indici globale per circa un 3% e questa va sempre considerato. Se un investitore è proprietari di diversi immobili oltre la prima casa la risposta sarebbe puoi evitare (anche se ci sarebbe da aprire un capitolo a parte circa il rischio di possedere immobili nel paese dove si vive e lavora). Se invece questo caso non esiste rimane valida l’idea che l’esposizione ad un settore correlato sì all’azionario ma non certamente legato a doppio fila possa servire come diversificatore del rischio e del rendimento. E quando i problemi diventano “mainstream” ricordiamoci sempre che il mercato ha già scontato nei prezzi con largo anticipo gli eventi, anche quelli negativi.

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