Il mercato degli ETF è in costante crescita, quasi inarrestabile. I lamenti di chi vede distorsioni e inefficienze sui prezzi delle azioni e delle obbligazioni, a causa delle sempre più numerose strategie passive che minerebbero alla base la stessa esistenza delle strategie attive, non mancano.
Ho scritto di recente un articolo sul tema, ma questi strilli volutamente allarmistici arrivano prevalentemente da chi con la gestione attiva ci campa grazie a generose commissioni di varia natura. Quindi, con tutto il rispetto, valgono decisamente molto poco essendo viziate da conflitto di interesse.
Ma siccome questo blog da sempre è considerato uno dei più obiettivi sul tema degli investimenti, mi pare giusto cercare di vedere se ci possono essere delle criticità nella crescita costante degli ETF.
La principale critica mossa agli ETF
La critica principale mossa agli ETF (e ai fondi passivi in genere) è quella di rendere sempre meno efficiente la formazione dei prezzi sui mercati finanziari. Ma è veramente così? E soprattutto ci sono ricerche che hanno dimostrato che gli ETF stanno provocando danni collaterali sui mercati?
Cominciamo a chiarire cosa rappresenta oggi il mercato dei fondi passivi, ETF compresi.
Il mercato delle strategie passive è cresciuto ad un ritmo annuo del 16% annuo negli ultimi 10 anni. Oltre 9 trilioni di dollari sono investiti su strumenti che replicano un indice ma dal 2019, con le nuove regole di semplificazione nel collocamento degli ETF adottate dalla SEC americana, il processo di conversione di fondi attivi in ETF ha subito una forte accelerazione spingendo ancora più in alto il numero degli strumenti passivi. Un combinato di amore per lo strumento passivo a basso costo e una mai sopita domanda degli investitori di strategie attive, sta creando una miscela perfetta che rilanci i fatturati dell’industria del risparmio gestito. Che quasi sempre fattura con attivi e con passivi.
La crescita dei prodotti passivi è innegabile e la preoccupazione sotto un certo punto di vista può essere giustificata.
I dati che emergono dall’Investment Company FactBook 2022 ci dicono che negli Stati Uniti i fondi a gestione attiva hanno visto scendere la quota di mercato dal 79% delle masse amministrate del 2011 al 57% del 2021.
ETF e fondi non sono il mercato
Attenzione. Ho scritto fondi. I fondi di investimento possiedono circa il 30% delle azioni americane. Di questa quota il 16% sono fondi indice e ETF. I restanti due terzi delle azioni americane sono posseduti direttamente da hedge fund, fondi pensione, assicurazioni e privati cittadini.
Una tendenza che appare ormai consolidata è quella di investitori istituzionali che stanno continuando ad aumentare la quota di passivi nelle loro strategie.
In Italia gestioni patrimoniali in ETF, polizze unit linked e multiramo con sottostanti ETF, fanno ormai parte dei cataloghi di offerta della maggior parte delle banche e reti di promozione finanziaria.
Qui si apre quello che Ben Felix in un suo video recente dedicato proprio al “caso” dei fondi indice, ha richiamato come paradosso di Grossman-Stiglitz. Questa teoria introduce l’idea che, poiché le informazioni sono onerose, i prezzi non possono riflettere perfettamente le informazioni disponibili, dal momento che, se lo facessero, coloro che hanno speso le risorse per ottenerle non riceverebbero alcun compenso; portando perciò alla conclusione che un mercato efficiente dal punto di vista informativo è impossibile.
Per l’investitore medio investire in strumenti passivi rimane la scelta ottimale. Nessuno lo può negare. Rendimento di mercato, bassi costi, semplicità e accessibilità.
Ma questa democratizzazione degli investimenti paradossalmente rischia di distruggere proprio l’efficienza dei mercati finanziari nel momento in cui tutti gli investitori diventano per assurdo passivi. E se i mercati perdessero la loro efficienza allora per l’investitore medio il portafoglio ottimale diventerebbe quello a gestione attiva, con i bravi gestori capaci di catturare e sfruttare a proprio vantaggio le sempre maggiori inefficienze.
Come hanno dimostrato diversi studi, se i gestori attivi aumentano numericamente e la competizione è maggiore tra operatori super preparati, i margini per fare meglio del mercato diminuiscono (e non aumentano) evidenziando una sempre più alta numerosità di gestori incapaci che verranno poi espulsi. Che è esattamente quello che le statistiche stanno snocciolando da tempo.
Non è ancora arrivato il momento di abbandonare la gestione passiva per quella attiva
Un’interpretazione grossolana di quello che potrebbe essere il momento di abbandonare il passivo a favore dell’attivo è che questo momento arriverà quando più della metà dei gestori attivi sarà in grado di battere il mercato. Fino ad allora ogni allarme di troppo denaro che sta affluendo verso il passivo sarà privo di fondamento.
A giudicare dai numeri siamo ancora molto lontani da questa situazione. Nel 2022 il 51% dei gestori di fondi americani ha sottoperformato l’indice S&P500, l’89% dei gestori europei ha sottoperformato l’indice S&P Europe 350. Per l’America potremmo essere alla svolta? Dubito molto, visto che a distanza di 3 anni la percentuale di gestori incapaci di battere il mercato sale al 74%.
Non è, come dico da tempo, un problema di competenze dei gestori. È un problema di troppa competizione tra gestori molto preparati.
Gestori che devono sperare in una migrazione di incapaci verso le strategie passive (in parte sta già accadendo come vedremo tra poco) per far emergere le loro qualità con un valore aggiunto che ripaga adeguatamente l’investitore al netto dei costi. Che in Italia, come abbiamo spiegato nella nostra guida definitiva ai costi dei prodotti finanziari, non sono bassi.
C’è chi dice, come il Professor Eugene Fama, che paradossalmente questo renderebbe ancora più efficiente il mercato. Coloro che fanno scommesse sbagliate sul mercato escono a quel punto dall’arena, lasciando campo libero a chi fa le scelte corrette.
E siccome le statistiche ancora oggi raccontano che l’alpha negativo (quindi l’incapacità di battere il mercato da parte delle strategie attive) è dominante, evidentemente c’è ancora troppo capitale allocato nelle gestioni attive.
Non è stato quindi raggiunto un livello di inefficienza del mercato tale da consentire ai gestori attivi di sfruttare queste sacche di opportunità. Il mercato è ancora molto efficiente. Perciò il passivo non ha ancora superato livelli di guardia tali da minare l’efficienza stessa dei mercati nel loro complesso.
Come dice un altro mostro sacro della finanza americana, Burton Malkiel autore del libro “A spasso per Wall Street” potremmo anche arrivare ad avere il 99% dei prodotti finanziari in ETF, ma quel 1% di fondi attiva renderebbe efficiente il mercato perché si muoverebbe cercando di trarre profitto da quelle che considera opportunità di arbitraggio. E poi diciamocelo chiaramente. Nell’animo di ogni investitore c’è quel senso di scommessa che mai verrà sopito e che in percentuali variabili verrà sempre fuori. Impedendo agli ETF di prendersi il 100% della torta.
Le strategie passive favoriscono le big cap
Altra critica mossa alla gestione passiva è quella di gonfiare i prezzi delle azioni maggiormente capitalizzate a discapito di quelle più piccole. Non è così.
Quando 1 euro arriva su un ETF che investe, ad esempio, nelle principali azioni mondiali, quell’euro viene spalmato proporzionalmente su tutte le società contenute nell’indice e quindi il prezzo si muoverà per tutte nella stessa misura visto che saranno mantenute le proporzioni.
Nel caso invece di una gestione attiva le distorsioni sono maggiori perché legate alle scelte soggettive dei gestori di sovrappesare certi titoli a discapito di altri. E infatti l’unica asset class nella quale è stata provato un impatto significativo dell’avvento dei passivi sono le small caps. La migrazione da attivo a passivo ha comportato un calo nei prezzi di quei titoli che risultano sovrappesati dai gestori attivi. Esattamente il contrario di quello che racconta la narrativa degli anti ETF.
In definitiva non esiste al momento nessun buon motivo provato scientificamente per parlare di bolla sugli ETF. Una dinamica che invece rischia di creare qualche problema agli investitori è l’avvento della nuova gestione attiva costruita con i prodotti passivi. Tema che timidamente, ma neanche tanto, si sta facendo avanti anche in Italia
Il rischio non è la bolla degli ETF, ma i prodotti che contengono ETF
Nel 2022 il 66% degli investitori ha trasferito una quota parte del proprio capitale da fondi attivi a fondi passivi secondo la recente indagine “The 10th Annual 2023 GLOBAL ETF INVESTOR SURVEY” condotta da Brown Brothers Harriman, uno dei più importanti depositari di strumenti di investimento al mondo.
L’’indagine, condotta tra investitori istituzionali americani, europei e cinesi, ha messo in evidenza che il 41% degli investitori americani e il 25% di quelli europei hanno oggi più di un quarto dei capitali investiti in ETF.
Di questo campione Il 36% degli intervistati prevede di portare gli ETF tematici a rappresentare una percentuale compresa tra l’11% e il 20% del portafoglio. Per il 22% degli investitori americani questa percentuale potrebbe arrivare perfino al 50%. Questo significherebbe raddoppiare le masse collocate di tematici sul mercato.

Fonte: BBH – The 10th Annual 2023 GLOBAL ETF INVESTOR SURVEY
Se l’investimento sostenibile ESG continua a rappresentare per almeno la metà dei partecipanti al sondaggio (325 istituzionali di cui il 40% gestisce oltre 1 miliardo di dollari) un tema che verrà incrementato nei portafogli della clientela, internet e l’intelligenza artificiale hanno un’attrattività maggiore.
Ma la vera tendenza emergente sembrano essere gli ETF attivi. Per ora solo il 5% del totale degli ETF in circolazione è a gestione attiva, dal sondaggio di BBH emerge però che l’82% dei rispondenti sta pianificando di inserire questi ETF all’interno dei portafogli.
Diversi di questi prodotti attivi altro non sono che vecchi fondi prossimi all’espulsione dal mercato che hanno ritrovato nuova vita cambiando l’etichetta. Ma lo stesso impiego massiccio di strategie tematiche (ESG compreso che non dimentichiamolo si basa su una selezione di titoli effettuata con rating discrezionali, a differenza dei fondi SRI che applicano solo filtri di esclusione ma che potrebbero a loro volta includere filtri ESG) rende sempre più attivo il campo degli investimenti passivi.
La bassa diversificazione (di società e settori) che caratterizza molti ETF, costi maggiori e valutazioni mediamente più alte della media, rendono in alcuni casi tanto attiva la gestione di un prodotto passivo quanto quella praticata su un classico fondo di investimento.
I confini sempre più labili tra le due strategie possono creare confusione tra gli investitori che in alcune situazioni confondono gli ETF di “mercato” con altri ETF decisamente più specializzati.
Non sono la stessa cosa e non lo sono nemmeno il rischio e la ricompensa finale. Attenzione quindi a quella mole di marketing finanziario che nel 2023 e soprattutto nel 2024 coinvolgerà questa tipologia di ETF. Non tutto sarà da scartare forse, ma una buona parte sì.
Come la buona educazione finanziaria insegna, si deve sempre partire dalle noiose ma efficaci basi.
Man mano che il patrimonio cresce altri strumenti passivi più specializzati potranno trovare spazio, ma sempre con un occhio attento a diversificazione, rapporto tra rischio e rendimento atteso, costi.
Quello che ho voluto raccontare con questo articolo è che le strategie più consolidate (e magari poco eccitanti) non sono una bolla speculativa e non rischiano di distruggere i mercati finanziari.
Altre strategie, sempre gestite con strumenti cosiddetti passivi, stanno crescendo e vanno comprese e maneggiate con cura per rischi impliciti che nulla hanno a che fare con l’efficienza dei mercati.
Ma c’è un grandissimo equivoco alla fine di tutto questo discorso.
In realtà il passivo vero e proprio non esiste. Vero, acquistando un ETF compro un paniere di azioni e non faccio nulla da qui in avanti per partecipare alle performance di questo mercato. Più passivi di così non si può.
Ma se escludiamo gli ETF replicanti di indici celebri (ma anche su questo ci sarebbe da discutere), tutti gli altri ETF copiano indici che dentro di loro hanno dei criteri discrezionali di selezione delle società, criteri scelti da qualche provider di indici.
In questo caso esiste quindi una forma di attivismo, questo è innegabile. E poi, quanti sono gli investitori che comprano solo ETF su S&P500 o Msci World? Alzi la mano chi non ha mai inserito qualche altro tassello per integrare il proprio portafoglio di investimento.
A quel punto ogni deviazione dall’asset allocation del cosiddetto “mercato” fa parte di una strategia attiva. Certo non quell’attivismo sfrenato di chi all’interno di un indice acquista solo le azioni che vengono reputate “migliori” per tutta una serie di motivi, ma di investitori passivi puri io non ne conosco.
Il rischio non è quindi quello della scomparsa dell’efficienza dei mercati a causa degli ETF. Io (e non solo il sottoscritto) vedo un altro rischio a dire il vero.
I legislatori e la comunità finanziaria tutta dovrebbero porre grande attenzione all’eccessivo potere in sede di assemblea degli azionisti che potrebbero raccogliere nelle loro mani società come BlackRock, Vanguard, State Street, tanto per citare le tre big del mondo ETF. Una quota sempre maggiore di partecipazioni a disposizione di soggetti finanziari istituzionali potrebbero alterare le normali regole del capitalismo moderno. Questo sì che è un elemento da monitorare con grande attenzione al quale porre rimedio finché siamo in tempo.
Buon investimento.
Buongiorno AW (faccio fatica ad abituarmi alle cose nuove), solito illuminante articolo, ma non so se sia stato per mia disattenzione, ma non ho più trovato aggiornamenti al tuo portafoglio. Possibile che tu abbia deciso di non farlo per mancanza di novità/cambiamenti o anche per non favorire proprio questa attitudine comune a tanti investitori di stare lì a giochicchiare e provare a fare il piccolo chimico della situazione con la propria Asset Allocation. Ma mi interessava se possibile avere un tuo parere circa l’affrancamento. Tu hai affrancato? Non trovando articoli sul sito che ne parlano, devo ritenere che dai per scontato che sia conveniente farlo, oppure il contrario.. :D non ci sono vie di mezzo :D un caro saluto e grazie all’ennesima potenza!!
Ciao Erreffe sempre un piacere interagire con te ovviamente.
Dunque. Per il portafoglio, sempre molto gettonato vedo e la cosa mi può fare solo piacere, ho già risposto ad un lettore ai margini di questo articolo https://investireconbuonsenso.com/2023/06/02/le-cose-non-sono-come-sembrano-a-cosa-bisogna-prestare-attenzione/
Stesso discorso per quello che riguarda l’affrancamento che, come sempre, dipende. Ti rimando ai commenti che ho già espresso qui https://investireconbuonsenso.com/2023/05/22/gestori-di-fondi-il-paradosso-dellessere-troppo-bravi/ con un link ad un video interessante del prof.Coletti.
Un carissimo saluto ricambiato.
Ti ringrazio, sempre gentilissimo a rispondermi, ma questa volta sei stato troppo democristiano :D si scherza, capisco i limiti imposti dalle normative e i problemi che potrebbero scaturire.. sarà (anzi è) che sono al momento in fase analfabetismo funzionale, ma la mia mente si rifiuta di capire e i tanti articoli letti e il video del prof che avevo visto non mi hanno chiarito del tutto dove potrebbero risiedere le insidie. Solo a titolo di cronaca, il mitico portafoglio di AW ha richiesto l’aff? Un ri-carissimo saluto sempre con infinita stima
Vedo che hai compreso benissimo la situazione. Il mitico ptf continua a veleggiare senza nessun pit stop al momento -)