By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 27 Marzo, 2015|

Doug Short è un attento osservatore delle valutazioni dei mercati azionari (il Q Ratio tra tutti) quindi vale la pena commentare la sua pubblicazione di inizio marzo su bond ed equity per contestualizzare il tutto ed adattare (come da tempo stiamo dicendo) le aspettative dei risparmiatori.

doug shortCome già commentato qui il P/E di Shiller ha toccato livelli che ragionevolmente non dovrebbero alimentare attese di rendimento annuo a “doppia cifra” in un arco temporale di 5-10 anni per chi mette adesso sui mercati il proprio capitale. Doug Short ha combinato il P/E con i tassi decennali andando a posizionare la vignetta gialla nell’estrema sinistra di una storia dei mercati finanziari vecchia di oltre 130 anni. Chiaramente siamo in territorio inesplorato, su questo non ci sono dubbi e le medie storiche ha senso prenderle come riferimento con una certa dose di buon senso. Finanziariamente parlando però quello attuale non è un contesto mai visto e come scrive correttamente Short, tassi decennali sotto al 3% e P/E sopra 20 li abbiamo già visti nel 1936-1937.
Con tutti i limiti di questo esercizio di backtest può essere utile vedere la storia di un investimento fatto nel 1936 a distanza di 5, 10, 20 e 30 anni. In quel momento i tassi monetari (T-Bill) erano molto bassi (0,17%) e i TBond decennali offrivano un rendimento del 2,59%.
Di seguito la scaletta di tassi monetari ed obbligazionari.

1936Fonte dati: Robert Shiller database

Salta subito all’occhio come i tassi decennali e monetari non si mossero in modo sostanziale nel periodo.
La tabella successiva ci mostra i ritorni annui composti di S&P500, T-Bill e T-Bond. Nei 10 anni successivi al 1936 si registrarono 5 annate negative sui mercati azionari ed 1 annata negativa sul mercato obbligazionario (il 1941).

1936-2Immagino che a questo punto qualcuno cominci a pensare che non è saggio investire nell’azionario a questi livelli visti i precedenti storici; come spesso ripeto su questo blog tutto dipende dai vostri obiettivi e dal vostro orizzonte temporale. Torniamo perciò indietro nel tempo ed immedesimiamoci in un investitore americano che festeggia il Capodanno il primo gennaio 1937. Il 2 gennaio va in banca e decide di destinare i suoi risparmi per il 60% al mercato azionario e per il 40% a quello obbligazionario. Vediamo a distanza di 5, 10, 20 e 30 anni cosa sono diventati in termini nominali quei denari.

1936-3Fonte dati: Damodaran e Robert Shiller

Nonostante 5 anni durissimi per l’azionario con quattro anni negativi su cinque ed una remunerazione monetaria nulla, la perdita annua del primo lustro post 1936 fu del 3,5% grazie al cuscinetto offerto dai bond i quali, seppur con tassi di partenza simili a quelli attuali, riuscirono a limitare le perdite dell’equity (capite cosa vuole dire avere obbligazioni in portafoglio sempre e comunque?). Già a distanza di 10 anni il -3,5% fu ribaltato da un +3,3% annuo che a 20 e 30 anni si espanse al 8,6% e 8.7% di rendimento annuo composto.
Sarebbe un errore però non valutare questi numeri in termini reali ed ecco che ancora una volta l’inflazione esercitò in quegli anni il ruolo di killer soprattutto nel periodo 1936-1946 con un valore medio annuo del 4,4%.

1936-4Diverso il discorso su orizzonti temporali più lunghi dove un ridimensionamento dell’inflazione (2,9% la media 1936-1966) ed una ripresa dei mercati azionari lavorarono a favore degli investitori i quali dopo 20 anni si ritrovarono con un premio reale di oltre 500 punti base. Un trentenne che avesse investito 100 mila Dollari nel 1936 si sarebbe ritrovato a 60 anni con oltre 540 mila dollari in termini reali (1,120 milioni in termini nominali).

Ovviamente non sappiamo se la storia si ripeterà, ma per chi investe ora con orizzonte temporale medio-lungo la preoccupazione non deve tanto andare all’evoluzione dei mercati da qui al 2019-2020 quanto piuttosto al raggiungimento dell’obiettivo finale, ovvero un combinato di risparmio e rendimento tale da sconfiggere prima di tutto l’inflazione.

E’ solo un esempio preso volutamente da un periodo storico concreto che presentava le condizioni monetarie e di valutazione fondamentale di bond ed equity molto simili a quelle che ci troviamo ora. Chi investiva (forse con meno copertura mediatica come ora) si trovava di fronte rendimenti poco invitanti ed azioni care, ma la storia ci ha insegnato (anche passando purtroppo in mezzo ad una guerra mondiale) che investire in quel momento avrebbe comunque fornito nel lungo periodo dei ritorni molto interessanti.

Fonti: Advisorperspectives.com

Leggi anche: Il messaggio in bottiglia del P/E di Shiller

L’importanza dell’orizzonte temporale

Era il 1936 e tutto sembrava caro, la storia continua

2 Commenti

  1. erreffe 28 Marzo 2015 at 11:04 - Reply

    grazie e buon fine settimana! :)

  2. erreffe 27 Marzo 2015 at 18:46 - Reply

    Molto interessante anche questo articolo,come tutti del resto.E’ la conferma che se il piano d’investimento ha un orizz.temporale >20 anni..il timing di ingresso,benchè imprevedibile a priori,è ininfluente sul risultato finale.Mi hai già risposto sul pac azionario che lo lasceresti a cambio aperto,ma se dovessi scegliere tra world (ishares ter 0,2)e acwi (spdr ter 0,4 – db ter 0,5)cosa prenderesti?quel pò di emergenti in piu valgono la pena?grazie e buona serata :)

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