Il fai da te degli investitori non si estinguerà mai. E forse questa non è neanche una cattiva notizia. Passano gli anni e nel mondo della finanza le informazioni aumentano, i processi migliorano, sempre più classi di investimento sono accessibili, i costi si riducono. Tutto molto bello e utile, ma quando la torta diventa più appetitosa aumenta il desiderio di voler assaggiare il pezzo più grande, più gustoso, possibilmente prima degli altri.
La convinzione di poter raggiungere risultati eccellenti in completa autonomia cresce quanto le proposte di visualizzazione che l’algoritmo di YouTube sforna quotidianamente sul tema.
Incontrare un investitore disposto a delegare completamente la gestione dei propri soldi a un terzo, umano o macchina che sia, non è semplice. Ieri come oggi e probabilmente come domani.
Qualche forma di controllo vogliamo continuare ad esercitarla sui nostri investimenti. E questo spiega anche lo scarso successo raggiunto dai robo advisor, spiega perché le gestioni patrimoniali proposte da banche e reti non hanno mai scaldato i cuori dei risparmiatori, spiega perché è quasi impossibile per un investitore medio mantenere per tanti anni lo stesso noioso strumento in portafoglio.
Un po’ di “fai da te” non è necessariamente una cosa cattiva
Il desiderio di personalizzare la “ricetta”, di inventare qualcosa di nuovo, un’alchimia tutta nostra quasi avessimo il controllo (e la sfera di cristallo) su quello che succederà, ci spinge ogni tanto a dare un “aggiustatina” al portafoglio. E come dicevo all’inizio forse questa non è una cattiva notizia.
Possedere e gestire un piccolo “funny portfolio”, come lo definiva il fondatore di Vanguard Jack Bogle, può anche essere terapeutico perché alimenta le nostre emozioni e ci fa sentire protagonisti. Ma soprattutto ci rende consapevoli dei nostri limiti. E quando lo comprendiamo l’esperienza negativa del fai da te si trasforma in educazione positiva per il futuro.
Da blogger finanziario (ormai di lunga data) ho capito che tra le letture più apprezzate dai lettori che frequentano piazze virtuali come questa, ci sono proprio quelle che riguardano le asset allocation dei portafogli di investimento. Proprie o di terzi non importa, l’importante è capire qual è la ricetta vincente secondo il blogger di turno. Ricetta che ovviamente non esiste. E chi vi dice che esiste mente sapendo di mentire.
La scelta sicuramente è costata qualche centinaio di click, ma la decisione del comitato di redazione di Investire con buonsenso di non pubblicare più l’asset allocation di Archeowealth è stata presa anche per far uscire il lettore stesso dalla logica del monitoraggio costante dell’andamento di un portafoglio di investimento che per sua natura ha un orizzonte temporale molto lungo.
Spieghiamo continuamente che dobbiamo essere meno maniacali nel controllare i nostri investimenti; poi siamo i primi ogni tre mesi a rendicontare il valore di questo portafoglio. Ci siamo detti che questa non era una buona lezione di educazione finanziaria.
Partito nel 2015 come esempio di portafoglio di investimento a basso costo con una dota iniziale simbolica di 50mila euro, nella più tradizionale filosofia del compra e tieni l’asset allocation di Archeowealth era diventata un appuntamento fisso ad alto contenuto di interazione con i lettori.
Non era la ricetta giusta, non aveva la pretesa di essere un modello migliore di altri, non era tagliato su misura per nessuno tranne che per il sottoscritto che quel portafoglio l’ha creato e che tuttora gestisco con la stessa filosofia di sempre.
Non esisterà mai la migliore asset allocation
Come scrivo da tanto tempo non esiste una asset allocation ideale. Non esiste un metodo scientificamente provato che ci dice che è meglio mettere X azionario America al posto di Y azionario Europa, tanto per fare un esempio.
Esiste piuttosto quella buona abitudine di distribuire i nostri risparmi tra classi di investimento che devono 1) avere un senso nel condividere il lungo viaggio che le aspetta 2) farci sentire più a nostro agio.
Qualcuno sta già pensando che non pubblico le performance perché il mercato sta scendendo e rischierei una figuraccia. Per i nostalgici posso dire senza nessun problema che l’asset allocation di Archeowealth è viva e vegeta e, nonostante recessione, guerra e bear market, ancora oggi si difende bene con un +35% dalla sua nascita. I 50mila euro sono diventati oltre 68mila con un tasso anno di rendimento annuo composto superiore al 4%. Perfettamente allineato ai miei obiettivi come sa bene chi segue questo blog da anni.
Perché questa lunga introduzione? Perché sono consapevole che ai frequentatori di luoghi virtuali dove si parla di finanza, interessa capire qual è stata la miscela di classi di investimento che ha fatto meglio negli ultimi anni. Ray Dalio con il suo All Seasons? Oppure i Bogleheads? O ancora il Permanent Portfolio?
Oggi rendiconterò (a modo mio) gli ultimi 15 anni dei portafogli più pubblicizzati dai consulenti finanziari americani.
Non è un lunghissimo periodo, ma è un buon 50% dei 30 anni canonici sui quali una persona normalmente imposta un piano di investimento. Ed è anche un buon 50% del tempo trascorso a decumulare capitale durante la pensione.
La storia delle asset allocation più famose d’America
Ho deciso quindi di selezionare 10 delle più celebri asset allocation utilizzate in America.
Nell’ordine il No Brainer Portfolio, il Permanent Porfolio, All Seasons Portfolio, Coffe House Portfolio, Lazy Portfolio, Couch Portfolio, Bogleheads 3 Funds Portfolio, 60/40, 40/60 e 100% azionario. Per ogni portafoglio trovate i link alle descrizioni analitiche delle varie asset allocation.
Il periodo temporale analizzato è quello 2007-agosto 2022.
Tre recessioni in 15 anni con tanto di mercato orso per l’obbligazionario. Direi un buon test per capire alcune peculiarità di questi portafogli.
Solo una doverosa premessa. Tutti i dati sono al netto dei costi dei prodotti (ETF americani), ma al lordo di fiscalità e inflazione.

Fonte: Portfoliovisualizer
La prima tabella elenca le varie asset allocation associando a ciascuna di esse il rendimento annuo composto, la volatilità annua, la perdita massima nel periodo e uno degli indicatori forse più interessanti quando si costruiscono dei portafogli di investimento, lo Sharpe Ratio.
Lo Sharpe Ratio è un numero che ci dice quanto veniamo ripagati per ogni unità di rischio che decidiamo di correre sui mercati finanziari. Più alto è lo Sharpe Ratio, teoricamente più efficiente è l’investimento.
Cercando di tradurre il concetto in parole più semplici, possiamo paragonare lo Sharpe Ratio al grado di soddisfazione che riceviamo da un certo investimento rapportato al livello di preoccupazione che abbiamo maturato durante il periodo.
A parità di rendimento su un investimento in teoria sarebbe sempre da preferire quello che ci darà meno patemi d’animo.
Se siamo su una nave e dal punto A vogliamo arrivare al punto B, pur mettendoci lo stesso tempo, preferiremo una traversata senza mare mosso ad una con intenso moto ondoso. E questo è proprio quello che cerca di comunicarci lo Sharpe Ratio. Questo numero deve però fare i conti con obiettivi, orizzonti temporali, razionalità.
Se assistere ad oscillazioni nei prezzi del 20-30% all’anno non è per noi fonte di preoccupazione la cosa più razionale da fare è investire nei mercati azionari. Sono quelli che offrono il potenziale di rendimento più alto nel lungo periodo senza dubbio.
Se qualche disturbo queste oscillazioni ce lo danno, ecco che arricchire il portafoglio con investimenti più tranquilli aumenterà la nostra soddisfazione complessiva dell’esperienza. Rinunciando naturalmente ad un pezzo di rendimento futuro.
Purtroppo non conosciamo a priori né i rendimenti futuri, né quanto oscilleranno gli stessi durante il ciclo di vita del nostro investimento. Possiamo stimarli, ma prevedere la “ricetta” più gustosa dei prossimi anni è impossibile.
Torniamo alla simulazione. Per ogni indicatore (rendimento, volatilità, massima perdita e Sharpe Ratio) ho selezionato i due portafogli con il numero più alto (più basso solo per la massima perdita).
Essendo presenti nove portafogli bilanciati su dieci, vedere praticamente tutte le luci colorate più intense accanto all’investimento 100% azionario USA è normale.
Rendimento annuo più alto (e non lontano dalla media storica di crescita dell’azionario del 10%), ma anche volatilità (quanto saranno instabili questi rendimenti) più alta.
La cattiva abitudine di guardare solo al rendimento
Cosa significa tutto questo? Significa che in termini di rapporto tra rendimento ottenuto e oscillazioni subite nel corso del tempo l’azionario si è collocato solo al sesto posto.
In termini di esperienza il viaggio ci ha dato grandi soddisfazioni, ma i più emotivi hanno qualche capello bianco in più a causa di una volatilità più elevata. I forti di cuore escono invece con grande gioia da questo periodo.
Quindi la conclusione è che non dovremmo investire tutti i nostri soldi in azionario nel lungo periodo?
Ovviamente non posso dare una risposta non conoscendo la situazione personale e patrimoniale di ognuno di voi. E comunque la risposta è sempre dipende.
Posso dire che durante la fase di accumulazione del capitale può starci un investimento 100% azionario (opportunamente corretto per vicinanza di obiettivi e grado di sopportazione delle oscillazioni di mercato). In questi casi il rischio maggiore è quello di non riuscire a raggiungere i nostri obiettivi, non tanto il quanto si muoveranno i rendimenti ogni anno.
Posso anche dire che nella fase del decumulo investire al 100% in azioni non sempre è la scelta più efficiente. Ma anche in questo caso dipende. Se ad esempio abbiamo intenzione di lasciare tutto il gruzzolo ai nostri eredi, non ci sono particolari rischi nell’avere un investimento prevalentemente azionario durante la nostra pensione. L’importante è che il nostro tenore di vita non risulti essere condizionato dal patrimonio investito e dal suo andamento volatile nel tempo.
Nella maggior parte dei casi la fase del decumulo va comunque gestita con una maggiore attenzione. Essere travolti da una perdita pesante in borsa nella prima fase della nostra indipendenza finanziaria rischia di compromettere in maniera decisiva i piani che accuratamente avevamo disegnato sulla mappa. Non a caso la sequenza dei rendimenti è uno dei nemici peggiori (assieme a tassi di prelievo troppo generosi) di coloro che decidono di vivere di rendita.
Ma torniamo ai nostri “celebri” portafogli. Il miglior rendimento degli ultimi 15 anni, dopo l’azionario 100%, è stato ottenuto dal tradizionale 60% azioni – 40% obbligazioni con poco meno del 7% all’anno di performance annua. Nemmeno questo portafoglio entra però tra i prime tre per valore di Sharpe Ratio, ovvero soddisfazione in rapporto a quanto è stato movimentato il viaggio.
I tre portafogli che invece hanno raggiunto la maggior remunerazione di rendimento in rapporto al rischio sono stati nell’ordine, l’All Seasons di Ray Dalio, il Permanent Portfolio di Harry Brown e il 40% obbligazioni – 60% azioni.
Perché non è corretto basarsi sulle classifiche del passato
Subito salta all’occhio attento del lettore che, per questi tre portafogli, il peso azionario è inferiore al 40%.
Proprio per questo non possiamo sottrarci dal considerare l’irripetibile bull market del mercato obbligazionario delle ultime decadi, come un fattore che ha sicuramente inciso su questi risultati.
Ed ecco un altro buon motivo per non classificare una asset allocation come migliore dell’altra.
Il futuro che ci aspetta sarà diverso dal passato appena vissuto. Sono cambiate le condizioni di fondo. Abbiamo però degli elementi importanti per comprendere come è meglio investire in certe fasi della vita rispetto ad altre.
Non entrerò quindi nelle singole asset class per spiegare il motivo di questi numeri. Sarebbe un esercizio abbastanza inutile non potendo conoscere il futuro e soprattutto non potendo dare per scontato che i prossimi anni si muoveranno sulla stessa linea di quelli del passato.

Fonte: Portfoliovisualizer
Il 3% di rendimento annuo di differenza tra un investimento 100% azionario e il Permanent Portfolio significa che, per ogni 10mila euro investiti in 15 anni, ci sono oltre 10mila euro di plusvalenze mancate o aggiuntive a seconda di dove ci saremmo posizionati. Significa anche oscillazioni nei prezzi più che dimezzate e perdite massime decisamente più contenute. Ma quando sembriamo pronti per trarre una conclusione da tutto questo ecco che accade qualcosa che non ti aspetti.
Con la terza tabella lo scenario cambia nuovamente. Nel periodo 2012-2022 è il 100% azionario l’asset allocation che sale sul gradino più alto del podio non solo di rendimento, ma anche di rendimento aggiustato per il rischio, stravolgendo tutto quello che abbiamo raccontato finora.
Anche in questo caso potremmo dire che guadagnare il 13% all’anno investendo in azioni è un’esperienza irripetibile nella prossima decade. Molto probabile, ma non lo sappiamo. Ecco perché è sempre meglio diversificare tra classi di investimento.

Fonte: Portfoliovisualizer
Tutto questo bel racconto per dire cosa? Per dire che non esiste una asset allocation migliore e una peggiore.
Negli ultimi 10 anni il 100% azionario ha vinto la sfida sia in termini assoluti che in termini relativi aggiustati per il rischio.
Negli ultimi 15 anni invece il risultato migliore, sempre rapportando soddisfazione/preoccupazione, è stato ottenuto investendo solo il 30% del proprio capitale in azioni.
E se ripetessimo l’esercizio su altre scansioni temporali otterremmo risultati ancora diversi. E ogni volta cambieremo idea sulla migliore soluzione per il futuro.
Quello che invece dobbiamo fare è prima di tutto individuare i nostri obiettivi. Di vita e finanziari.
Sulla base di questi obiettivi mettere assieme una serie di strumenti finanziari in grado di trovare un senso finanziario nel convivere assieme (fare le cose a casaccio con i propri soldi non è mai consigliato), consapevoli che nel corso degli anni questo mix cambierà fisionomia sulla base delle nostre condizioni personali e familiari.
La scelta di chi vi scrive di intraprendere la strada della consulenza finanziaria autonoma e completamente indipendente da ogni conflitto di interesse, nasce proprio dall’aver compreso che per un risparmiatore fare quello che ho scritto al paragrafo precedente non è semplice. Una guida esperta in certe situazioni fa risparmiare tempo e soprattutto evita polpettoni finanziari senza capo nè coda.
Dobbiamo investire per essere nella condizione di dormire tranquilli la notte, ma anche di non avere rimpianti. Convinti che stiamo navigando nella direzione giusta tenendo conto di tutti i nostri limiti caratteriali e di capitale disponibile.
Le scelte fatte non saranno certamente le migliori in assoluto, ma saranno le migliori per la qualità di vita che stiamo vivendo oggi e che desideriamo vivere in futuro.
Buon investimento.
Complimenti, questo è un ottimo articolo, tecnicamente ma anche per gli spunti e le riflessioni che sono presenti. In poche parole, è una sintesi di cosa è il piacere di leggere un blog.
Grazie mille Cristian, commenti come questi sono uno stimolo per fare ancora meglio in futuro. Continua a seguirci!