By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 17 Marzo, 2023|

Un incendio finanziario scoppia negli Stati Uniti. Ancora una volta verrebbe da dire. Il fallimento della Silicon Valley Bank dimostra l’importanza (e le conseguenze) della politica monetaria nel mondo degli affari e della finanza.

L’aumento dei tassi di interesse attuato dalle banche centrali negli ultimi mesi, ha fatto ritornare alla realtà un sistema imprenditoriale e bancario che ha basato una discreta fetta delle sue fortune recenti su un periodo straordinario, ma non come dice qualcuno, mai visto prima nella storia dell’umanità.

Il primo esperimento di quantitative easing (allentamento quantitativo per dare liquidità al sistema economico finanziario) risale infatti ai tempi dell’imperatore romano Tiberio quando, nel 33 D.C., si tentò di arginare quella che oggi definiremmo una crisi del credito.

L’importanza della politica monetaria nella storia

Il fallimento della Silicon Valley Bank, ma pure gli scompensi di Silvergate, Firts Republic Bank, Signature Bank e altre piccole realtà con sede soprattutto in California, ha messo a nudo quanto fondamentale e al tempo stesso selettiva può essere una politica monetaria “classica”, che usa i tassi di interesse come strumento per “prezzare” il costo della leva finanziaria e del rischio.

L’esistenza di un tasso di interesse (sopra lo zero naturalmente) scoraggia banchieri rampanti e investitori d’assalto dal prendersi rischi eccessivi. E più salgono i tassi di interesse, più si scopre chi ha abusato di leva e rischio.

Gli effetti collaterali erano probabilmente previsti dalla Federal Reserve, o almeno si spera, altrimenti Powell non avrebbe parlato in modo così aggressivo davanti al Congresso pochi giorni prima del fallimento della banca californiana); forse anche voluti per ridimensionare in un colpo solo le eccessive aspettative che provenivano dall’Eldorado delle criptovalute (stablecoin in primis) e un’inflazione resiliente che richiede minore liquidità in circolo per essere smontata. La speranza in questi casi è che il rischio sia stato calcolato.

Gli incendi, se controllati, sono utili in natura

Nell’interessante libro “The Price of Time” di Edward Chancellor di cui consiglio la lettura, viene celebrato il potere positivo di qualcosa che in apparenza può sembrare distruttivo.

Gli incendi hanno un ruolo importante nella rigenerazione delle foreste. Naturalmente bisogna fare il possibile per limitare gli effetti collaterali, ma gli alberi sentono un certo stress quando i boschi diventano troppo fitti e alti, rendendoli vulnerabili alle malattie e alle infestazioni di insetti. Il sottobosco si popola di di alberi morenti, legname marcio e arbusti. I giovani alberi faticano a crescere ed accaparrarsi luce, nutrienti e acqua a sufficienza.
E così la natura da sempre ha creato un meccanismo perfetto di autorigenerazione che si chiama incendio. Ripulendo il sottobosco, gli incendi boschivi distruggono gli alberi più deboli e quelli che sopravvivono hanno più spazio in cui crescere forti e resistenti.

I fallimenti, se controllati, sono utili in finanza

Business discutibili e controversi faticano a rimanere sul mercato visto l’assottigliarsi di margini di guadagno causati da rialzo dei tassi e minore fatturato. Ma anche una nuova generazione di manager bancari strapagati e pluridecorati che non hanno mai studiato (e vissuto soprattutto) un ambiente di normale stretta monetaria ha dimostrato in questi giorni le sue fragilità.

Non starò qui a ripetere tutto quello che è successo con Silicon Valley Bank, il mio collega Valerio ha già pubblicato a caldo un articolo esaustivo sul tema.

I “commissari tecnici” esperti di virus e vaccini stanno già trovando occupazione nel mondo delle crisi bancarie; meglio lasciar depositare la polvere per comprendere bene cosa è successo. Se c’è stato dolo, incompetenza, azzardo morale o quant’altro lo scopriremo a breve. A noi interessa sapere se il portafoglio di investimento che abbiamo costruito è corazzato per sopportare l’ennesima onda anomala sui mercati. Che comunque le autorità politiche e monetarie sembrano voler gestire fin da subito.

Se devo trovare una buona notizia nel contesto attuale, sicuramente vedo i margini di manovra che avranno le banche centrali per tagliare i tassi di interesse prossimamente in caso di recessione e crisi di liquidità. Sarà l’inflazione in questo caso a seguire i tassi e non il contrario.

Cronistoria del fallimento di Silicon Valley Bank

Una cronistoria (non troppo lunga) può essere utile per comprendere come, anche nella tanto celebrata America che da anni sovraperforma il resto del mondo quanto a performance azionarie, esistono manager bancari che per capacità nella gestione del credito farebbero sorridere un onesto responsabile area finanza di una banca regionale italiana.

Silicon Valley Bank (che chiamerò da adesso in avanti SVB) risultava essere alla fine del 2022 la sedicesima banca americana. Apparteneva all’indice S&P500 dal 2018 ed era compresa in tutti gli indici azionari bancari più importanti d’America.

Una storia alle spalle di circa 40 anni per una banca che, essendo locata nella Silicon Valley, è diventata una degli istituti di credito più rilevanti quanto a prestiti alle aziende del settore tecnologico e del venture capital americano. Si stima che la metà delle start-up americane fossero direttamente o indirettamente collegate alle sorti di SVB.

A fine febbraio, nel momento in cui Moody’s ha comunicato alla società che stava per rivedere il rating in negativo, il CEO Greg Becker vende 4 milioni di dollari di azioni della società.

Il buon Greg, laureato alla Indiana University, ha “festeggiato” così l’inserimento del suo nome da parte del Silicon Valley Business Journal in una di quelle classifiche autoreferenziali di “top” manager che vanno tanto di moda anche nelle terre italiche. La stessa SVB era stata inserita da Forbes nelle migliori 20 banche americane del 2023. Complimenti per il timing!

Mai basare le proprie scelte di investimento su classifiche i cui esiti non sempre dipendono dalle reali capacità di un’azienda di produrre utili sostenibili nel tempo. L’ennesima lezione l’abbiamo avuto anche a questo giro.

Nemmeno gli editori specializzati e più celebrati al mondo hanno informazioni privilegiate rispetto a noi comuni investitori. Questo conferma che nella maggior parte del tempo il mercato è efficiente e incorpora tutte le notizie conosciute fino a quel momento. Con buona pace della gestione iperattiva degli investimenti.

Ma torniamo in California. Le notizie ai tempi dei social corrono in fretta. A volte proprio la tecnologia che hanno creato nella Silicon Valley diventa nemica. E così quando depositanti che hanno affidato e concentrato (diversificazione, diversificazione, diversificazione) le sorti dei loro business sulla banca californiana (il 93% dei 175 miliardi di depositi non erano coperti dalla garanzia federale di 250 mila dollari) si presentano agli sportelli per prelevare i capitali e metterli al sicuro impauriti da tweet e social post allarmati, vengono a galla tutte le imprudenze di SVB.

La banca, sotto pressione per le crescenti richieste di prelievo a quel punto si trova costretta a vendere titoli di Stato e bond ipotecari presenti nel portafoglio di proprietà acquistati con i depositi in eccesso che non avevano trovato vie di impiego alternative fino a quel momento.

La banca tenta di salvarsi ricercando un aumento di capitale da 2.25 miliardi di dollari. Un rimedio peggiore del male perché quantifica il “buco” e non fa altro che dare il via a quel fenomeno di corsa agli sportelli che magistralmente il film di Mary Poppins descrive in poco più di un minuto.

E così, nonostante regolamentazioni sempre più stringenti messe in campo dopo la crisi del 2008, ancora una volta si scopre un’amara verità che nel corso dei secoli ha regolarmente selezionato le banche migliori lasciando al proprio destino quelle che si erano spinte troppo avanti nel rischio.

Perché le banche prestano più soldi di quanti ne raccolgono

Le banche non hanno nei loro caveau una buona parte dei soldi che ognuno di noi ha depositato.

Nulla di strano, è sempre andata così proprio per assicurare una crescita economica adeguata e disponibilità di moneta sufficiente a tutto il sistema finanziario.

Le banche non dispongono di tutti i depositi privati perché l’attività core è quella di raccogliere denaro a breve termine per prestarlo a lungo termine (mutui, finanziamenti a imprese, prestiti personali) guadagnando sulla cosiddetta “forbice”, ovvero la differenza tra tassi di interesse sul denaro prestato e tasso di interesse sul denaro raccolto.

Se però le banche raccolgono denaro in eccesso rispetto a quello che impiegano possono farlo fruttare con investimenti in asset finanziari come farebbe un normale investitore con i suoi risparmi.

Il rapporto non è di 1 a 1 tra raccolta e impiego, ma viene utilizzata la cosiddetta leva. Prestando denaro che la banca effettivamente non ha nelle proprie disponibilità e confidando nel fatto che tutti i depositanti non si presenteranno nello stesso momento allo sportello per ritirare il denaro.

Se però accade che depositanti incauti e poco educati finanziariamente . come molte di quelle aziende tecnologiche che in teoria dovrebbero sostituire la mente umana con quella artificiale (direi che la strada da percorrere è ancora parecchia), improvvisamente decidono di ritirare i propri capitali proprio da quella banca dove hanno iperconcentrato il rischio, allora nei casi più gravi e dopo vari tentativi di ricapitalizzazione della banca ci potrebbe essere la chiusura delle porte di ingresso vista nel film Mary Poppins. Una scena evoluta tecnologicamente che nel 2023 si sono trovati di fronte i depositanti di SVB.

Se poi la gestione del portafoglio titoli si rivela imprudente i rischi sono ancora più elevati.

Come NON gestire il portafoglio titoli di una banca

Nel 2021 SVB avrebbe investito metà dei depositi in titoli di stato americani a lunga scadenza con un rendimento medio attorno al 1,5%. La caccia al rendimento nell’era dei tassi zero ha spinto l’area finanza della banca a rischiare comprando obbligazioni con scadenze lunghe.

Chi gestisce portafogli di proprietà di una banca (avendolo fatto per mestiere vi garantisco che non è un esercizio semplice) deve agire con estrema prudenza. Bisogna garantire redditività al denaro raccolto evitando eccessivi rischi di duration e di credito (anche utilizzando coperture derivate che non sono il “diavolo” come dice qualcuno) del portafoglio per tenere conto delle richieste di denaro dei legittimi proprietari, ma anche della variabilità della remunerazione dei depositi bancari.

Con l’aumento dei tassi della FED i clienti di SVB hanno chiesto tassi attivi sempre più alti (a quando in Italia?), ma la banca aveva impegnato quei denari a rendimenti più bassi.

SVB, accontentando il cliente per evitare la fuoriuscita dei depositi che sapeva non sarebbe stata in grado di soddisfare, stava affossando il bilancio con un margine di interesse negativo. La scommessa di SVB era quella di un’inflazione temporanea. E quindi di una FED più colomba che avrebbe ridotto i tassi di interesse a breve.

In situazione di difficoltà del portafoglio titoli di un portafoglio di proprietà (tradotto in linguaggio comune, prezzi dei titoli ampiamente sotto il prezzo di acquisto) si tende a trasferire lo strumento da una categoria Available for Sale (dove le valorizzazioni dei titoli sono al costo di mercato) a una categoria Held to Maturity (dove i titoli vengono valorizzati e immobilizzati al costo di acquisto dando sollievo al bilancio). Ma se la pressione agli sportelli aumenta, i problemi si fanno seri e anche questa manovra rischia di essere inutile.

Così torniamo al punto di partenza. Moody’s scopre le carte, i bancomat lavorano a pieno regime, frettolosamente la banca è costretta a vendere in perdita titoli precipitati al 60-70% del valore nominale cercando di compensare la porzione mancante con un aumento di capitale. Impossibilitata a ricevere denaro fresco per soddisfare le richieste alza bandiera bianca e chiude la baracca.

Una bella lezione per l’investitore privato

C’è una bella lezione in questo caso anche per l’investitore privato. Rimanere sempre con il gas del rischio aperto ha senso se ci sono coperture adeguate per gli inevitabili imprevisti. Un capitale di emergenza, investimenti obbligazionari sicuri a breve termine o comunque strumenti facilmente liquidabili sono imprescindibili per un saggio investitore.

Il caso Eurovita in Italia, sotto alcuni aspetti ha delle similitudini con il caso SVB relativamente ai rischi impliciti degli attivi.

Le gestioni separate hanno sì la qualità di essere separate dal destino del suo “proprietario”, ma se domani tutti i clienti si presentassero alla cassa per ritirare i risparmi investiti nelle polizze, le compagnie sarebbero costrette a vendere titoli obbligazionari con pesanti minusvalenze e non riuscirebbero a soddisfare tutte le richieste. Con buona pace del capitale garantito e della separatezza degli attivi.

Governo e banca centrale americana sono subito intervenuti per stendere una rete di protezione a favore dei depositanti di SVB (e delle altre banche a rischio contagio), ma naturalmente il pasto non sarà gratis. Rimane infatti da capire chi pagherà il conto. Il ministro del Tesoro Yellen smentisce che sarà il contribuente. La Federal Reserve, secondo il mercato, non alzerà i tassi di interesse a breve, ma questo significherebbe correre il rischio di far pagare il conto al contribuente non scoraggiando l’inflazione e quindi i prezzi al consumo. Le banche, soprattutto quelle minori, potrebbero essere costrette ad alzare la remunerazione sui depositi a vista a causa di un maggior premio per il rischio chiesto dai clienti. E a quel punto qualche altra SVB non è escluso possa uscire allo scoperto. Di sicuro le grandi banche stanno raccogliendo fiumi di denaro sull’onda della maggiore sicurezza percepita.

Il 60/40 torna a ruggire

In questi giorni il mercato azionario ha subito delle perdite, ma quello obbligazionario, l’oro e pure Bitcoin hanno guadagnato. La famosa decorrelazione è tornata a funzionare alla faccia di chi dava per morto il bilanciato 60/40.

Non farò previsioni che avrebbero il valore di una monetina tirata in aria. Penso che lo sguardo del mercato azionario e obbligazionario adesso sia rivolto a Powell e alla FED in attesa di capire a quale tasso di interesse dovranno essere attualizzati i flussi di cassa futuri delle aziende  quotate in borsa (ciò che determina le valutazioni).

Le pulizie sono in corso (Credit Suisse è già finita nella raccolta differenziata) e ogni politica monetaria restrittiva che si rispetti ha sempre prodotto dei danni collaterali all’economia. Che poi è ripartita depurata da eccessi e speculazioni varie.

Un sogno chiamato private equity

Un’ultima parentesi la vorrei aprire sul tanto celebrato (anche in Italia a giudicare dall’offerta di molte banche) mercato del private equity.

Tante start up e società impegnate in questa attività di valorizzazione di business imprenditoriali agli albori subiranno delle conseguenze da questa vicenda.  Proprio la crisi di questo importante pezzo del capitalismo privato è stata la mazzata finale che ha fatto collassare SVB.

Il private equity non è un terreno semplice da frequentare per un investitore privato che vuole far crescere il proprio capitale nel lungo periodo. A meno di riuscire nell’improba impresa di partecipare alla spartizione della torta a costi molto ridotti.

Investire in società non quotate è da sempre un terreno di caccia per istituzionali che possono permettersi di diversificare il rischio; le evidenze scientifiche dimostrano però che difficilmente risulta essere profittevole questo terreno. Le performance sono parecchio disperse attorno alla media, con pochi campioni che emergono ma con accessi limitati, esclusivi e costosi.

Il mercato immobiliare è uno di quelli sempre molto gettonati dal pubblico pagante dello spettacolo private equity, peccato che le evidenze empiriche dimostrino che è molto meglio investire in REITs quotati al posto dei fondi di Private Equity.

Il professor Ludovic Phalippou ha dimostrato che i fondi di private equity producono generose commissioni per i gestori (dal 2005 al 2020 19 nuovi miliardari tra di loro), ma mediocri ritorni per gli investitori che mediamente realizzano un risultato simile a quello di un investimento in indici di azioni a piccola capitalizzazione (small caps), ma con maggiore rischio.

Un messaggio ben preciso per tutti coloro che si vedono proporre dalle banche italiane fondi che da qualche parte nel prospetto infilano le due parole magiche private equity con la caratteristica peculiare di essere prodotti costosissimi e con vincoli temporali inaccettabili.

E non è nemmeno vero che il private equity diversifica il mercato azionario quotato. Quando scende il secondo scende anche il primo, con l’unica differenza che i fondi di private equity non fanno prezzo tutti i giorni di borsa aperta e le valutazioni dei titoli presenti nel fondo di PE non sono quelle determinate da un mercato efficiente dove domanda e offerta si incontrano ogni secondo.

Pura illusione di diversificazione, questo emerge da diversi studi americani dove il private equity è stata analizzato come asset class separata e alternativa.

Eppure gli investitori continuano ad essere affascinati da questo mondo, investendo in strumenti che è dimostrato non sovraperformano il mercato nel suo complesso.

Il motivo? Lo spiega il Professor Meir Statman della Santa Clara University. Questi investimenti sono percepiti dall’individuo come parte della propria identità e si investe per la stessa ragione per la quale si desidera acquistare una borsa di Gucci o un orologio Rolex. Ma all’atto pratico la funzione è la stessa di merce a basso costo.

Dopo la pioggia torna il sereno

In conclusione non posso che ripetere ciò che ho già scritto nell’articolo Dopo la pioggia viene il sole, anche sui mercati finanziari.

Sul mercato sta succedendo ciò che è sempre successo quando la politica di rialzo dei tassi supera il limite tollerato dal sistema economico. Anche questa volta non è diverso. Gli effetti collaterali li stiamo vedendo (e ne vedremo altri).

Quanto profonde potranno essere le inefficienze accumulate dalle aziende private e dal sistema bancario in questi anni di tasso zero lo scopriremo nei prossimi mesi.

Oggi però le banche centrali partono da livelli sufficientemente elevati di costo del denaro per alleviare molti mali. Da capire se quello più importante, l’inflazione, potrà auto ridimensionarsi a causa di un probabile rallentamento economico nei prossimi mesi.

La soluzione a tutte queste complessità, lo so è banale ma vi garantisco che funziona, è rimanere investiti in maniera bilanciata e diversificata seguendo la propria propensione al rischio, tenendo una scorta di liquidità per emergenze e/o ribilanciamenti, gestendo il rischio sulla base del ciclo di vita e della prossimità o meno dell’obiettivo finanziario.

Buon investimento.

Un commento

  1. Simone 18 Marzo 2023 at 15:50 - Reply

    Tutto ben scritto ed interessante ma forse non c’è anche dell’altro che esce dalle logiche classiche ovvero che grazie all’intelligenza, alla politica ed alla leva finanziaria (di venture Capital, Private Equity, banking, etc) gli USA sono riusciti ad ottenere la leadership globale nel campo della tecnologia. Hanno finanziato migliaia di investimenti solo su un’idea, la maggior parte falliti ma quelli vincenti hanno cambiato il mondo è nello spirito delle libertà americane pure le banche hanno iniziato a partecipare alla partita. Qui nel bel paese le banche che prestano i soldi neanche sapevano cosa era un action plan fino a 10 anni fa e con la scusa “ma stiamo tutelando il risparmio degli italiani” con l’altra mano piazzavano bond Corporate Parlamat o peggio loro azioni non quotate. Ecco qui secondo me c’è anche un tema politico e sociale e ritengo sia giusto da parte del Governo Americano rifondare almeno i correntisti americani che con i loro risparmi hanno aiutato la leadership americana. Alzi la mano chi preferisce il sistema cinese, perché l’altro leader sono loro.

Lascia un Commento