By |Categorie: Educazione finanziaria, Investimento|Pubblicato il: 30 Giugno, 2023|

 

Il ribilanciamento è un’attività di manutenzione del portafoglio che mantiene l’asset allocation allineata ai pesi ideali prefissati in fase di pianificazione dell’investimento.

I movimenti quotidiani dei mercati provocano continui scostamenti tra asset allocation reale e ideale. Per mantenere adeguatamente allineate le aspettative di rendimento e di rischio del portafoglio, il ribilanciamento periodico è una strategia interessante che richiede un minimo impegno a fronte di una resa molto importante. Soprattutto per chi sta entrando in fasi specifiche del ciclo di vita.

Nel lungo periodo gli investimenti offrono delle aspettative di rendimento associate a un certo livello di rischio.

Il problema del lungo periodo è il breve periodo

Dati medi che tendono a convergere in archi temporali piuttosto lunghi. Il problema del lungo periodo è il breve periodo che, attraverso continui movimenti nei prezzi (la volatilità) provoca disagio negli investitori.

C’è chi cerca di fuggire dal disagio liquidando tutto l’investimento. Spesso vendendo quando i prezzi sono scesi e di parecchio dal valore di acquisto originario.

C’è chi cerca di rimediare con una gestione attiva che dovrebbe scartare gli investimenti sotto performanti favorendo quelli teoricamente vincenti. Ovviamente insostenibile nel tempo.

C’è chi sta fermo senza fare nulla correndo il rischio di ritrovarsi con livelli di rischiosità dell’investimento molto diversi da quelli attesi.

C’è chi sfrutta le temporanee inefficienze del mercato per riequilibrare il portafoglio sfruttando il beneficio del ritorno verso la media dei prezzi.

Questo è il ribilanciamento che permette di aumentare l’investimento su classi di investimento che hanno perso valore, vendendo quelle che hanno invece guadagnato nel corso del tempo.

Che cos’è il ribilanciamento

Il ribilanciamento è una semplice attività basata sul buon senso che permette di ottimizzare il ritorno positivo o negativo di alcuni pezzi del portafoglio nel corso degli anni, abbassando il rischio complessivo. Con il ribilanciamento siamo infatti costretti a mantenere diversificato l’investimento e soprattutto siamo costretti a mantenere fede al quel piano finanziario preparato con tanta cura.

Tra il 1989 e il 2022 un classico investimento bilanciato 60% azioni e 40% obbligazioni si sarebbe trasformato, in assenza di ribilanciamento, in 80% azioni e 20% obbligazioni. Con l’evidente aumento della volatilità dell’intero portafoglio di investimento che non si riconosceva più nell’ideale volto di partenza.

Il processo sistematico di acquisto a bassi prezzi e vendita ad alti prezzi corona il sogno sia di chi vuole muoversi e fare gestione attiva, ma anche di chi predilige il compra e tieni.

Il ribilanciamento è purtroppo spesso tenuto ai margini delle strategie di investimento. Si compra, si vede come va, poi ad un certo punto a sentimento si fanno degli aggiustamenti. La pigrizia e la bassa frequenza con cui si rende necessario un ribilanciamento tendono a mettere la strategia in un angolino.

Peccato, perché quelle poche volte che si creano i presupposti per attivarlo, il vantaggio competitivo che si viene a generare è importante.

Conosco pochissimi investitori che lo mettono in pratica e in un certo senso questo dovrebbe essere un punto a favore di ETF bilanciati oppure di robo-advisor. Purtroppo nè l’uno nè l’altro sono perfetti.

Gli ETF bilanciati hanno allocazioni fisse che invece potremmo, ad un certo punto, sentire il desiderio di modificare.

I robo-advisor (almeno quelli italiani) sono ormai delle gestioni patrimoniali in ETF con tanto attivismo che rende il ribilanciamento un fenomeno accessorio e poco incisivo alla luce dei continui cambiamenti nell’asset allocation.

Se la diversificazione riduce le probabilità di subire ampie perdite, il ribilanciamento delle classi di investimento aiuta a contenere i rischi.

Non ho scritto aumentare il rendimento assoluto, perché non è sempre così e lo vediamo con un esempio pratico.

Back test di ribilanciamento

Ho scelto di effettuare un’analisi su un investimento bilanciato 60% azionario e 40% obbligazionario, verificandone alcune metriche di rendimento e rischio su due orizzonti temporali di 20 anni. Il primo periodo 2003-2023. Il secondo periodo 1993-2013.

Il ribilanciamento previsto è annuale.

Nel primo periodo NON ribilanciare ha prodotto un rendimento annuo superiore rispetto al ribilanciare ogni anno (non ho tenuto conto delle spese di ribilanciamento).

Nel secondo periodo NON ribilanciare è costato lo 0,7% di rendimento all’anno.

La costante delle due simulazioni è però sul rischio corso da chi non ha ribilanciato. Più alta la volatilità, più alta la massima perdita.

Investire è un’attività che attraversa diversi cicli di vita. Ma sono soprattutto due quelli dove ridurre il rischio (e quindi ribilanciare) è importante.

Quello pre ritiro dal mondo del lavoro (per salvaguardare il capitale) e quello post ritiro dal mondo del lavoro (dove la sequenza negativa dei rendimenti potrebbe distruggere i sogni di libertà finanziaria).

Quali sono le migliori strategie di ribilanciamento

Non c’è una ricetta ideale di ribilanciamento, l’importante è fissare delle regole e rispettarle usando il buonsenso.

Si può decidere di ribilanciare il portafoglio con cadenza semestrale o annuale per ridurre i costi di negoziazione.

Oppure attivare il processo quando una certa asset class è distante almeno X punti percentuali dall’esposizione ideale a causa dell’oscillazione dei prezzi.

Si può decidere di combinare le due cose oppure ribilanciare sulla base di certi obiettivi precisi di allocazione che ci siamo dati. Ad esempio se ci stiamo avvicinando alla pensione potrebbe non essere necessario vendere obbligazioni per comprare azioni perché abbiamo già raggiungo l’allocazione ideale.

Le ricette in questo campo non mancano e ogni investitore potrà personalizzarle sulla base delle proprie competenze, caratteristiche personali, convenienze in termini di costi e fiscali.

Vanguard ha pubblicato uno studio dove ha verificato che il ribilanciamento annuale dimostra di essere il più efficace in termini di frequenza temporale.

A causa degli effetti fiscali e dei costi, non ribilanciare risulta essere più conveniente rispetto al farlo con una frequenza inferiore al mese. Per chi preferisce muoversi con le percentuali, la stessa ricerca ha individuato nel 3% il peso ideale di scostamento dell’asset class oltre il quale può avere senso effettuare il ribilanciamento. Un numero che comunque dovrà essere adattato a importi in gioco e relativi costi applicati dal broker/banca di riferimento.

Nel 2015 una ricerca ha dimostrato che dal 1926 al 2014 non ribilanciare avrebbe prodotto un vantaggio di rendimento annuo nell’ordine di 0,8% per anno su un portafoglio 50% azioni 50% obbligazioni (8,9% vs 8,1%).

La contropartita del non ribilanciare è stata l’innalzamento della volatilità di oltre 3 punti percentuali (13,2% vs 9,9%).

Logico il primo risultato: i mercati azionari tendono a crescere sempre nel lungo periodo, meno appariscente, ma più sorprendent,e il secondo.

Il principale beneficio del ribilanciamento non è quello di massimizzare il rendimento, ma di minimizzare il rischio data una certa asset allocation.

Chi è preoccupato dell’eccessivo attivismo necessario per portare avanti questa strategia oppure dei costi,  può essere tranquillizzato dai dati storici.

Tra il  1926-2014, un intervento di ribilanciamento effettuato con la regola dello scostamento dell’asset allocation del 5% è stato attivato solo 36 volte. Mediamente meno di una volta ogni due anni.

Per chiudere questo articolo volevo portare a beneficio degli investitori meno evoluti, un esempio pratico di come ribilanciare un portafoglio di investimento.

Nel libro “Come investire il mio primo euro” ho dedicato una sezione intera a questa poco popolare, ma efficace strategia attiva di gestione del rischio; credo che un altro piccolo tassello di educazione finanziaria a beneficio di tutti i lettori possa essere sempre molto utile. Ecco un estratto del libro.

Un esempio di ribilanciamento

Supponi di avere a tua disposizione un capitale di 20.000€. Il tuo investimento iniziale viene ripartito al 50% tra azioni (10.000) e obbligazioni (10.000). Abbiamo scelto l’allocazione bilanciata.

Alla fine del primo anno le azioni realizzano una performance del + 40% (+ 4.000) e le obbligazioni del – 10% (- 1.000). Il portafoglio adesso ha un valore di azioni di 14.000€ e di obbligazioni per 9.000€. Totale 23.000€. Il peso percentuale delle due asset class diventa 60% azioni (14.000 / 23.000) * 100 e 40% obbligazioni (9.000 / 23.000) * 100.

Per avere di nuovo una percentuale del 50/50 dobbiamo riportare azioni e obbligazioni a un valore di 11.500€ ciascuna.
Vendiamo quindi 2.500€ di azioni (14.000 – 2.500 = 11.500) e compriamo 2.500€ di obbligazioni (9.000 + 2.500 = 11.500). Siamo tornati al peso originario di 50/50. Abbiamo effettuato una prima manovra di ribilanciamento.

Alla fine del secondo anno l’azionario perde il 20% e l’obbligazionario guadagna il 10%. Il valore delle azioni scende da 11.500€ a 9.200€, quello delle obbligazioni sale da 11.500€ a 12.650€. Su un controvalore complessivo di portafoglio di 21.850€ ora disponiamo del 42% di azioni a fronte del 58% di obbligazioni.

Riportiamo di nuovo tutto quanto in equilibrio 50/50 con l’obiettivo di avere 10.925€ di azioni e di obbligazioni. Quindi vendo 1.725€ di obbligazioni e compro 1.725€ di azioni. Anche il secondo ribilanciamento è completo.
Con queste semplici manovre gestiremo il rischio in modo eccellente. Vendiamo a prezzi alti un pezzettino di ciò che potrebbe essere in guadagno. Acquistiamo a prezzi più bassi un pezzettino di ciò che potrebbe essere in perdita.

 

4 Commenti

  1. Lorenzo 30 Luglio 2023 at 08:40 - Reply

    Buongiorno, trovo molto utile il ribilanciamento in quanto mantengo sotto controllo il rischio e le % stabilite a monte della mia strategia. Poi ha molto senso, si vende ciò che è salito di più per comprare ciò che è sceso. Strategia semplice….. Una domanda magari banale: il pmc di un etf nel caso vendessi delle quote, non cambia, giusto? si modifica solamente nel caso di nuovi apporti di liquidità…. Corretto??

    • Lorenzo Biagi 30 Luglio 2023 at 12:06 - Reply

      Esattamente come dici tu. Il pmc può cambiare in alcuni casi di trasferimento titoli, ad esempio da un dossier cointestato a uno monointestato. In quel caso di dice che scatta l’effetto fiscale, ovvero paghi le tasse al trasferimento e parte con un pmc uguale al prezzo della giornata del trasferimento. A presto e buone vacanze!

  2. Xander 30 Giugno 2023 at 15:07 - Reply

    Dal mio punto di vista, che è quello di uno che sta costruendo un capitale, vedo l’attività di bilanciamento in modo un po’ diverso: anziché vendere l’asset class in attivo preferisco l’approccio di acquistarne di meno (o non acquistarne) per tornare alle percentuali stabilite.
    Per tornare al vostro caso dove 10K e 10K sono diventati 14K e 9K, potrei andare a 14 e 14 o 15 e15, non so se mi spiego.
    Certo, non prendo mai profitto dal cavallo vincente ma risparmio sulle tasse :-D

    • Lorenzo Biagi 30 Giugno 2023 at 15:12 - Reply

      Strategia assolutamente corretta ovviamente se in presenza di PAC. Nel caso di capitale investito spot (come anche nel caso di decumulo) ovviamente la strada dell’arbitraggio è più indicata.
      Grazie del commento.

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