By |Categorie: Educazione finanziaria|Pubblicato il: 4 Settembre, 2023|

Dopo anni di indifferenza finanziaria spesi mentalmente tra la decisione di mantenere i risparmi sul conto corrente a remunerazione zero, oppure investirli in obbligazioni a rendimenti quasi zero, le banche centrali stanno oggi offrendo agli investitori l’opportunità di riscoprire una asset class “dimenticata”.

Asset class, quella obbligazionaria, molto importante per dare stabilità e certezza al raggiungimento di obiettivi di vita e finanziari.

Anche il mondo degli ETF apprezza questo momento, con innovazioni di prodotto che vanno nella giusta direzione per chi pianifica con cura gli investimenti.

La recente quotazione sul mercato italiano di alcuni ETF della serie iBonds di iShares, già presente in America da oltre un decennio, è una vera e propria rivoluzione. Pur con la presenza di alcuni difetti che il tempo e la concorrenza inevitabilmente correggeranno.

Inevitabile sarà la picconata (l’ennesima) inflitta dagli iBonds ai fondi di investimento distribuiti dalle banche.

Già da qualche anno il mondo del risparmio gestito “attivo” aveva abbracciato lo strumento “target date fund” come chiave di volta per far tornare i risparmiatori a investire nelle prudenti obbligazioni. L’obiettivo, oltre a quello di vendere fondi, era quello di sviare l’attenzione dai poco redditizi (per la banca) conti correnti + conti deposito, oltre che dalle sempre più insostenibili (per le compagnie) polizze assicurative di ramo primo.

I target date fund, altro non sono che fondi con una data di scadenza che certifica il momento specifico di chiusura del comparto.

Con un piccolo, ma non irrilevante particolare. Spesso il rendimento iniziale prospettato, non rappresenta il rendimento effettivo a causa di costi decisamente elevati sul groppone di prodotti ingabbiati in collocamenti “dedicati a finestra” e rimborsi “vincolati”.

Scelte a volte goffe, costose e che in diverse occasioni nella mia carriera precedente all’interno del mondo bancario ho criticato come fonte di esposizione a rischi importanti per gli ignari investitori.

La corposa (e spesso poco pubblicizzata al collocamento) presenza di obbligazioni spazzatura – high yield nei portafogli di molti target date fund era una scelta quasi inevitabile per chi tentava di promettere rendimenti a scadenza (al netto dei costi) superiori allo zero. E non essendo il capitale garantito il gestore era solito prendersi qualche rischio di troppo.

Con i BTP che offrono oggi rendimenti superiori al 4%, questi target date fund hanno perso appeal. Unico vero vantaggio la presenza del fattore diversificazione; ma ancora una volta costi, scarsa trasparenza, gestione attiva e vincoli vari annullano i buoni propositi.

Per tutti quegli intermediari che recentemente hanno rinvigorito la loro offerta commerciale con i fondi con data di scadenza, BlackRock ha però pensato bene di guastare la festa con la quotazione di alcuni ETF obbligazionari a scadenza. Gli iBonds, che in questo articolo cercherò di analizzare più nel dettaglio mettendone in luce pregi e anche difetti.

Nota scontata (ma doverosa) di premessa.

Questa NON è una raccomandazione a nessuna forma di investimento in questi ETF. Naturalmente ogni scelta andrà fatta dopo aver verificato con il proprio consulente di fiducia se lo strumento è adatto al personale profilo di rischio, conoscenza ed esperienza oltre che essere allineata agli obiettivi dell’investimento. Aggiungo anche che tutta l’analisi si è basata sui dati pubblici presenti in rete ed estrapolati in buona parte dal sito dell’emittente dello strumento. Eventuali errori e omissioni (ringrazio in anticipo per le segnalazioni) verranno ovviamente rimossi e/o corretti.

Cosa sono gli ETF iBonds

Gli ETF iBonds di Ishares sono stati quotati sul mercato italiano nel mese di agosto e si comportano in modo simile alle obbligazioni tradizionali, eliminando buona parte dei difetti insiti negli ETF classici con duration costante di cui vi ho già parlato approfonditamente in due articoli dedicati, qui e qui.

Gli iBonds vengono scambiati in borsa come azioni, pagano regolarmente cedole trimestrali e alla scadenza vengono rimborsati come le obbligazioni.

Diversificazione, trasparenza, facile liquidabilità e forte somiglianza con il caro vecchio bond, arricchiscono quella che sembra essere l’inizio di una rivoluzione che farà sorridere i pianificatori finanziari. Anche se non mancano i difetti che, nel corso di questa breve recensione, non mancherò di mettere in evidenza.

Andando nello specifico dell’attuale gamma di ETF collocati da iShares in Italia, l’investitore in iBonds ha accesso a obbligazioni societarie investment grade (quindi con alto merito di credito) di vari paesi e settori, obbligazioni alle quali non avrebbe normalmente accesso come operatore cosiddetto “al dettaglio”.

La maggiore parte delle obbligazioni presenti nel portafoglio dell’ETF sono infatti riservate a investitori istituzionali. Già questo garantisce un rendimento finale dell’investimento strutturalmente superiore (anche al netto delle ridottissime spese correnti dell’ETF pari a 0,18% all’anno) rispetto a quello che potrebbe portare a casa un normale investitore al dettaglio operando in autonomia.

Pensiamo ad esempio a quelle obbligazioni con taglio superiore ai 100 mila euro che vengono scambiate sulle piattaforme istituzionali a rendimenti superiori (e con spread denaro lettera più modesti) rispetto alle equivalenti obbligazioni dello stesso emittente con identica scadenza scambiate spesso con  volumi scarsi su MOT e EuroTlx.

Ogni ETF ha una data di scadenza specifica, solitamente dicembre dell’anno prescelto.

Al momento iShares ha deciso di quotare in Italia due scadenze di iBonds, 2026 e 2028 in euro. Sulla borsa tedesca sono quotati iBonds anche in dollari Usa con le medesime scadenze. (Aggiornamento del 14 settembre 2023. Le scadenze degli iBonds quotati in € sono diventate quattro, 2025, 2026, 2027 e 2028).

La scadenza fissa fin dall’emissione garantisce quella “quasi” certezza che finora non avevano gli investitori di ETF obbligazionari.

Il rimborso del capitale (comunque non garantito e vedremo perché) arriva dopo la progressiva e naturale riduzione del rischio di tasso di interesse generato da una duration che non deve essere mantenuta costante dal gestore. Le obbligazioni contenute nel portafoglio arrivano infatti alla loro naturale scadenza con l’ETF stesso.

Durante il percorso di avvicinamento alla fine della vita dell’ETF le obbligazioni in scadenza, a discrezione del gestore, possono essere reinvestite (come le cedole) su altre obbligazioni con scadenza comunque non superiore a quella dell’ETF stesso. In alternativa verranno gestite durante l’ultimo anno di durata del fondo acquistando titoli di Stato fino alla progressiva giacenza in liquidità che sarà pari al 100% a scadenza.

Un esempio grafico di quello che accade al portafoglio titoli di uno di questi ETF quotati in America è esemplificativo.

Fonte: iShares

Questo è un fattore importante che potrebbe alterare il risultato finale “promesso” (ma giustamente mai certificato formalmente) al momento al momento dell’acquisto.

Come scrive infatti la stessa iShares: “se il rendimento futuro dei titoli di Stato è inferiore al rendimento medio alla scadenza delle obbligazioni nel portafoglio, si prevede che anche il rendimento realizzato alla scadenza del fondo sarà inferiore, e viceversa”.

Il vantaggio dell’efficienza gestionale di scadenze e cedole è, in questo caso, un plus importante che il singolo investitore farebbe fatica a gestire personalmente con tanti bond  in portafoglio e relative (modeste) cedole incassate periodicamente sul conto corrente quasi mai reinvestite immediatamente.

L’obiettivo degli iBonds

L’obiettivo del gestore è naturalmente quello di avvicinare il più possibile il risultato dell’investimento al rendimento a scadenza (Yield to Maturity) di un portafoglio ideale associato a un indice che accorpa le obbligazioni in scadenza tra il primo gennaio e il 15 dicembre dell’anno deciso come terminale.

Trattandosi di un ETF, esiste sempre un indice di riferimento che viene replicato non esclusivamente in modo fisico con l’acquisto ottimizzato (quindi non integrale) di obbligazioni. L’utilizzo di strumenti finanziari derivati (SFD) non è escluso pur essendo “limitato” come dichiarato vagamente nel KID (ed effettivamente confermato da un peso inferiore del 1% come indicato nel dettaglio titoli scaricato dal sito dell’emittente).

Il dato del rendimento medio a scadenza è costantemente aggiornato dall’emittente sul proprio sito istituzionale; quindi trasparente come per una normale obbligazione. Non solo.

iShares mette a disposizione un calcolatore (lo trovate scrollando in basso nella pagine dedicata agli iBonds) che sulla base del prezzo di acquisto corrente di mercato dell’ETF calcola, al netto delle spese del fondo, il rendimento a scadenza.

Fonte: iShares

Questo rendimento è ovviamente una stima.

Il suo risultato effettivo dipende da diversi fattori che potrebbero remare contro o a favore.

La storia dei prodotti americani già scaduti propende per una modesta penalizzazione, ma su questo ritornerò in una seconda puntata dedicata agli iBonds prevista per venerdì prossimo.

Qualche punto di debolezza degli iBonds

I costi dei ribilanciamenti (mensili e applicati fino a un anno prima della scadenza per contenere il peso di ogni singolo emittente entro il 3% e/o sistemare eventuali tagli di rating di credito e ESG) remano probabilmente contro il rendimento finale a causa dei costi insiti nell’operazione. I reinvestimenti in nuovi titoli che sostituiscono quelli a scadenza potrebbero invece remare contro o a favore.

Esiste poi sempre l’incognita del cambio di rating delle obbligazioni che ha in pancia l’ETF (se un’obbligazione viene declassata a non investment grade durante la sua vita dovrà essere liquidata, presumibilmente in perdita) o addirittura dell’insolvenza con relativo default e recupero di solo una parte del nominale.

Altro punto di criticità per la natura soggettiva della valutazione, è legato alla perdita dei criteri ESG dell’obbligazione/emittente visto che l’intero portafoglio deve soddisfare specifici requisiti di sostenibilità. A questo si aggiunge l’esclusione già a monte di emittenti coinvolti in produzione di tabacco, armi nucleari, produzione di armi da fuoco civili e armi controverse, carbone termico, generazione di carbone termico, sabbie bituminose, armi convenzionali e sistemi/componenti/sistemi di supporto/servizi per la produzione di armi.

Come scrive iShares sul KID “Se i rating di credito dei titoli a reddito fisso venissero declassati a un livello sub-investment grade o qualora i titoli non dovessero più soddisfare i criteri ESG, il Fondo potrà continuare a detenere i titoli in questione fino a quando non faranno più parte dell’Indice e sarà possibile vendere la posizione”.

Infine il prestito titoli ammesso dal regolamento degli iBonds. Se questa attività dovrebbe in teoria ridurre i costi a carico dell’ETF, eventuali remoti rischi sulle controparti con le quali vengono svolte queste attività di prestito e la “scarsa” generosità di BlackRock verso questi ricavi (solitamente iShares trattiene un terzo dei ricavi da prestito titoli), rendono il prestito titoli un’attività che avrebbe potuto essere esclusa senza per questo far perdere appeal al prodotto.

Cosa succede alla scadenza

Alla data di scadenza tutto il portafoglio diventa liquido e il corrispondente valore di NAV sarà la base per accreditare sul conto corrente del cliente la somma finale del rimborso. Come una normale obbligazione.

Dopo questo evento l’ETF chiude e viene rimosso dal mercato.

Naturalmente l’ETF può essere venduto dall’investitore in anticipo rispetto alla scadenza e il suo prezzo seguirà le classiche dinamiche delle obbligazioni, crescendo in caso di ribasso dei tassi di interesse (pur con sensibilità via via minore con il passare del tempo) e scendendo nel caso opposto.

Queste appena presentate sono le caratteristiche essenziali di uno strumento particolarmente innovativo e interessante, seppur con alcune criticità che commenterò più in dettaglio nella seconda parte dell’articolo dedicato agli iBonds in uscita venerdì prossimo.

Scopriremo così anche come si sono comportati i cugini iBonds americani negli ultimi 10 anni e quale funzione all’interno di un portafoglio di investimento possono avere questi ETF che, come per tutti gli strumenti finanziari, dovranno essere compatibili con asset allocation, tolleranza per il rischio, reali obiettivi, e livello di educazione finanziaria di ciascun investitore.

Alla prossima puntata e buon investimento.

iBonds, pro e contro dei nuovi ETF a scadenza (parte II)

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