La filosofia del ritiro anticipato basata sul motto “vivere di rendita” è stata molto gettonata negli Stati Uniti negli ultimi anni.
I motivi sono facili da comprendere. Crescita record dei mercati azionari, crescita record dei mercati obbligazionari e inflazione ridotta ai minimi termini con banche centrali che gettavano letteralmente denaro dall’elicottero.
Per tutti coloro che, combinando frugalità nello stile di vita e intenso lavoro (ben retribuito si intende), sono stati capaci nel tempo di racimolare quella cifra che i pianificatori indicavano come sufficiente per garantirsi l’indipendenza finanziaria in anticipo rispetto all’età della pensione, la strada sembrava spianata.
Il sogno ha fatto capolino naturalmente anche in Italia. Tanti blogger si sono catapultati sul tema “illudendo” risparmiatori più o meno educati su quanto semplice fosse raggiungere l’obiettivo fatato. Bastava investire seguendo poche semplici regole e il gioco era fatto.
Gestire la ricchezza non è facile (e non è semplice)
Come ha scritto in uno dei suoi migliori libri Jonathan Clements, accumulare ricchezza è incredibilmente facile, ma non è semplice.
Aggiungo però io che se non è semplice accumulare ricchezza, gestirla raggiunto l’obiettivo è un esercizio complesso e spesso sottostimato.
Pensiamo al 2022 che stanno vivendo le principali classi di investimento.
Gli investimenti azionari potrebbero chiudere l’anno con un calo in doppia cifra. Quelli obbligazionari anche. L’inflazione a sua volta sfiora la doppia cifra di incremento annuale. Mancano le tasse, ma speriamo che almeno quelle non decidano di voltare le spalle al povero risparmiatore.
Per chi ha deciso proprio ieri di diventare un membro del club FIRE (financial indipendence, retire early ovvero indipendenza finanziaria e pensione anticipata) lo scenario si sta facendo molto più complicato di quello che tanti smart blogger sulla cresta dell’onda avevano disegnato su lavagne virtuali.
Stesso discorso per coloro che già fanno parte del club da qualche anno e che hanno deciso di smettere di lavorare per dedicarsi a una placida e tranquilla pensione anticipata sull’onda di valutazioni record raggiunte dai propri investimenti negli anni scorsi.
La dura realtà dei mercati finanziari sta bussando alla porta e la fiamma FIRE è un pò meno scoppiettante negli ultimi tempi.
Non passano articoli nei quali personalmente richiamo al buon senso e all’umiltà su questo tema. Mi dispiace, ma tornerò a farlo oggi consapevole che avrò meno click da parte di lettori alla disperata ricerca di progetti intrisi di utopia.
Il sogno di vivere di rendita va costruito nel tempo con pazienza
Servono tanti soldi e controllo rigido delle spese per poter realizzare il sogno.
Due fattori sotto il nostro controllo. Tutto questo si muove però in un contesto molto meno controllabile. Ad esempio mercati finanziari e inflazione. E ora lo scenario si fa ancora più sfidante.
Un esempio molto concreto. Se disponiamo di 1 milione di euro e applichiamo banalmente la regola del 4%, alla fine del primo anno preleviamo i nostri 40mila euro per finanziare le spese. Applicando alla lettera la regola l’anno successivo, per mantenere inalterato il nostro potere d’acquisto dovremo prelevare 40mila euro più, ipotizziamo, il 7% di inflazione 2022.
Questo significa 42.800 euro in un contesto di patrimonio finanziario che, nel caso di un portafoglio bilanciato, perderebbe un 10% abbondante scendendo quindi a 860.000 euro (1 milione meno 100mila di valore meno 40mila di prelievo annuo). Prelevare 42.800 euro su 860mila significa alzare il tasso di prelievo al 5%. In pratica aumentiamo le nostre pretese di spesa nel momento in cui dovremmo ridurle.
Avete già capito uno dei grandi limiti della famosa regola del 4%, l’assoluta mancanza di flessibilità.
In questi mesi è stato per me molto stimolante ed educativo studiare il fenomeno della gestione del patrimonio durante la fase del ritiro anticipato. Ma nulla è efficace come la pratica.
Suggerire quali mosse mettere a terra in concreto a investitori molto smarriti durante una fase di gestione del denaro, obiettivamente non è così semplice come nel caso dell’accumulazione di ricchezza. Le varie casistiche affrontate mi hanno però permesso di affinare i processi che ritengo più corretti in termini di probabilità di successo.
Soluzioni flessibili per tempi complessi
Le soluzioni si trovano sempre nel campo della gestione dei capitali finanziari.
Un approccio ad esempio di prelievo variabile tenendo conto delle condizioni del momento permette di gestire meglio gli eventi avversi.
Una regola che ho imparato in questi ultimi anni di studio è che la rigidità potrebbe rivelarsi fatale.
Un’altra delle regole classiche adottate dagli adepti del movimento FIRE è quella di liquidare, nei momenti avversi per gli investimenti a rischio (tipicamente le azioni), prima gli asset “sicuri” come le obbligazioni e solo in un secondo momento le azioni.
Nel 2022 abbiamo però un problema. Entrambe le classi di investimento stanno perdendo valore creando quindi le premesse per una vendita in perdita se ipotizziamo la data del ritiro dal mondo del lavoro come il nostro ideale punto di acquisto.
Chi sacrificare in questi casi?
Solitamente si va sulle obbligazioni visto che il potenziale di recupero e apprezzamento delle azioni nel lungo periodo è maggiore. Ragionamento corretto.
Così facendo però il nostro capitale complessivo si sbilancerà ancora di più dal lato del rischio, proprio nel momento in cui si sta pericolosamente assottigliando anche in termini reali. Ovviamente qui non considero la possibilità di disporre di una rendita vitalizia come la pensione pubblica in grado di diluire e di molto questo problema.
Terza regola, sempre molto gettonata dal movimento FIRE, è quella di fissare un numero medio di inflazione per il resto dei nostri giorni. Corretto e facile da pianificare, purtroppo fonte di rischio da non sottovalutare.
E proprio su questo vorrei approfondire oggi il discorso visto il tanto folclore che sta ruotando al tema inflazione.
Non solo sequenza dei rendimenti, ma anche sequenza di inflazione
Se la sequenza dei rendimenti è un fattore di rischio già discusso su questo blog, la sequenza dei tassi di inflazione ha anch’essa impatti notevoli nella gestione del patrimonio.
Il 2022 è stata una palestra eccellente sotto questo punto di vista, anche per capire quanta confusione e disinformazione sta circolando su un fenomeno che per fortuna è ancora estremamente contenuto in termini di effetti negativi sulla nostra ricchezza accumulata in passato.
Vediamo quindi di fare un po’ di chiarezza proprio sul tema inflazione e relativi rischi.
I giornali ci sbattono in faccia titoloni dove si drammatizza l’impennata del costo della vita, un’inflazione ai massimi dal 1985, famiglie e imprese disperate.
Ok, non posso trascurare che certe componenti del paniere inflazionistico (vedi alla voce energia), hanno per tutti subito aumenti di prezzo clamorosi. Per certe imprese drammatici.
Ma quando parliamo di aumento del prezzi al consumo dobbiamo considerare una varietà di beni e servizi che compongono quel paniere. Ancora meglio sarebbe considerare il nostro livello di inflazione personale, non necessariamente identico a quello medio italiano attualmente attorno al 8% su base annua.
Ma ovviamente quello che sposta gli umori e muove la pancia di una famiglia media è quel dato puntuale di +8% che sentiamo ripetere dai TG.
Ma 8% di inflazione nel 2022 non significa necessariamente 8% anche nel 2023, 2024, 2025 e così via.
E non significa nemmeno che i prezzi sono saliti a dismisura (ripeto fatta eccezione per le componenti energetiche) rispetto, ad esempio, a 10 anni fa. E questo è importante saperlo per comprendere se tutta l’attività di risparmio e investimento portata avanti negli anni è stata efficace nel mantenere potere d’acquisto.
Google Trends fotografa molto bene il fenomeno mediatico. Un interesse così alto non si vedeva praticamente da quando il motore di ricerca americano ha cominciato a monitorare la parola “inflazione”.

Fonte: Google Trends
Ma questa impennata coincide veramente con un’inflazione fuori controllo? No, anche perché stiamo vivendo una delle decadi di più bassa inflazione degli ultimi 60 anni e ve lo dimostro con i soliti noiosi numeri.
Inflazione, per anni inesistente oggi ritorna verso la media
Attingendo dal database Istat scopriamo che l’inflazione media annua in Italia dal 1960 a oggi è stata del 5,6%.
In termini cumulati il costo della vita è aumentato del 2850% rispetto a poco più i 60 anni fa.
L’inflazione media degli ultimi 10 anni è stata però di appena l’1,4%. Questo significa che un bene o servizio oggi mediamente in Italia costa il 18% in più rispetto al 2012.

Fonte dati: https://fred.stlouisfed.org/, https://www.rivaluta.it/, rielaborazioni dell’autore su dati agosto 2022
Il grafico che ho rielaborato mostra due linee.
Quella arancione è il tasso puntuale di inflazione annuo. Quel famoso 8% di cui sentiamo parlare tutti i giorni è l’ultimo in ordine di tempo.
La linea blu invece disegna il tasso di inflazione medio a 10 anni.
Ogni puntino blu del grafico rappresenta la media di inflazione della decade precedente. Quindi quello presente su 2022 rappresenta la media di inflazione italiana del 2012-2022. Ho poi fatto lo stesso esercizio andando indietro al 2011-2021, 2010-2020 e così via ottenendo un tasso medio di inflazione annuo nell’arco di ogni decade.
E’ evidente che siamo stati protagonisti di una Bonanza senza precedenti per quello che riguarda l’inflazione.
Spenderemmo ore a discutere per quali motivo ha preso corpo tutto questo, ma oggi stiamo assistendo al più un classico dei ritorni verso la media.
Se questo rientro si scarica con violenza in un arco temporale ristretto, come stiamo vedendo oggi, è un problema.
Un problema perché ha un impatto immediato su bilancio familiare e patrimonio.
Questo rende più visibile (e doloroso) un fenomeno strisciante che sarebbe arrivato comunque, ma che diluito nel tempo ci metteva nelle classiche condizioni di “occhio non vede, cuore non duole”.
Abbiamo vissuto per nove anni in affitto senza pagare un euro
Nel 2008 il tasso medio di inflazione della decade precedente era stato quasi il doppio rispetto alla decade appena conclusa 2012-2022, ovvero il 2,4%.
L’inflazione cumulata dal 1998 al 2008 è stata del 27%. Tra il 1998 e il 2008 ogni anno l’inflazione si portava via il 2,4% del nostro potere d’acquisto contro l’1,4% degli ultimi 10 anni.
Uno scenario ben peggiore di quello attuale, è evidente, ma come abbiamo visto dal grafico di Google Trends, non degno di interesse da parte di media e persone comuni perché silenzioso e strisciante. Non fa notizia. Nessuna tragedia strappalacrime e quindi non attira la nostra attenzione.
L’ eccezionale finestra di bassa inflazione, che stiamo ancora vivendo se ragioniamo sempre in termini medi, affonda le sue radici in due anni di deflazione in Italia sommati a diversi anni di inflazione quasi nulla.
Siamo giustamente sotto shock per il 2022, ma ci siamo dimenticati che i prezzi non si sono praticamente mossi per i nove anni precedenti.
Un po’ come il proprietario di una casa che ci fa un favore mantenendo fermo il prezzo dell’affitto per nove anni e poi, all’improvviso e senza avvertirci, ci fa pagare in un anno soltanto tutti gli aumenti che avrebbe dovuto applicare nei periodi precedenti.
E così il panico serpeggia tra consumatori e investitori in maniera ingiustificata, amplificato da media che non vedono l’ora di insaporire il dramma.
Chi spera in un veloce ritorno sul sentiero passato non facendo nulla per sistemare la sua casetta finanziaria farà la fine di colui che continua ad andare in giro per la strada lamentandosi che tutto costava meno una volta, senza però trovare una soluzione a un fenomeno che esiste da sempre.
Il fenomeno del progressivo aumento dei prezzi.
Inflazione e ribassi di borsa, imprevedibili e dolorosi nel primo miglio del FIRE
Quanto sarà intenso e prolungato questo fenomeno di normalizzazione dell’inflazione non lo sappiamo.
Sicuramente chi si trova oggi nella fase iniziale del percorso di indipendenza finanziaria deve essere consapevole che subire una fiammata inflazionistica, oppure un pesante ribasso nei valori degli asset finanziari, è un fenomeno più impattante rispetto a chi si trova a metà o alla fine del percorso. La posta in gioco è più alta.
Così come la sequenza dei rendimenti è gestibile quando pianifichiamo un percorso di decumulo del patrimonio tramite una adeguata asset allocation, anche per la sequenza dei tassi di inflazione è gestibile (ma non eliminabile) con strumenti di investimento adeguati.
Se una fetta del portafoglio più o meno ampia (dipende dai nostri obiettivi, orizzonti temporali e capacità di sopportare il rischio) va sempre dedicata all’investimento azionario in quanto storicamente è risultato il migliore strumento di copertura dall’inflazione nel lungo periodo, il rischio di breve periodo di una evoluzione sfavorevole dei prezzi al consumo va gestito con strumenti meno volatili e più sicuri.
Obbligazioni a breve termine e obbligazioni indicizzate all’inflazione (che ricordo sono efficaci al 100% solo se portate a scadenza) possono rappresentare per motivi diversi due tipologie di investimento da considerare.
L’attività di laddering (la tecnica della scala con obbligazioni o ETF di cui parlerò in un prossimo articolo) si può mettere a terra in autonomia oppure (consigliato) con il supporto di un consulente finanziario. Questo processo costruisce un portafoglio obbligazionario abbastanza sicuro con titoli a scadenze progressive nel tempo che possono ogni anno finanziare una parte importante del tasso di prelievo a basso rischio. Un portafoglio di ETF obbligazionari a basso costo indicizzati a diversi tratti della curva dei rendimenti è un’altra soluzione interessante e praticabile.
Esistono diverse opzioni. Come sempre tutto va programmato senza la pretesa di azzeccare i giusti numeri di rendimento, inflazione, tasso di prelievo e tanto altro che in futuro inevitabilmente potrebbero richiedere degli aggiustamenti di rotta.
Diversificare l’investimento nel modo corretto è già di per sé una soluzione, ma non è l’unica in grado di limitare gli effetti negativi di una delle tante variabili che potrebbero remare contro quel patrimonio destinato a integrare la pensione pubblica e sostenerci durante il periodo dell’indipendenza finanziaria.
Prendere consapevolezza della realtà storica che stiamo vivendo aiuta a contestualizzare il tutto.
Non ci facciamo prendere da fenomeni di panico ingiustificato alla ricerca di soluzioni esotiche e costose.
Non crediamo a ricette miracolose di personaggi smart che hanno osannato fino a ieri i loro metodi di ricchezza facile e veloce vissuti in un contesto di guadagni sui mercati azionari e obbligazionari straordinari.
Facciamo le cose con semplicità, buon senso e soprattutto pianifichiamo le modalità operative con cui vogliamo raggiungere l’obiettivo finale.
Buon investimento.
Buongiorno.
Ritiene che un tasso di prelievo del 2% sia ragionevolmente considerabile sicuro?
Ovviamente non conoscendo situazione familiare, capitali, orizzonti temporali è impossibile fare una valutazione. Il 2% è solitamente un tasso di prelievo ad alto tasso di sicurezza per non sopravvivere al proprio capitale, ma ripeto. Serve una diagnosi di cosa stiamo parlando e magari anche delle eventuali rendite passive future (come le pensioni pubbliche e/o private).
Buon giorno….Interessante argomento….fa proprio al caso mio. Sono appena andato in pensione ed ero in procinto del decumulo. Premesso che non ho accumulato nella mia vita lavorativa 1 milione di Euro, come preso ad esempio nell’articolo….ma molto meno. E’ ovvio che dopo 45 anni di lavoro ti sei fatto un “gruzzoletto” per integrare una pensione di media entità. Non se ne parla proprio di vivere di rendita, magari!. Però purtroppo, come hai affermato, perfino le obbligazioni hanno perso un bel 10%. Tuttavia grazie al fatto che non mi sono mai fatto condizionare, anche sui siti preposti agli investitori, di acquistare azioni a discapito di obbligazioni come qualche investitore al contrario ha fatto…ebbene….. ho tenuto una certa quota di liquidità. Non ho mai pensato, contrariamente a molti investitori, che nulla nel mio patrimonio investito fosse “sicuro”. Complici del mio modo di vedere l’investimento sono stati: la pandemia prima e la guerra in Ucraina poi. Per non parlare poi di quello che successe all’inizio degli anni 2000…….ma allora avevo pochi soldi per investire. E’ chiaro che un pensionato, rispetto ad un giovane, è fortemente a rischio per questi aspetti se non abbassa le sue aspettative. Il tempo che non è più a suo favore….ed il capitale accumulato rappresenta il risultato di tutta una vita lavorativa. Ed una perdita globale del 8% su tutto il patrimonio accumulato rappresenta una piccola fisiologica percentuale da un certo punto di vista, ma in termini ristretti di capitale liquido sono parecchi soldi. Utilizzerò, pertanto, i soldi liquidi disponibili in attesa che nell’attuale situazione geopolitica si raggiungano le condizioni di ritorno all’equilibrio dei mercati per potere recuperare il capitale che non ho potuto spendere, ad integrazione della pensione, per quanto sopravvenuto. Altre soluzioni non ne vedo, sbaglio?
Grazie Giovanni, commento molto interessante ma che richiederebbe ben più di una semplice risposta in questa sede. Durante oltre 20 anni di lavoro nel mondo finanziario ho visto di tutto e questa è stata una fortuna. Perché quello che sembra orribile in un certo momento deve essere considerata come una opportunità; quello che sembra fantastico deve essere visto con un briciolo di scetticismo. Purtroppo (e qui dico per sfortuna) una generazione intera di consulenti e gestori di portafogli sono cresciuti in un ambiente ovattato dove tutto saliva di prezzo. E ora che ogni asset (94% di tutte le classi di investimento finora) perde non sanno cosa dire e come comportarsi. Il tradizionale reddito fisso non fa da puntello, l’azionario non viene più comprato al minimo ritracciamento.
Quello che tu dici è correttissimo. L’approccio di un investitore in fase di decumulo deve sempre dimostrare saggezza e quindi anche prudenza. Investire con un pò di freno a mano tirato non significa perdere opportunità. Significa garantirsi un adeguato tenore di vita consapevoli che non sappiamo cosa succederà in futuro. Tra il 1968 e il 1982 l’azionario ha perso valore più dell’obbligazionario in termini reali, smentendo il detto che l’azionario nel lungo periodo (e 14 anni sono lungo periodo) vince sempre. Stessa cosa per l’oro che ha battuto l’azionario nel periodo 1998-2018.
Serve equilibrio e umiltà quando si investe, creando il giusto ambiente per mantenere in asse la nave. E naturalmente il peso di ogni asset class deve essere calibrato sull’orizzonte temporale e sulla capacità personale che abbiamo di creare risparmio aggiuntivo che può compensare temporanee perdite. Nella fase di accumulo possiamo permetterci di sopportare meglio le oscillazioni dei prezzi rispetto alla fase del ritiro.
E oggi che anche l’obbligazionario queste opportunità le offre, i “decumulatori” finalmente possono strutturare un portafoglio di investimento (che però non può prescindere da un pò di azioni) in grado di assicurare un ragionevole tasso di prelievo per il futuro. Negli anni magri si ridurrà un poco questa percentuale, in quelli grassi si aumenterà. Il segreto sta nella variabilità del piano di prelievo. Giusto tenere sempre una scorta liquida che può essere utilizzata (come oggi) per non vendere ciò che è in perdita, ma non è sufficiente.
Serve anche una strategia obbligazionaria (l’articolo di lunedì credo ti interesserà) e una azionaria per essere in grado di far lavorare entrambe le asset al massimo dell’efficienza.
Se vorrai approfondire il tema per capire quali potrebbero essere le opzioni migliori a tua disposizione puoi tranquillamente scrivermi alla mail lorenzo@meridianscf.com. Come sto facendo con altri lettori del blog sarà un piacere prima di tutto conoscerti e, se vorrai, cominciare un percorso di pianificazione finanziaria insieme. A presto
Ciao, scusami, quando dici: “Sicuramente chi si trova oggi nella fase iniziale del percorso di indipendenza finanziaria deve essere consapevole che subire una fiammata inflazionistica, oppure un pesante ribasso nei valori degli asset finanziari, è un fenomeno più impattante rispetto a chi si trova a metà o alla fine del percorso. La posta in gioco è più alta.”, non dovrebbe essere il contrario? Cioè, anche alla luce del grafico di jp Morgan che si trova nell’articolo della catena dei rendimenti, non dovrebbe essere che un pesante ribasso sia più impattante alla fine piuttosto che all’inizio del percorso? Grazie.
Grazie del commento che mi permette di fare una precisazione. Quello che tu dici con riferimento a questo articolo https://investireconbuonsenso.com/2021/03/22/il-rischio-della-sequenza-dei-rendimenti/ è corretto.
Quando stiamo accumulando ricchezza meglio subire cali più importanti all’inizio, quando i risparmi sono pochi, piuttosto che alla fine quando, presumibilmente, avremo capitali e piani di accumulo più consistenti.
In questo modo arriveremo all’indipendenza finanziaria più ricchi e con un potenziale di prelievo annuale più alto. Subire il -30% sei mesi prima della pensione cambia tutti i piani.
Il problema non è però eliminato. A questo punto inizia la fase di decumulo.
Chi ha abbracciato la teoria FIRE o semplicemente chi pensa di poter vivere di rendita ha a disposizione un corposo capitale dal quale attingere fino al raggiungimento della pensione.
A questo punto, ed è questo il tema dell’articolo, la sequenza dei rendimenti fa male al contrario. Più ribassi subisce il valore degli investimenti all’inizio del percorso peggio è.
Il primo motivo è legato al fatto che ogni pezzettino che prelievi non concorrerà più al futuro recupero delle quotazioni. Quindi il tuo motore di capitalizzazione composta degli interessi è sempre più debole ogni anno che passa.
Il secondo motivo è che se per assurdo perdi il 50% del capitale quello che prima rappresentava il 4% di prelievo annuo ora diventa l’8%. Questo spiega anche perché la teoria del 4% è ormai solo accademia. Se i mercati non recuperano velocemente e tu non cambi il tuo piano di prelievo, la matematica ci diche dhe finirai prima del previsto i soldi “sopravvivendo” al capitale stesso.
Mossa molto pericolosa che richiede inevitabilmente un ridimensionamento del tenore di vita.
Il terzo motivo è legato al fatto che molti adepti americani del FIRE hanno adottato strategie sbilanciate dal lato azionario, anche 100% equity. E se non hai il cuscinetto monetario o dei bond che puoi smontare in attesa di un recupero dell’azionario (diciamo almeno 2-3 anni di liquidità per sostenere le spese, ma meglio molto di più), capitalizzi perdite sull’azionario che non recupererai mai più perché ogni giorno che passerà tu avrai sempre meno capitale a disposizione (e torniamo al punto 1). Spero di aver chiarito il punto. A presto
Sono d’accordo con te, il grosso limite della regola del 4% è proprio la mancanza di flessibilità, anche perché chi poteva immaginare che l’inflazione sarebbe arrivata al 10%? Ma a questo punto, esiste qualcosa che possa evitare l’erosione di una inflazione così marcata? Grazie e saluti.
L’inflazione al 10% rappresenta (o almeno ce lo auguriamo tutti) un fenomeno transitorio. Probabilmente tenderà a ripiegare nei prossimi anni convergendo verso i livelli desiderati dalle banche centrali del 2% o qualche cosa di più (o di meno chi lo sa). Come i picchi di guadagni sui mercati azionari (vedi il +30% del 2021) devono sempre essere presi come eventi estremi destinati a ridimensionarsi convergendo verso una media storica, lo stesso possiamo dire per l’inflazione. Questo per dire che non esiste uno strumento di investimento in assoluto capace di combattere l’inflazione. O meglio. Esistono strumenti come le obbligazioni inflation linked che se tenute fino a scadenza sono perfetti e oggi garantiscono anche un piccolo premio. Esistono le azioni (intese come globali) che nel lungo periodo hanno sempre dimostrato di sapere battere l’inflazione riconoscendo un premio. Esistono le tradizionali obbligazioni che oggi, con rendimenti più alti, potrebbero essere in grado di ripagare l’inflazione futura se l’opera delle banche centrali avrà successo come speriamo tutti. Ma esiste soprattutto il risparmio. Questa è l’arma migliore in assoluto. Se l’inflazione sale del 10%, nel 2023 dovrò impegnarmi a risparmiare il 10% in più del previsto. Lo so è difficile. Ma la buona pratica di portare avanti un piano di accumulo che ogni anno aumenta la quota versata di una percentuale pari al tasso di inflazione (ad es. nel 2023 100€ + 10% = 110 €) è in assoluto l’arma più efficace per mantenere il potere d’acquisto.
Grazie, con l’ultima frase hai dato un’indicazione molto interessante. Saluti :)